Narrativa straniera Classici Uno studio in rosso
 

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Uno studio in rosso

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Nel 1887 Arthur Conan Doyle, uno sconosciuto medico di periferia, dava alle stampe "Uno studio in rosso", il romanzo che vedeva l'esordio di due famosissimi personaggi letterari: il dottor Watson, sotto le cui modeste spoglie si celava l'alter ego dell'autore, ed il geniale Sherlock Holmes, il detective per antonomasia.



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Uno studio in rosso 2022-09-04 17:39:56 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    04 Settembre, 2022
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Rache

«La ringrazio di cuore per avermelo presentato. Non si dice forse “il modo migliore per studiare l’umanità è osservare l’uomo?”»

L’incontro tra John Watson, ex medico militare appena rientrato nel Regno Unito dalla guerra in Afghanistan a causa delle ferite alla spalla e al ginocchio e Sherlock Holmes, avviene più per necessità che per caso. Alla ricerca di un appartamento in cui abitare da un collega gli viene presentato il suo futuro coinquilino con cui andrà ad abitare in quel del 221B di Baker Street. Già dal primo sguardo Holmes lascia dedurre di essere munito di una profonda capacità intuitiva e ragionamento deduttivo che si mixa e confà con quello che è il suo naturale alter ego, Watson, uomo di scienza e logica. Uno sguardo che già fa intuire all’investigatore la provenienza del medico e anche il suo trascorso quale degente a causa delle ferite riportate. Sistemati in quel dell’appartamento ecco sopraggiungere un telegramma di Scotland Yard che richiede l’intervento intuitivo dell’investigatore a seguito di un omicidio che nasconde un misterioso rompicapo da risolvere. Andare, non andare, che fare? Holmes, curioso, decide di recarsi sul luogo seguito da Watson. Ben presto ricollega tutti i tasselli e, proprio quando il caso sembra essere risolto, un’altra morte si palesa a rimescolare gli equilibri. Gli indizi confermano e fanno supporre che i delitti sono stati compiuti per mezzo della stessa mano, Scotland Yard brancola nel buio, Holmes sa che risolverà il caso ma che il merito andrà interamente alle forze dell’ordine. E chissà, certamente o quasi, non sbaglia. Un filo rosso da seguire, un susseguirsi di certezze e valutazioni che faranno combaciare ogni tassello del puzzle.

«È sempre sbagliato confondere lo strano con il mistero. Il crimine più banale è spesso il più misterioso perché non presenta aspetti nuovi o speciali da cui trarre conclusioni.»

Corre l’anno 1887 quando Arthur Conan Doyle pubblica il suo romanzo intitolato “Uno studio in rosso”, prima opera all’interno della quale fa il suo ingresso il famoso e di poi leggendario Sherlock Holmes coadiuvato dalla fedele spalla John Watson e già da questo primo scritto si evince e si delinea il carattere forte e vincente di una serie di opere che per ovvi motivi han finito con il lasciare il segno.
Se da un lato colpisce lo stile narrativo adottato che vede Watson narrare e una rottura degli schemi a partire dalla seconda parte del narrato quando il lettore viene catapultato alle origini del delitto in un’epoca e in un tempo lontano dai fatti, ad avvalorare la portata del componimento è altresì la struttura dei personaggi che sono costruiti in modo solito e accattivante. Ciascuno con i suoi caratteri principali, ciascuno con le sue debolezze e forze. La fusione spalla-spalla che si interseca tra i medesimi rende ciascuno parte indispensabile del mistero e fa sì che nessuna delle due voci principali prevarichi l’altra quanto, al contrario, l’accompagni.
A ciò si aggiunge un intrigo solido, funzionale, lineare, che non fatica a conquistare il conoscitore e che trattiene tra le pagine incuriosendo e coinvolgendo. Altrettanto interessanti sono le ragioni storiche che portano Doyle a stendere l’opera nonché tutti quei retroscena che accompagnano le sue opere, non solo gialle ma anche fantasy e storiche. Uomo di gran fantasia, lo scrittore è riuscito senza difficoltà a trasporre la sua genialità tra le pagine e a rendere uniche le sue storie in modo semplice e genuino.
Un primo capitolo da scoprire, leggere, assaporare e gustare in totale e completa tranquillità.
Sia per chi già conosce e ha letto del personaggio, sia per chi desidera avvicinarvisi, è e resta un titolo che merita di essere assaporato.

«Ormai dovrei sapere che quando si presenta un fatto che contraddice una lunga catena deduttiva è stato invariabilmente mal interpretato.»

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Uno studio in rosso 2022-08-31 10:40:14 Chiara77
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Chiara77 Opinione inserita da Chiara77    31 Agosto, 2022
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Logica deduttiva

« […] Sarò riconoscente a voi perché senza di voi non mi sarei probabilmente scomodato e così mi sarebbe sfuggito lo studio più interessante che si possa desiderare: uno studio in rosso, come direbbe un pittore.
Di che magnifico rosso non è infatti questo filo tinto del sangue di un misfatto e che si perde fra gli arcani meandri della matassa scompigliata dell’esistenza umana! Spetta a noi dipanarla, isolarla, studiarla filo per filo.»

Arthur Conan Doyle pubblica nel 1887 il romanzo “Uno studio in rosso” con il quale entra in scena il leggendario detective Sherlock Holmes.

Gran parte della narrazione avviene dal punto di vista del dottor Watson, medico militare britannico ferito nella battaglia di Maiwand che, dopo essere tornato a Londra, sta cercando un coinquilino con cui dividere le spese di un appartamento in centro. Per caso Watson entra in contatto con l’eccentrico ma allo stesso tempo rigoroso e metodico Holmes e, in brevissimo tempo, i due si ritrovano a condividere l’appartamento in Baker Street. Il dottor Watson è chiaramente affascinato da Holmes e, a poco a poco, si rende conto di quale sia la sua attività e di come egli la svolga seguendo un efficacissimo metodo deduttivo.

Una mattina Holmes riceve una lettera da parte di un poliziotto di Scotland Yard, gli sta chiedendo aiuto per risolvere un caso che sembra complicatissimo e misterioso. Lui e Watson si dedicheranno così al caso dello “studio in rosso”.

La narrazione secondo il punto di vista di Watson però non interessa tutto il romanzo, è presente una seconda parte che, catapultando il lettore in un luogo e in un tempo del tutto avulsi dal contesto precedente, serve a spiegare le ragioni più profonde che hanno dato origine al delitto.

Anche se lo straordinario successo internazionale di pubblico e critica arrivò per l’autore soltanto quando uscì la seconda avventura di Sherlock Holmes, “Il segno dei quattro”, ci troviamo con “Uno studio in rosso” già alle prese con un romanzo di eccezionale fama. Non credo quindi di poter aggiungere qualcosa di particolarmente originale rispetto a quanto è già stato scritto o detto su questo mitico personaggio letterario o sulle sue avventure. Posso limitarmi a riportare la mia personale esperienza rispetto a questo lettura che, devo ammettere, è stata molto piacevole e avvincente. Nonostante conoscessi già Holmes – chi non lo conosce?- attraverso film, serie TV, brani antologizzati, e, di conseguenza, non avessi una forte curiosità o desiderio di leggere proprio questo romanzo, sono rimasta positivamente colpita. Sì, davvero i due personaggi di Watson e Holmes sono particolari, il primo che avvince con il suo modo di raccontare pacato e modesto, sotto le cui sembianze si cela evidentemente l’alter ego dell’autore e il secondo, con la sua esuberante genialità che in alcuni momenti diventa comica che ormai rappresenta nell’immaginario collettivo l’investigatore per eccellenza.
Infine, mi ha piacevolmente stupita la bipartizione della narrazione secondo due diversi punti di vista e con ambientazioni così differenti.

In conclusione quindi, si tratta di una lettura coinvolgente e appassionante che ha senz’altro anche la potenza di un classico.
Buona lettura!


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Agli amanti del genere poliziesco.
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Uno studio in rosso 2020-11-10 17:38:54 GioPat
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GioPat Opinione inserita da GioPat    10 Novembre, 2020
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Se non c'è immaginazione non c'è orrore

John Watson è un ex medico militare appena tornato nel Regno Unito dalla guerra in Afghanistan a causa delle ferite riportate alla spalla e al ginocchio. Qui incontra, tramite un suo collega, il famoso investigatore Sherlock Holmes con cui andrà a condividere l’appartamento sito al 221B di Baker Street. Dopo essersi sistemati, all’investigatore arriva un telegramma da Scotland Yard su un omicidio avvenuto in cui si richiede il suo aiuto per risolverlo. Egli, dunque, insieme al suo nuovo coinquilino Watson si reca sul luogo dell’assassinio e grazie alla sua attenzione per i dettagli noterà indizi che sfuggono ai suoi colleghi di Scotland Yard. Quando tuttavia la soluzione del caso sembra vicina, si compie un altro delitto collegato con il primo e dunque presumibilmente effettuato dalla stessa persona. Sherlock Holmes riuscirà a risolvere il caso mentre la polizia londinese continua a brancolare nel buio.

Primo romanzo di Arthur Conan Doyle con protagonista il celebre investigatore Sherlock Holmes. Il libro è suddiviso in due parti: il racconto degli omicidi e gli antefatti che hanno portato alla realizzazione degli stessi. La prima parte scorre molto veloce e presenta anche un colpo di scena a mio parere totalmente inaspettato; l’attenzione del lettore viene posta sui fatti in atto e all’improvviso viene deviata, scelta che ho apprezzato molto. Tuttavia la seconda parte scorre molto più lenta, complice il salto nel passato che viene effettuato e che riporta un’ambientazione totalmente differente da quella della prima. Solo gli ultimi due capitoli, che si ricollegano all’ultimo della prima parte, riportano la narrazione a scorrere e a lasciare il lettore soddisfatto di ciò che legge.

Lo stile l’ho trovato di mio gradimento. Se non sapessi l’anno in cui è stato pubblicato questo romanzo potrebbe risultare senza problemi scritto recentemente: i termini non sono complessi e le frasi sono di semplice comprensione. La storia è narrata in prima persona dal dottor Watson, il che a tratti mi ha divertito poiché palpabile lo stupore di come Sherlock Holmes riesca a cogliere il più piccolo dei particolari e da qui riuscire persino a identificare una persona con le relative abitudini; lo stesso Watson ha subito un identikit da Holmes dopo un semplice e rapido sguardo sulla sua persona.

Il libro lo consiglio vivamente in quanto è molto leggero e mi ha appassionato, nonostante la seconda parte non sia riuscita a prendermi completamente. Leggerò sicuramente i successivi romanzi dello stesso autore con protagonista il famoso investigatore, sperando di poter trovare racconti avvincenti come questo e che mi lascino con il fiato sospeso fino alla fine, ma che mi colpiscano con i colpi di scena. In conclusione questo è un grande classico che non può mancare nella libreria di ogni appassionato di libri gialli.

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Uno studio in rosso 2020-06-21 17:35:08 FrancoAntonio
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FrancoAntonio Opinione inserita da FrancoAntonio    21 Giugno, 2020
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Ecco a voi Sherlock Holmes

Un medico militare invalido e reduce dalle campagne in Afghanistan e uno strano studente in “non si sa bene che cosa” si incontrano casualmente e decidono di andare a coabitare per risparmiare soldi sull'affitto di casa. Come incipit non sembra particolarmente invitante se non fosse che è proprio in questo modo che il Mondo ha fatto la conoscenza di due dei personaggi più iconici della letteratura poliziesca: Sherlock Holmes e il dott. Watson. Già in questa prima indagine il giovane “consulente di investigatori” dimostra di possedere un acume prodigioso che gli consente, oltre a stupire i suoi interlocutori occasionali, di sbrogliare, in soli tre giorni, l’intricata matassa che vede impelagati gli ispettori Lestrade e Gregson di Scotland Yard. Costoro sono incaricati di scoprire chi ha ucciso brutalmente prima Mr. Enoch Drebber e poi il suo segretario, Joseph Stangerson, due cittadini americani da poco residenti a Londra. Ovviamente i due poliziotti non ne imbroccano una. Holmes, invece, già dopo il primo sopralluogo della casa in cui è avvenuto il primo delitto, sa indicare che tipo di persona vada ricercata; dopo pochi giorni, riesce, poi, a procedere al suo arresto.

Penso che nessuno possa dire, sinceramente, di ignorare chi sia Sherlock Holmes. Non esiste nessuno che non abbia mai letto, visto o sentito raccontare qualcosa che lo riguardi. Nessuno che, almeno una volta nella vita, non lo abbia preso a paragone per una metafora. Invero non c’è personaggio della letteratura poliziesca che sia più noto o plagiato che abbia dato origine a più epigoni, opere teatrali, film e telefilm. Nessuno ha ispirato così tante storie basate sulla medesima tecnica di indagine induttiva.
A questo punto cosa si può dire di originale sul romanzo che ha dato i natali al più grande investigatore di tutti i tempi? Che è stato un parto di genio? Che è scritto in modo mirabile e coinvolgente? Che in soli sette capitoli Conan Doyle ha saputo tratteggiare una figura che è restata nella storia mondiale e non solo della letteratura? Che lo stile usato oltre 130 anni fa è ancora fresco e attuale? Sì, forse, ma non sarebbero novità.
In realtà “Lo studio in rosso” non è di per sé un romanzo eccezionale e lo Sherlock Holmes che qui conosciamo ci appare come un personaggio piuttosto indisponente e antipatico, tutt’altro che carismatico. A dirla tutta riesce quasi a battere in avversione il Philo Vance di VanDyne. Inoltre la sua mirabolante capacità di indagine risulta irritante e supponente. La prima parte del romanzo, l’unica in cui lo si vede in azione, è narrata in modo subdolo e scorretto: l’A. nasconde al lettore gran parte delle informazioni che l’investigatore raccoglie e su cui ragiona. Tradisce, così, quel patto non scritto tra narratore e lettore che dovrebbe consentire anche al secondo di trarre le sue conclusioni. Delle due, risulta molto più coinvolgente la seconda parte del romanzo, dedicata a riferire la struggente storia dei Ferrier e di Jefferson Hope e a farci comprendere le ragioni del duplice omicidio. I personaggi di questa storia, ambientata nella cruda realtà della Frontiera americana e dominata dalle spietate leggi del mormonismo dei primi anni, sono assai più toccanti e coinvolgenti, al punto che veniamo portati addirittura a comprendere e giustificare il delitto. Ma, di per sé, neppure questa storia brilla di particolare originalità.
Tuttavia è innegabile che il cocktail di queste due vicende, apparentemente così diverse tra di loro, è sicuramente vincente. Alla fine non si può che ammirare Conan Doyle che, lavorando su un terreno pressoché vergine, è riuscito a innalzare solidissime fondamenta sulle quali è sorto l’imponente edificio del genere poliziesco moderno e, in fondo, pure l’indagine della polizia scientifica dei nostri giorni.

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Consigliato a chi voglia riscoprire questa mitica figura di investigatore partendo, in ordine rigorosamente cronologico, dal suo incontro con il dott. Watson, suo amico e scrupoloso biografo.
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Uno studio in rosso 2019-05-01 15:20:57 archeomari
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archeomari Opinione inserita da archeomari    01 Mag, 2019
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una rossa matassa da sbrogliare

Ho gustato diverse edizioni di quest’opera e vi consiglio di procuravene una illustrata, come quella che ho letto io, edizione BUR (1995) con le illustrazioni di George Hutchinson.
È l’opera fondamentale per conoscere l’origine dell’amicizia e della collaborazione tra Sherlock Holmes e il dottor John H. Watson. Quest’ultimo costituisce la voce narrante delle opere che riportano le avventure del famoso detective privato: noi infatti leggiamo i suoi ricordi, le sue memorie e solo raramente il suo racconto viene interrotto.
Ci imbattiamo all’inizio proprio nel dottor Watson, che, dopo l’esperienza di medico militare dell’esercito britannico in Afghanistan, torna a Londra, solo, senza familiari, alla ricerca di un appartamento in città che sia decoroso, ma non troppo costoso.
Ed è così che conosce Sherlock Holmes, questo strano “studente in medicina”, tramite un conoscente comune che li fa incontrare. Insieme Sherlock Holmes e il dottor Watson prenderanno in affitto, dividendone le spese, un appartamento al numero 221B di Baker Street: quella sarà la strada più nominata in tutti i libri del famoso detective, sarà il suo studio dove riceverà i suoi clienti provenienti da ogni estrazione sociale, da quella più semplice e umile a quella più altolocata, nobiluomini e nobildonne titolati compresi, tutti accomunati dalla sollecitudine, dalla premura, dall’ansia di esporre a Sherlock Holmes i propri problemi, i propri drammi irrisolti che tormentano la loro vita. Ho trovato molto interessante questo libro per varie motivazioni, in primis, il modo in cui viene presentato il detective, questa figura affascinante : un uomo dall’acume geniale, dall’interesse non coronato da studi di medicina “regolare”, ma dalle profonde conoscenze in campo scientifico, in particolare la chimica, l’anatomia, un uomo che però ha anche terribili lacune in campo artistico e letterario che faranno inorridire il suo compagno di avventure.
Sherlock Holmes è capace di attività frenetica ed instancabile quando la sua mente è applicata a risolvere qualche spinoso caso “poliziesco”, ma anche di deprimente apatia nei momenti di inattività. Lo stupore del dottor Watson è sincero quanto la sua ammirazione verso quest’uomo che dice di aver inventato il proprio lavoro, che è quello di essere una sorta di “consulente “ della polizia, l’ultima corte di appello cui si rivolge Scotland Yard quando non riesce a far luce su alcuni casi (prendendomene poi tutti i meriti ufficiali, una volta risolti grazie a lui).

Come mai questo titolo? Ce lo dice proprio Sherlock Holmes :
“Uno studio in rosso, eh? Perché non trovargli un bel titolo, a questa storia? Nell’ incolore matassa della vita corre il filo rosso dell’omicidio, ed è nostro dovere sbrogliarlo, isolarlo, esporlo in tutta la sua interezza”.

Al lettore scoprire il contenuto di questo libro, anche perché nella seconda parte , si cambia totalmente registro, si interrompono le memorie di Watson, ci spostiamo nello Utah, in America e una bellissima storia, sempre collegata al caso da risolvere, vi aspetta. Buona lettura!

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Consigliato a chi ama il genere giallo, perché troverà uno stile narrativo inconfondibile e trama avvincente, ma anche a chi ama i Classici in generale
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Uno studio in rosso 2016-01-06 15:00:43 lapis
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lapis Opinione inserita da lapis    06 Gennaio, 2016
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Vede cose che noi umani non possiamo immaginare

Recentemente mi sono imbattuta nelle “Venti regole per scrivere romanzi polizieschi”, un articolo del 1928 del giallista S.S. Van Dine che esordisce così: “Il lettore deve avere le stesse possibilità del poliziotto di risolvere il mistero. Tutti gli indizi e le tracce debbono essere chiaramente elencati e descritti”.

Fermo restando che a mio parere in letteratura le regole poco valgono (e lo dimostra anche il fatto che, nella mia ignoranza, io Van Dine nemmeno lo conoscessi mentre la fama di Conan Doyle non ha certo bisogno di commenti), queste parole mi sono tornate in mente leggendo “Uno studio in rosso” perché ho chiuso il libro con la sensazione vagamente frustrante che a me lettrice Arthur Conan Doyle non abbia purtroppo dato alcuna possibilità di risolvere il mistero. Le carte infatti non vengono svelate con l’avanzare della storia ma tenute saldamente coperte nelle mani di Sherlock Holmes che, naturalmente, alla fine cala il suo poker d’assi. Secondo il mio gusto di lettrice moderna, cresciuta a pane e Poirot, è questa la caratteristica che più inficia la piacevolezza del romanzo.

Ciononostante, nessuno nega a quest’opera non soltanto il proprio valore letterario ma anche quell’aura “sentimentale” che accompagna la prima apparizione di Sherlock Holmes, il primo incontro con il dottor Watson, la prima indagine in cui fa sfoggio delle proprie eccezionali capacità deduttive.

Bellissima l’ambientazione, che ci avvolge nello spesso e grigio fumo londinese di fine Ottocento. Elegante la scrittura, di alta qualità stilistica e descrittiva. Ma è il carisma di questo personaggio inimitabile e ormai iconico che conquista davvero: presuntuoso, antipatico, un po’ cinico, Sherlock Holmes non può certo lasciare indifferenti con il suo carattere innovativo, la sua genialità acuta, le sue sentenze laconiche. Fascino assicurato.

Immancabile lettura quindi per gli appassionati sherlockiani, per gli amanti del giallo e non solo.

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Uno studio in rosso 2015-05-16 14:37:19 MAZZARELLA
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MAZZARELLA Opinione inserita da MAZZARELLA    16 Mag, 2015
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Non è affatto elementare amici!

“Uno studio in rosso” di Sir Arthur Conan Doyle
Nel 1887 nasce il detective più famoso di tutti i tempi: Sherlock Holmes. Per quarant'anni Sir Arthur Conan Doyle, medico di scarsa fama, scrive storie sul celebre detective e sul suo inseparabile aiutante, amico e voce narrante, il dottor Watson (probabilmente l’alter ego di Doyle), creando un modello che influenzerà tutti i romanzi polizieschi.
L’esordio del grande investigatore si ha con il romanzo “Uno studio in rosso” dove si assiste all’incontro tra Sherlock Holmes ed il Dottor Watson, un ex medico militare di ritorno dalla guerra. Il dottore in cerca di un alloggio, approda per puro caso nell’appartamento di Holmes il quale nonostante sia un tipo abbastanza eccentrico, decide di condividere la casa con il medico.
Holmes suona il violino, passa molto tempo in silenzio a pensare e riceve tante visite da coloro che lui chiama “clienti”. In effetti Holmes è un investigatore privato dotato di una certa fama, tanto è vero che un giorno riceve una lettera dalla polizia inglese che lo informa dell’omicidio di Encoh Drebber. Holmes invita anche Watson a partecipare alle indagini e così i due si recano sulla scena del crimine, dove Holmes inizia a fare domande, ad osservare ed ad appuntarsi tutto su un blocchetto di carta. Il caso per Scotland Yard sembra un rompicapo impossibile, il cadavere non ha segni di violenza e le tracce lasciate dall’assassino (una fede da donna, una scritta in rosso) mandano più che mai in confusione tutto il dipartimento di polizia. Tuttavia l’abilità di Holmes è notare ciò che gli altri si limitano a guardare, dedurre ciò che gli altri non capiscono (l’arma vincente del nostro investigatore è proprio la scienza della deduzione) ed analizzare (grazie anche alla sua abilità come chimico) tracce scientifiche.

Una volta eliminato l’impossibile ciò che rimane, per quanto improbabile, dev’essere la verità.

Una persona che si basa sulla logica deve vedere ogni cosa esattamene com’è, e la sottovalutazione di se stessi costituisce una deviazione dalla verità quanto l’esagerazione delle proprie capacità

Alla fine il nostro grande investigatore giunge brillantemente a capo della vicenda e Watson rimane sorpreso sia dal finale sia dalle incredibili capacità dell’amico. La frase “Elementare, Watson” conosciuta dal mondo intero non appartiene né ad Holmes né tantomeno a Doyle eppure posso affermare che sicuramente tutte le storie di Doyle “non sono certamente elementari o scontate”. Non è il solito giallo, e fino all’ultima pagina ci si chiede come può una mente elaborare così velocemente tante nozioni. L’ambiente, lo stile, gli scenari ma soprattutto i personaggi e le vicende, fanno di Sir Arthur Conan Doyle uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi, poiché i suoi romanzi (ambientati nell’Inghilterra del 1800) sono tutt’oggi più che attuali. Il carisma di Holmes e Watson li ha fatti amare e continuerà a farli amare perché sono intramontabili. Chi di noi non vorrebbe avere le capacità di analisi deduttive del nostro caro investigatore privato? E’ elementare, tutti!

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Uno studio in rosso 2015-04-20 08:08:23 Vita93
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Vita93 Opinione inserita da Vita93    20 Aprile, 2015
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Una grande mente

Sir Arthur Conan Doyle è stato un versatile scrittore scozzese di grande importanza artistica, considerato il fondatore, insieme ad Edgar Allan Poe, di un sottogenere letterario importante come il giallo deduttivo.
Il personaggio del geniale investigatore Sherlock Holmes è ancora oggi, a distanza di 128 anni dalla sua creazione, il più celebre tra tutti i detective della letteratura poliziesca.
È curioso il fatto che il rapporto tra Doyle ed il personaggio da egli stesso creato sia stato, secondo varie fonti, difficile e burrascoso. Pare infatti che l’autore non apprezzasse particolarmente il fatto che la fama del detective letterario avesse superato quella del suo ideatore. Il clamoroso successo di Holmes ha infatti messo in ombra altre produzioni di Doyle, appartenenti a generi che il nativo di Edimburgo apprezzava maggiormente, come i romanzi di avventura o quelli fantastici.

Ne “Uno studio in rosso”, datato 1887 e primo dei quattro romanzi incentrati sulla figura di Holmes, viene descritto il casuale incontro tra Sherlock ed il Dottor Watson, medico reduce dalla guerra in Afghanistan e narratore della vicenda, considerato l’alter ego dello scrittore.
Entrambi in cerca di una casa, si ritrovano, grazie ad una conoscenza comune, a condividere un appartamento all’indirizzo 221B di Baker Street, Londra.
Watson capisce subito di trovarsi di fronte ad un individuo singolare, e la sua curiosità aumenta quando scopre che Sherlock collabora con la polizia in qualità di investigatore privato ed è anche sostenitore di coraggiose teorie sul metodo scientifico e sulla deduzione intuitiva applicate alla criminologia.

La storia è divisa in due parti. La prima sezione verte sull’incontro tra i due protagonisti ed arriva alla scoperta del colpevole, mentre la seconda mira ad analizzare, attraverso un lungo flashback, i motivi che hanno spinto l’assassino a compiere il delitto.
Se nella prima parte spicca la personalità eccentrica, sarcastica, carismatica ed imprevedibile di Holmes, nella seconda emergono numerosi approfondimenti esotici, culturali e religiosi.
Doyle utilizza uno stile accattivante, divertendo il lettore con un raffinato sense of humour rigorosamente britannico e sfruttando le differenze tra i due protagonisti. Emblematico è il rapporto che i due personaggi hanno con le proprie deduzioni. Holmes, quando intento a riflettere, passeggia, parla da solo, lascia fluire le proprie osservazioni senza mai dimenticarsi niente, mentre Watson deve necessariamente riordinarle e scriverle su carta. E così dopo aver conosciuto Sherlock sente il bisogno di appuntarsi l’elenco dei rami del sapere in cui il detective sembra non avere segreti, nel vano tentativo di inquadrarlo meglio.

“Uno studio in rosso” è un giallo senza tempo, così come lo sono Holmes e Sir Arthur Conan Doyle, che ha avuto il merito, come tutti i precursori, di anticipare i tempi ed indirizzare i propri successori.

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Uno studio in rosso 2014-11-25 22:35:30 Marco Caggese
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Marco Caggese Opinione inserita da Marco Caggese    26 Novembre, 2014
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Cento anni avanti

Un genio. Non riesco a trovare un altro termine per descrivere Sir Arthur Conan Doyle.
La lettura accurata del primo romanzo che vede come protagonista il celeberrimo Sherlock Holmes mi ha fatto comprendere quanto Conan Doyle sia riuscito a creare qualcosa di assolutamente nuovo in campo letterario e di quanto sia stato precursore di un certo modo di concepire i personaggi protagonisti di un racconto.
Holmes è un personaggio incredibile, stravagante, arrogante, talentuoso, quasi ottuso nell'approfondire i suoi interessi: impossibile non innamorarsi di questo straordinario essere. E precisiamo che Conan Doyle ha scritto questo romanzo nel 1890!!! La freschezza della scrittura, la dinamicità dei personaggi e l'incessante incalzare della storia rendono questo romanzo imprescindibile.
Anche la struttura stessa del racconto è unica ed innovativa per i suoi tempi: il volume è spaccato in due parti, la prima racconta la vicenda presentandoci Watson, Holmes e tutti i personaggi di contorno che si trovano di fronte ad un omicidio attorno al quale fioriscono i misteri. Certo non per Sherlock Holmes...
Stop. Seconda parte del romanzo. Ci troviamo nell'America del Nord di cento anni prima, ci viene narrata una vicenda che fatichiamo a collegare con quello che abbiamo letto finora, ma con lo scorrere delle pagine tutto torna ed il passato mostra il suo gravoso fardello.
Una vera riscoperta, un libro "seminale" di quasi 130 anni fa che si fa leggere nel modo più avvincente possibile, dimostrando di essere un capolavoro del suo genere.

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Uno studio in rosso 2014-03-26 20:06:31 f.ilvi
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f.ilvi Opinione inserita da f.ilvi    26 Marzo, 2014
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Un piacevole incontro

Leggere i romanzi di Sherlock Holmes è una delle tappe obbligatorie di un lettore che si rispetti. E' con questa idea che ho acquistato questo libricino (130 pagine circa). Breve ma ricco di dettagli, il racconto parte subito, senza troppi preamboli, con l'incontro tra i due protagonisti: il dottor Watson, che è anche il narratore, e il più che noto Holmes. La storia è molto scorrevole, di quelle che ti tengono incollato pagina dopo pagina, con la curiosità di sapere come si evolverà la vicenda e con la costante domanda: "ma come ha fatto a capire tutto questo da un dettaglio irrilevante?"...tranquilli, tutto ha una spiegazione, ogni particolare è lì per un qualche motivo!

ATTENZIONE: PICCOLO SPOILER
Ho gradito in particolare la spiegazione del movente dell'assassino, che ha inizio in un luogo ed in un tempo molto lontani, tanto da chiedersi se la seconda parte del libro non sia un altro racconto totalmente indipendente dalla prima! Alla fine però, quando il cerchio si chiude, ti lascia un senso di soddisfazione, perché Conan Doyle non lascia davvero niente al caso!

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Romanzi gialli
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