Via dalla pazza folla
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TUTTE VORREMMO UN PO’ DI OAK NELLA VITA
Via dalla pazza folla è uno dei romanzi più famosi di Hardy ed è il primo che leggo dell’autore.
Devo dire di averlo scelto perché mi affascinava la “lotta” tra tre uomini per una ragazza sola, tutto ambientato nel 1800, periodo storico dove la donna era solo moglie o governante della casa.
Batsheba è una delle prime donne che si vogliono sentire indipendenti, che lottano per la loro posizione senza dover per forza ricorrere ad un matrimonio.
Anche con queste premesse il suo personaggio mi è piaciuto un risultato non molto piacevole perché sebbene sia testarda e intraprendente, dall’altro lato è anche capricciosa e chiaramente vanitosa.
È proprio grazie a questi suoi difetti che conosce tre uomini diversissimi tra loro ma con in comune la passione per Batsheba.
Il pastore Oak , il personaggio che più ho apprezzato e che mi ha reso la lettura più piacevole di quel che in realtà fosse, è un uomo paziente e grande lavoratore. Si innamora di Batsheba al primo sguardo, un classico colpo di fulmine.
Boldwood è un fattore, un uomo leggermente cupo e anche altezzoso, schivo al genere femminile ma uno scherzo di Batsheba lo farà infatuare al limite della pazzia.
Il soldato Troy è il classico dongiovanni, usa le donne finché queste gli interessano ma quello che più ama è sè stesso, è molto egocentrico. Si intestardisce per conquistare la protagonista solo per diletto.
Questi tre uomini si legheranno sentimentalmente a Batsheba senza che lei abbia potere di cambiare le cose, ma si lascia corrompere dalla vanità e, ahimè, dalla natura insita della donna alla ricerca di un matrimonio solo per il gusto di ritenersi accasata.
Il romanzo mi ha convinto ma anche no, sono combattuta nella mia opinione perché l’ho trovato un po’ pesante ma in alcuni tratti mi è davvero piaciuto.. è di difficile valutazione.
In ogni caso il titolo non l’ho pienamente capito.. forse via dall pazza folla si riferisce alla voglia di indipendenza della protagonista ma non ne sono sicura.
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Penne(llate) d’autore
Era da tempo che volevo leggere questo libro, conosciuto tramite un film del 2015 del Vinterberg (ho visto però che le trasposizioni cinematografiche sono state diverse). Pubblicato nel 1874, si tratta del primo grande romanzo di Thomas Hardy ( 1840-1928) in cui si intravedono già i motivi che ispirano le grandi opere della maturità, “Tess dei D’Urbervilles” in primis -che non ho ancora letto-.
La mia edizione è Parole d’argento, che presenta una bella copertina, piacevole anche al tocco perché morbida, ma che ha penalizzato la lettura: qualche refuso, righe che si spezzano e continuano nella successiva, una traduzione non sempre lineare e chiara... tuttavia non farò assolutamente pesare questi “inconvenienti” sul giudizio generale del romanzo, poiché, lo dico subito, l’ho adorato dalle prime pagine.
La prosa di Hardy è sontuosa, ricca di metafore, di similitudini, di dissolvenze, di primi piani, di descrizioni degli scenari naturalistici fatti con tocchi direi impressionistici. Gli studi di architettura di Hardy gli hanno consentito di lanciarsi in ben strutturate descrizioni di ambienti e di paesaggi. Macchie di colore nelle albe e nei tramonti, profumi di fiori, veli di umida nebbia che spuntano tra le pagine. Un indugiare nella bellezza della natura che ho trovato piacevole e straordinario che si unisce però, e qui smorziamo i toni apollinei, a sentimenti di profonda malinconia, ad una visione sostanzialmente tragica della vita.
Della trama vi svelo solamente che la protagonista è Bathsheba Everdene, una giovane donna assai attraente che eredita la fattoria di suo zio e decide la propria indipendenza economica e...sentimentale
“Mi piacerebbe sposarmi se non dovessi poi convivere con un marito...”,
ecco riassunto il suo desiderio di libertà.
È una creatura civettuola e vanitosa , consapevole della propria avvenenza, sempre desiderosa di ricevere riconoscimenti anche solo con sguardi ammirati e all’inizio può destare antipatie, ma è solo l’impressione iniziale, perché in seguito a terribili vicissitudini maturerà e darà prova di generosità.
E lo scrittore guarda con occhi benevoli i suoi personaggi e sulla civetteria più o meno innocente di Bathsheba dice:
“Noi sappiamo che non sono i raggi che i corpi assorbono, ma quelli che riflettono a far loro i colori con cui vengono conosciuti; e allo stesso modo le persone vengono caratterizzate dai loro antagonismi e antipatie, mentre il loro benvolere non viene considerato come caratteristica importante”.
La fanciulla è contesa da tre uomini, uno diverso dall’altro: Gabriel Oak, che diventerà il suo fattore, la amerà in ogni circostanza, in silenzio e umilmente senza però mai piegarsi ai suoi capricci, il maturo Boldwood, bell’uomo, dai lineamenti di statua romana, scapolo da sempre, inaccessibile alle donne che però perderà letteralmente la testa per la giovane ... e il sergente Troy, riguardo cui vi risparmio ogni commento.
Chi farà breccia nel cuore di Bathsheba? Il pastore Oak col suo amore “covato sotto la cenere” nonostante il rifiuto di lei, mister Boldwood quasi sconvolto dalla potenza di una passione mia conosciuta prima oppure il giovane, avvenente Troy, sergente ben educato e dalla parlantina svelta?
La tentazione di soffermarmi su ognuno di questi personaggi è davvero forte, ci sono così tante cose da dire: Hardy è stato così bravo nel cercare di delineare e caratterizzare ogni personaggio che è quasi irrispettoso, direi, liquidarli così velocemente, ma rischierei di appesantire la mia umile recensione e peccherei di spoiler!
A dispetto dell’edizione che ho comprato, come ho subito detto, i miei giudizi sono positivi in generale. Non mi sono mai annoiata, ogni pagina mi ha tenuta incollata piacevolmente, ho trovato le descrizioni piacevolissime, Hardy è un creatore di visioni paesaggistiche romantiche e, lungi dall’ottimismo vittoriano, dà dei sottili affondi alla nostra anima, alle nostre ipocrisie, alle nostre paure ed alle nostre vanità. In alcuni passaggi vi ritroverete l’amaro in bocca.
No, non è un romanzo rosa, decisamente no.
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Beautiful levate! (Devono passare le pecore)
Sembra proprio io mi debba ricredere: la Newton Compton non è la sola a poter distruggere dei capolavori della letteratura classica con delle edizioni pessime. In questo caso la Garzanti è riuscita nella combo perfetta, associando un’edizione scadente ad una copertina ingannevole; il lettore infatti, vedendo il poster del film datato 2015, è portato a pensare che il volume presenti un nuova traduzione, ritrovandosi poi con una traduzione del lontano 1955, che fa sentire tutti i suoi anni.
A rendere quest’edizione ancor più irritante sono i nomi tradotti in italiano, come già avevo riscontrato ne “La lettera scarlatta”; la maggior bizzarria è che non sempre i nomi sono stati adottati (si trovano così a coesistere Giuseppe e Mark) e non sempre nello stesso modo (William diventa Guglielmo, ma il diminutivo rimane Willy!). Cosa possiamo salvare quindi? Le note esplicative a fondo pagina, utili a comprendere meglio le molte citazioni, e la parte biografica sull’autore nell’introduzione.
Proprio per merito della biografia, il lettore può intravedere la natura di poeta di Hardy, prepotente nelle ricercate descrizioni, soprattutto dei paesaggi di campagna.
La storia segue per alcuni anni la vita di Bathsheba Everdene, giovane fanciulla inglese che, sul finire dell’Ottocento, si ritrova improvvisamente ricca fittavola di una fattoria nella placida cittafini di Weatherbury. Scoperto che il suo fattore la sta derubando, la ragazza prendere una decisione molto difficile e dai più contestata: licenziare il dipendere e farsi carico personalmente della sovrintendenza in tutte le attività agricole.
Di fianco alle vicissitudini agresti, tra le quali possiamo ammirare la tosatura delle pecore come pure i tentativi di tenere il raccolto al riparo dalle tempeste, troviamo le immancabili storie d’amore. La bella protagonista farà invaghire ben tre pretendenti: il pastore Gabriel Oak, che la incontra ben prima della sua ascesa sociale e a dispetto del rifiuto ricevuto alla sua proposta di matrimonio le resta sempre fedele; l’agiato fittavolo William Boldwood, suo vicino del quale attirerà le attenzioni per scherzo salvo poi ritrovarsi perseguitata in modo quasi ossessivo; l’ultimo a fare il suo ingresso in scena è il Sergente Frank Troy, giovane avventuriero che incanta la protagonista con la sua corte spietata.
La trama ricorda a tratti il capolavoro di Jane Austen “Orgoglio e pregiudizio” specialmente nella scena in cui Boldwood, al fine di allontanarlo da Bathsheba, offre del denaro a Troy in caso di un suo matrimonio con Fanny Robin; analogamente, Darcy pagava per le nozze tra Wickham e Kitty. Hardy crea però delle svolte narrative ben diverse e decisamente inaspettate.
Altro omaggio all’opera austeniana è il personaggi di Bathsheba, che per molti versi ricorda Emma protagonista dell’omonimo romanzo, soprattutto per il desiderio di essere indipendente e libera dalle convenzioni sociali che la vorrebbero più remissiva ed accomodante. Bat (come l’ho amichevolmente sopranominata) condivide con la signorina Woodhouse anche un caratterino niente male ed una lingua davvero tagliente; sono sicuramente queste sue imperfezioni a renderla piacevole ai lettori.
Anche i personaggi maschili ottengono il loro spazio e vengono analizzati a fondo, rivelando dettaglio psicologici inattesi. Tra i tre, forse proprio Oak -benché in pratica sia il protagonista- è il meno interessante, accaparrandosi comunque l’affetto di Bat (e il mio).
È d’obbligo menzionare anche il ricco parterre di personaggi secondari, formato dai dipendenti di Bat, e dai paesani in generale, si tratta di un agglomerato di figure divertenti e genuine, che fanno immancabilmente sorridere per la loro semplicità.
Proprio in questi villici si ha la massima espressione di quello che è uno dei temi centrali del romanzo, ossia l’esaltazione della placida vita di campagna posta in contrapposizione con la frenesia cittadina, si pensi per esempio che in quegli anni il veloce sviluppo dell’industria porto alla nascita della manifestazione nota oggi come Expo.
Ho apprezzato molto lo stile di Hardy, di cui desidero senza dubbio leggere altre opere, reso peculiare dai numerosi riferimenti ai testi biblici e alla mitologia greco-romana.
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Far from the madding crowd
Campagna inglese, nell'immaginaria provincia del Wessex, ultimi anni dell'Ottocento.
Gabriel Oak è un giovane fittavolo che sta costruendo la propria azienda agricola con risparmi e sacrifici, assumendo anche il ruolo di pastore per badare alle proprie greggi personalmente.
Bathsheba Everdene è invece di condizione molto modesta ma di indole indipendente, ed è per giunta dotata di una bellezza fuori dal comune, in grado di irretire qualsiasi uomo, di cui è ben consapevole.
Ovviamente, quando Gabriel incontra Bathsheba, in visita a una zia vicina di casa di Oak, non può fare a meno che rimanerne colpito, fino a chiederle impulsivamente di sposarlo. Lei, però, lo rifiuta, perchè disinteressata all'idea del matrimonio (inoltre si scusa di non provare amore verso Oak), e dopo pochi giorni lascia la casa della zia.
In una notte di tempesta Oak perde il suo gregge, e per ripagare i creditori è costretto a vendere tutto, ritrovandosi senza nemmeno un tetto sulla testa. Inizia a cercare un impiego come pastore e lo trova in un'azienda agricola in un paese vicno, venendo poi a scoprire che la fittavola è la stessa Bathsheba, che ha appena ricevuto la fattoria in eredità da uno zio, il precedente proprietario. Oak inizierà così a lavorare per lei, in lotta con i sentimenti che prova verso la ragazza e che non può dimostrarle apertamente.
Da qui, la narrazione si sposta su Bathsheba, la vera protagonista del libro. Inizialmente scettici verso di lei, i suoi dipendenti e tutto il villaggio inizieranno a stimarla, mentre Bathsheba assume le redini della fattoria come fittavola e fattore (un ruolo che tradizionalmente sarebbe spettato agli uomini). Bathsheba rivela un vero talento per gli affari e la conduzione dell'azienda, e con l'aiuto di Oak tutto inizia ad andarle a gondie vele. Seguiamo poi le sue peripezie con il fittavolo Boldwood, vicino di casa di Bathsheba bello e scapolo, che lei civettuosamente finge di voler conquistare. Boldwood, che inizialmente era l'unico del circondario a non aver subito il fascino della ragazza, finisce per innamorarsene perdutamente e si adopera per ottenere la sua mano facendole la corte.
Ma Bathsheba, al ritorno in paese del sergente Troy in congedo, perde la testa per il bel soldato e lo sposa, sorprendendo tutti i suoi pretendenti e scatenando una serie di eventi che sconvolgeranno la sua vita.
Nel complesso, è un bel romanzo che lascia un certo senso di soddisfazione per averlo finito, se non altro perchè ci si è finalmente liberati dell'ingombrante presenza dell'eroina, Bathsheba Everdene. Protagonista assoluta ed indiscussa (Oak si ridurrà a ricomparire ogni tanto nel corso della storia, ma per lo più sono rari i capitoli dedicati a lui soltanto), eroina bella quanto irritante.
Eroina che viene dipinta in modo un tantino ambiguo ed oscuro, a mio modestissimo parere: Hardy sembra infatti oscillare costantemente tra l'ammirazione per il suo carattere indipendente di donna, per le sue virtù inusuali (tipicamente "maschili", come il gestire tutti gli aspetti di una fattoria, un lavoro da uomini esperti) e la consapevolezza che, poverina, essendo una donna ha dei limiti che la porteranno inevitabilmente a compiere errori. Per cui la graziosa Bathsheba, nel suo ritenersi superiore a tutti per posizione sociale, doti ed intelletto, non sa che in realtà è inevitabilmente destinata a fallire. E' nella sua natura, giudicare male e commettere errori grossolani che certamente un uomo non potrebbe commettere, con la sua lungimiranza. A questo proposito, cito testualmente un passo nel capitolo 54, dove Hardy ci racconta che "quasi a dimostrare [...] che tutta la sua forza era dovuta più alla volontà che alla natura, si accasciò in silenzio proprio lì in mezzo a loro". Insomma, un personaggio contraddittorio di per sè, motivato spesso nelle sue azioni dal capriccio di un momento (come quando rifiuterà Oak, deciderà di sposare Troy o scriverà il fatale biglietto per Boldwood); personaggio dipinto dal suo creatore in una luce ancora più contraddittoria, che non giova certo alla sua immagine. Un'essere diviso a metà tra fallace natura "feminile" e scaltra volontà "maschile", senza esserne neanche lontanamente consapevole. Verrebbe quasi da chiedersi che opinione avesse il signor Hardy del gentil sesso, e si sa che i tempi erano assai diversi da oggi (ammetto che anche l'idea di porre come protagonista una donna-fittavola che gestisce i propri affari da sola doveva apparire davvero moderna allora). Ma insomma, non è che Bathsheba ne esca fuori proprio benissimo da tutto il polverone che ha involontariamente sollevato.
E nonostante ciò, alla così umana Bathsheba, odiosa e piena di sé, non posso che sentirmi vicina alla fine delle sue vicende. Dalla metà del libro in poi, ha saputo tenermi sulle spine, devo ammetterlo.
Giudizi leggermente misogini di Hardy a parte, il romanzo e la storia sono ben costruiti e davvero godibili, rientrando alla perfezione in quel genere di romanzo inglese che tanto piace agli amanti di Jane Austen (come la sottoscritta).
Una menzione speciale va alla "pazza folla" del titolo (ispirato a un verso di Thomas Gray, celebre poeta preromantico), ovvero a quei contadini e braccianti che costituiscono la popolazione del villaggio e lavorano per Bathsheba. Con le loro intrusioni, commenti ironici, strambe uscite (l'occhio moltiplicatore di Joseph Poorgrass, tanto per citarne una) rendono la lettura decisamente più godibile e scorrevole, e creano un piacevole effetto di contrasto comico con la serietà e pesantezza dei protagonisti principali.
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tormento e riscatto nell'immaginario wessex
Campagna inglese, siamo quindi in provincia, la storia converge attorno a tre uomini, estremamente diversi tra loro per carattere e condizione sociale, ma che condividono un'importante infatuazione (chi più, chi meno) per l'altezzosa protagonista del romanzo: Bathsheba Everdene.
- Gabriel Oak è il personaggio, che grazie alla sua intrinseca saggezza e infinita bontà d'animo, compensa le varie meschinità e stravaganze che caratterizzano i comportamenti di coloro che gli sono più affezionati.
E' il caposaldo della situazione, colui che si sobbarca del lavoro sia morale che fisico altrui, difatti Gabriel è un pastore in gamba, e da una mano in altre mansioni che prevedono manualità e competenza.
E' innamorato di Bathsheba da sempre, continua ad esserlo quando viene rifiutato, e durante le vicende amorose che la vedono complice con altri uomini: la venera.
- William Boldwood, il latifondista benestante, onesto, ma estremamente introverso e cupo, è un signore quarantenne, insofferente e poco conoscitore del gentil sesso, si infatua involontariamente della giovane eroina, in seguito ad una burla architettata da quest'ultima per attirare l'attenzione dell'altero fattore.
Quello che nasce come uno scherzo si trasforma in passione, e l'amore non ricambiato trascinerà Boldwood in una spirale di follia e malessere.
- Per quanto riguarda l'unico uomo che Bathsheba degnerà del proprio interesse, è anche l'unico con illecite intenzioni: si tratta del soldato Francis Troy, giovane di bell'aspetto, donnaiolo e giocatore d'azzardo, insomma, il classico scialacquatore di patrimoni.
Infine Bathsheba, personaggio chiave del romanzo, e donna dalle mille sfaccettature, nasce come una "proto-femminista", rifiuta categoricamente le proposte dei due uomini più meritevoli che conosce, gioca con i sentimenti di entrambi, si autoproclama capo-fattore della tenuta ereditata dallo zio, nonostante i pregiudizi.
Ma è una ragazza solo apparentemente spavalda e schietta, in realtà attraverso l'unione con Troy, rivela la sua radicata fragilità.
Non è stata una lettura semplice, non per il numero di pagine, esiguo, ne per i contenuti, anzi, tutto il contrario, è un libro di facile comprensione, le tematiche sono quelle tipiche dell'epoca vittoriana, e care all'autore, è addirittura scritto in modo molto semplice, il punto è che non scorre fluentemente, e confesso di aver fatto fatica a leggerlo con disinvoltura, durante la lettura mi sono distratta e annoiata piuttosto facilmente.
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