Umiliati e offesi
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Soccombono
Romanzo pubblicato a puntate nel 1861 sulla rivista "Vremja", la prima grande fatica dopo il ritorno dalla Siberia, alle spalle già l’esordio con “Povera gente”, caso letterario nel 1844, e “Il sosia”, l’anno successivo. Avendo una buona base autobiografica, la voce narrante è infatti uno scrittore alle prime armi, Ivan Petrovi?, può risultare interessante per chi ama lo scrittore: Vanja infatti è il giovane Dostoevskij, preso e perso nella scrittura, in continua lotta con essa che lo sfama ma lo attanaglia. Le atmosfere sono quelle laide della Pietroburgo dove lo scrittore cerca casa e prende fortuitamente quella lasciata libera da un vecchio che gli muore tra le braccia per strada. Proprio la scena magistrale della morte del vecchio Smith avvia la vicenda che si chiude ad anello dopo quattro lunghe sezioni e un didascalico epilogo; il tutto demandato a un’ampia analessi prima del congedo non rappresentato dalla voce narrante che, ripercorrendo il suo ultimo anno di vita, ci preavvisa della sua imminente morte. L’appartamento liberato è il luogo che gli ha permesso di incontrare la piccola nipotina di Smith che cerca il nonno e alla quale rivelerà il triste destino; la narrazione però darà modo di capire che è in realtà è proprio la piccola Nelly a subire maggiormente la condizione di umiliazione e di offesa a cui si riferisce il titolo. E mentre si viene a conoscenza della sua triste vicenda biografica, opportunamente frazionata nel corso della narrazione, si ha modo anche di conoscere maggiormente Vanja. Non è solo un giovane scrittore in cerca di sistemazione, povero e in perenne affanno, è anche un ragazzo non corrisposto nel suo amore per Nataša la quale ama il ricco Alëša, figlio del malvagio principe Valkovskij, che ha decretato la rovina economica della sua modesta famiglia. La trama permette di intuire che il modulo narrativo di appartenenza è quello del più classico feuilleton, a tratti davvero esagerato e disturbante, eppure il lettore più accorto vedrà in nuce la superiorità della penna capace di scandagliare l’animo umano e di creare personaggi che si affannano “sotto il greve cielo pietroburghese” ignoti al “frenetico tumultuare della vita” e nettamente contrapposti al ricco mondo nobiliare. Tutto sommato una lettura necessaria anche se non sempre gradevole.
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umiliati e offesi, derisi e...vincitori. SPOILER
Guizza alla mente, lampante, una curiosità, quale tutti legano in seno; Quando, uno scrittore, davvero riporta la realtà oggettiva dello svolgimento dei felici o mesti accaduti? E' una domanda che, scaturisce timida, inopportuna, incredula.
Menarsi entro un'aia, di un magno torsolo di carta, sottende a svincolarsi ancora in altri piccoli atrii. Quanti morsi ci vogliono ancora per addentarlo? Nel frattanto che, sono sazio, sono saturato dal torsolo, come posso ancora renderlo tale ad un giulebbe? Forse, posso almanaccare qualcosa, e farne un crogiolo assai saporito. Rendere ambo i sapori autentici, interscambiarli. Un frutto così purgato come la mela, naturale, che vien poi detrito, dalle intemperie della mente che vuol che sì, quel pasto diventi quantomeno agrodolce.
Il numinosissimo mestiere di scrittore è questo, come biblicamente realizza un profeta; trasformare, mutare, surrealmente qualcosa, in un altra cosa sommariamente utile, o comunque presso a poco così. Dostoevskij scrive nel 1861 Umiliati e Offesi, un'opera 'rozza', una bozza scaramantica di quel che poi saranno tomi di gran spessore; Delitto e Castigo (1866) e L'idiota. (1869). Umiliati e offesi nasce a scatti, una trama che vien pubblicata a macchia di leopardo su 'Vremja', come d'altronde ogni manoscritto ancor in nuce nella mente del nostro autore. Un mero Feuilleton russo; Dostoevskij s'ispira ai romanzi di appendice francese, ciò infatti gli costò diversi elogi o massacri; gremito di colpi di scena, ingarbugli e guazzabugli, fili conduttori e fili recisi, digressioni o vicende lasciate a metà e poi raggiunte più innanzi.
I personaggi sembrano molto caricati; cadauno rimarca o scema il parossismo dell'altro. Le due storie sono assolutamente un pantano di coincidenze, di assoluta vicinanza, di cupezza, di melliflua tribolazione. La teoria del doppio, la diaspora dell'io, l'andirivieni del carnefice-preda, le attente meditazioni, descrizioni dell'animo umano permeano la narratio dostoevskiana, come altresì circoscritto nel massimo esempio di narrativa; L'idiota.
Il titolo nomato, è uno dei più incisivi tra tutto il corollario romanzesco dostoevskiano. Umiliati e offesi, da chi? da chi l'onta? l'umiliazione? la prosternazione avvilente? dal popolo lubrìco, il popolo agiato, la gente già di per sé vilipesa che infligge ancor più infime malefatte ai deboli. ai degenti, fra i ricchi e i vigorosi. Un golfo di intristita esposizione narrativa, quasi sofferente, dacché spunta fuori la secondaria vicenda della piccola Nelly, o Elena; orfana, indigente, viene accolta nella casa degli orrori della Bubnova. Tra schiaffi, pugni, calci e invettive, epiteti ingiuriosissimi, la piccola ammutolisce sempre. Più la ferocia dell'ubriacona è violenta, ancor più insolente è il silenzio di nelly, finché un Ivan Petrovic -Dostoevskij stesso- non s'incappa sinché un Ivan Petrovic -Dostoevskij stesso- non s'incapperà da quel frangente in poi, nel secondo filo narrativo della tragica storia Nelly/Smith/madre di Nelly. Ivan, è uno scrittore in erba, da poco immolatosi al corpus della letteratura; si possono decifrare meglio i crucci, i rovelli, e i rudimenti della scrittura dostoevskiana; allude sottilmente, alle prime cuciture del romanzo ‘’Povera Gente’’ il quale, riesce a sublimare l’autore aderendo al panorama circoscritto. Il teatro ‘scritturale’ messo in gioco, sdilinquisce l’autore stesso –egli interagisce, patisce per la sorte delle proprie creature, rivela- ; i personaggi come dei sosia diversi, passivamente subiscono il sudore della penna, sono delle marionette che attingono il proprio ruolo alla realtà ingarbugliata con il sogno. Tutto sembra prender forma sotto la pressione della penna, Dostoevskij fornisce di che conoscere sul proprio modus operandi; ultima i romanzi e li consegna all’editore-fiduciario entro due notti, disvela l’attaccamento verso i libri, e il suo trasporto, paragona il poeta o scrittore ad una sorta di persona ingenua, sciocca per sua la condizione franca, bonacciona, fors’anche gaglioffa. Trasmuta ansie, ricordi, lavoro letterario. Il carattere analitico-apprensivo-meticoloso lo ritroviamo in continue interpolazioni descrittivo-costruttive, il costeggiare delle opere-sogni è sempre una preterizione subdola. ‘'mi pareva che tutto ciò accadesse in un sogno” elemento chiave di tutta l’opera omnia; un tale riecheggio trasognante, lo ritroviamo anche nella tenerissima, controfattuale, rimordente amara conchiusione del romanzo. ‘’Vanja! Vanja!, non era che un sogno!’’... ripeté Natasa.
Natasa/Alesa/i genitori di Natasa/il principe o padre di Alesa è il primigenio intreccio narrativo, contrassegnato da cliché romantici, languide esposizioni di amore, il perir d’amore di una protagonista degna di eroismo romantico. Natasa, doppio di Nelly, è ben discrepata dall’attinenza fuggitiva della seconda. Ritroviamo una Natasa angusta all’interno di tuguri, pallida, meditabonda, ben indulgente con Alesa, che quasi masochisticamente –come Ivan- trovano una sorta di godimento nella propria condizione grama e insofferente. Alesa è designato come un bambino eterno, ingenuo, puerile, puro di sentimenti e intenti. Ama Natasa, ma è mal accoppiato con quest’ultima. Natasa ne è cosciente, segue difatti una lettura immersa in sfoghi sentimentali, di lacrime variopinte di quest’amore così malconcio, eppur sì forte; ella, si configura una ‘delirante’, una folle d’Amore per Alesa. Cela sovente il malcontento, la delusione, la tristezza, l’esosa ira dacché scopre gli innumeri tradimenti di Alesa; non solo carnali, bensì elettivi. Alesa ne è conscio, ma ambo i due amanti invizziti sembrano doversi pasteggiare, miscelare, confrontarsi per porre rimedio alle perpetue assenze, fuoriuscite e pantomime trite e ritrite amorose. Nelly, invece è l’estremo tangibile di Natasa; Si aggira per le strade Pietroburghesi, bighellona qua e là, fugge scappa e rifugge, dimentica della perigliosità del proprio eremitaggio. E’ solo una bambina, derelitta, una preda comune per tutte le persone assetate di un’intaminata anima, che alla sua età, ha già a usura scorto tanta umana ignominia. I prodromi iniziali, la scomparsa di Smith, la degenza dell’io narrante che presagisce una morte sicura, una vicenda apparentemente regolare che attivamente subisce delle deformità, congiungono all’avvento di fatti appurati, incidenti e scontri. L’elemento gotico permea quasi in tutto il discorrere su Smith; un vecchio decrepito, languido, schivo, infermo quale con il suo cagnolino Azorka –salvato dalla figlia di Smith dall’esecrante viltà di perfidiosi ragazzini-appare esser un cenobita terrificante, che infatti non riconosce la luminescente essenza del perdono. Ivan, dunque fa da spola, annaspa qua e là, è foriero di cattive e buone imbasciate ai genitori di Natasa (Nikolaj Sergeic e Anna Andreevna) la separazione, o abbandono della figlia non è affatto vissuta di buon animo. Il padre, un gomitolo di amore, di venerazione verso la figlia, si sente umiliato e offeso da quest’ultima; la maledice, proprio come Smith riversa a sua figlia, la quale scappa con l’avveniristico padre di Nelly, abbandonata poi, da questi in pregnanza. Natasa, altresì subisce la vessazione di figlia fedifraga, ingrata, indegna e così dice addio ai suoi, con lacrime sincere e nostalgiche di casa –legge la poesia di Polonskij, la sonagliera- sciorinando continui malanni, pallidume e affanni.
Ma la maledizione è troppo fiacca. Non ha effetti, seppur la causa grava. Le sorprendenti passioni umane delle quali D. incanta spassionato, riescono a diramarsi, a proliferarsi, cosicché ambo le due storie avranno due distinti destini. Alla ribalta, mi costerna farlo, eppure debbo; Il principe Valvovski è uno di quei personaggi statici, viene presentato esattamente così com’è, durante la narratio diverse volte, e in occasioni più o meno ambigue o indesiderate staglia una ludica, impudica, rude verità del parlare, l’antipode del morale, l’incresciosa caduta di stile dell’essere umano, insomma. Ciascheduno, ingloba una metamorfosi; Nelly si lascia affocare dal meridiano dell’amore, si scioglie pur provando temenza, vergogna, a quelle che sono le buone attenzioni, Natasa accetta, svilita ed esangue, l’abbandono di Alesa con Katja (i ben accoppiata) risospingendosi dai suoi, ritornando a far parte di quel nucleo familiare, quell’involucro che dapprima la opprimeva e che or ora la riammetteva, anche se deprivata della propria sessualità, quantomeno. Il principe Valvovski, allorché avrà adito all’incontro a cena con Ivan, ostenterà tutto quel barile di umana scelleratezza, nefandezza nera.
‘’-se potesse avvenire, dico, che ciascuno di noi fosse obbligato a rivelare i lati più nascosti di se stesso, ma in condizioni tali da non temere di far luce non soltanto su tutto ciò che non direbbe mai agli uomini...ma persino su ciò che non osa confessare a sé stesso, ebbene, in questo caso, nel mondo si spargerebbe un tale fetore da soffocarci tutti quanti.” Prosegue rivelando il grimaldello che il lettore, presumibilmente, avrà già indovinato qualche pagina fa. Parte terza, cap X. Interessante è l’incrinatura della morale, dissacrante e rudimentale è la voce della malvagità che rabbuffa ciò che oggi rinomiamo eticamente giusto, o moralmente sbagliato. L’auspicio, s’intende, è quello di ponzare, liquefarsi, arrovellarsi, contorcersi e porre nel cartellario cerebrale una duplice visione della realtà.
Fa da uccel di bosco anche il cibo; un’anoressia indotta percorre il racconto, tutti sembrano nutrirsi SOLO di bevande, minestre, e vivande alcoliche. La guantiera gremita di piatti opulenti, sembra esser sempre intonsa, mai presa d’assalto da alcuno stomaco
E Dostoevskij è un alacre persecutore della penna proprio in questo; rappresentare ogni fattezza umana in quel che è, non camuffare alcunché. Assommare nell’arcoscenico di scrittura i corrotti e i semifolli; tutti, annesso Maslobojev, vecchio compagno di studi di Ivan, che sebbene viva di espedienti, ragionamenti ostici e bagordi, è una sorta di agente che vien soggiogato dall’esborso di ingente danaro...
Umiliati e offesi è una pullulante risposta che senza batter ciglio, vuole escutere i propri lettori, in un certo modo vuole offender essi, li vuol pizzicare, li vuol tener legati a corde di canapa. Ognuno è asservito dal brutto vizio dell’universo: La nefasta condizione degli umili tirannica, intomba questi neofiti del male nel calvario dell’etanolo, del danaro, del puntiglio avamposto alla ragione, dell’orgoglio leso dinnanzi ai propri affetti, che non perdona, e che esima ricordare.
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Di certo, questa non è un'opera minore, come d'usanza si suol credere!
Opera minore? Per me no.
“Umiliati e offesi” per molti è considerata un'opera minore del famoso russo conosciuto più per altri titoli che per questo, io personalmente ne sono rimasta piacevolmente colpita.
Come premessa posso dire di aver letto questo libro dopo “I fratelli Karamazov” e “Delitto e castigo”, considerate fra le opere più importanti dell'autore e forse questa scelta mi ha fatto apprezzare ancora di più l'opera.
Stiamo parlando di un libro che al tempo era uscito a puntate e pubblicato su una rivista; l'autore era appena tornato dalla Siberia e per tenere il pubblico incuriosito e pronto a comprare anche il numero successivo della pubblicazione ha creato una storia un po' “soap opera”, ricca di colpi di scena.
Il protagonista è lo scrittore “sfortunato” Vanja, l'autore si è molto ispirato alla sua esperienza personale per descriverlo. Come ogni soap che si rispetti c'è: l'amore non corrisposto, l'amore infantile, il rifiutato, l'amante, il cattivo, i litigi e chi più ne ha ne metta.
Quello che colpisce, oltre alle scelte dei vari personaggi in alcuni casi davvero incomprensibili, è il carattere e le varie interazioni che fra di loro avvengono. Quando parlo di soap opera, voglio ricordare che il titolo dell'opera è “Umiliati e offesi” e le lacrime, i rancori, i dolori e le ingiustizie non mancano, soprattutto se penso alla piccola Elena.
“Tutto quello che accade è molto comprensibile e resta nella memoria; si impara a capire che anche l'uomo più disgraziato, l'ultimo di tutti, è pur sempre un essere umano, un nostro fratello”.
Un Dostoevskij molto lontano dalla sua maturità ma che si fa apprezzare anche per questo. Il libro si legge bene e scorre velocemente e per chi avesse “paura” di avvicinarsi all'autore russo, questo potrebbe essere un buon punto di partenza.
Lo consiglio, sono rimasta incollata alle pagine per seguire la storia, io la rivista l'avrei comprata!
“Dicono che “un sazio non capisce un affamato”; io dirò, invece, Vanja, che non sempre un affamato capisce un altro affamato.”
Buona lettura!
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Emozioni mancate
Ho deciso di cominciare a conoscere questo scrittore russo, partendo da uno dei suoi libri considerati minori e devo dire che non mi ha molto entusiasmato, in quanto l’ho trovato un po’ noioso, sia come ritmo, sia anche come coinvolgimento, però, nonostante questo, alcuni aspetti mi hanno particolarmente e positivamente colpito. Come ogni romanzo russo, è popolato di personaggi minori e secondari e l’autore è veramente molto bravo a tratteggiarli, delineandone i tratti e facendoci conoscere in particolare timori e paure, tanto da non farceli dimenticare di mano in mano che prosegue la lettura. Ce li fa conoscere attraverso tanti dialoghi con il protagonista, il personaggio di Vanja, che è lo stesso scrittore. Ed è proprio la scelta dell’io narrante l’aspetto che più ho apprezzato, un narratore interno alla vicenda narrata e partecipe ad essa. E’ una scelta stilistica che pone fin da subito la lettura su un piano speciale. La trama però non è nulla di speciale; l’amore, tema centrale attorno al quale ruota il libro, è presentato in tante sue forme e sfaccettature, ma non mi ha dato emozioni, se non sporadiche. I ritmi sono morbidi e lenti, a mio parere un pò troppo, in quanto, soprattutto nella prima parte, la lettura è veramente un po’ noiosa.
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Sotto il greve cielo pietroburghese
“Sotto il greve cielo pietroburghese, negli angoli oscuri e nascosti dell'enorme città...”.
Non è il miglior romanzo di Dostoevskij, ma lo stile dello scrittore russo si apprezza ugualmente e soprattutto in certe pagine lascia il gradevole retrogusto di un prodotto qualitativamente alto.
L'influsso romantico ottocentesco è un po' troppo marcato, l'enfasi spinta all'eccesso fino a inzuppare le pagine delle lacrime facili dei personaggi, più che dell'umidità di Pietroburgo.
La personalità di alcune figure spicca ben delineata, ed è affascinante scorgere le contraddittorie sfaccettature di quelli che si collocano nella linea di confine tra bene e male, senza decidersi a varcare definitivamente l'una o l'altra.
Ci sono gli umiliati e gli offesi, che si nutrono di nobile orgoglio anziché di pane fino a rasentare il masochismo, e poi c'è il carnefice, astuto e demoniaco, il furbastro traffichino (che è il personaggio più riuscito) e l'io narrante, super partes ma non troppo.
Ogni tanto fa capolino l'ironia, che non basta però ad alleggerire una narrazione un po' prolissa: ci si dilunga troppo sul dramma iniziale a scapito degli sviluppi finali, che restano in sospeso, e si calca talmente la mano su quelli che dovrebbero sembrare sentimenti puri e nobilissimi da renderli addirittura stucchevoli.
Come il discorso di una fanciulla alla sua rivale in amore, a proposito dell'uomo che quest'ultima le ha appena ceduto per spirito di sacrificio: “L'ama immensamente, l'amerà sempre, tanto che se un giorno smetterà di rimpiangerla pensando a lei, subito io stessa cesserò di amarlo per questo...”.
Il greve cielo pietroburghese dovrà aspettare ancora qualche anno per ispirare i capolavori dello scrittore.
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Entusiasti e ammirati: B. svelato 150 anni fa
La lettura di Umiliati e offesi è un’esperienza profonda, al termine della quale si è sicuramente arricchiti nella capacità di comprendere le contraddizioni dell’animo umano. Può alle volte non piacere come Dostoevskij scrive, si può dissentire dalla sua visione delle cose e della società, ma è indubbio che questo autore rimane uno dei grandissimi scavatori, uno dei massimi speleologi della personalità che la letteratura ci ha dato.
Umiliati e offesi è precedente ai quattro grandi capolavori della maturità, e, come detto nell’introduzione riportata qui sopra, fu concepito quasi come un romanzo d’appendice, da pubblicare a puntate su una rivista popolare, e quindi non è scevro dai difetti del romanzo che deve tenere sempre desto l’interesse del lettore: in particolare, alcuni colpi di scena, alcuni intrecci sono sicuramente forzati, come pure in alcuni passi la narrazione assume toni eccessivamente melodrammatici.
Purtuttavia, questi difetti vengono spazzati via dalla forza con cui l’autore sa tratteggiare i caratteri dei protagonisti, dalla sua capacità di restituirci personaggi duramente scolpiti ma nello stesso tempo articolati e complessi.
All’inizio del romanzo sembra che il personaggio principale sia l’io narrante Vania (userò, per i nomi dei personaggi, l’italianizzazione proposta dai traduttori dell'edizione da me letta). In lui non è difficile scorgere lo stesso Dostoevskij: è un letterato, solitario, destinato a svolgere, come l’anonimo protagonista del racconto Le notti bianche, il ruolo di innamorato a senso unico della protagonista femminile (qui Natascia, lì Nasten’ka), di suo confidente e amico che l’accompagna verso l’altro, reprimendo ciò che veramente sente. Vania quindi rappresenta un vero e proprio topos Dostoevskijano, è lui, è l’intellettuale rinchiuso in sé stesso dopo la perdita di ogni illusione circa la sua capacità di incidere sulla realtà, che anzi è costretto a giocare un ruolo di testimone anche rispetto al fallimento dei suoi sentimenti e delle sue aspirazioni personali, restandogli solo la possibilità di riversare sulla pagina le sue sofferenze.
Se Vania è sicuramente un personaggio chiave del romanzo, il vero protagonista, il gigante negativo è il principe Valkovsky. Egli assomma su di sé tutti i caratteri tipici della piccola aristocrazia di campagna russa che costituiva un anello fondamentale nell’organizzazione sociale dell’autocrazia zarista: è falsamente bonario, paternalista, aperto al nuovo e tollerante nei confronti della infatuazione del figlio Alioscia per la povera Natascia; anzi, apparentemente vuole favorire il matrimonio tra i due, dichiarando il suo apprezzamento per la personalità e il carattere di Natascia. In realtà Vania/Dostoevskij ci avverte subito, sin dal suo apparire sulla scena, che nei suoi occhi, nei gesti e nei momenti meno controllati affiora la vera personalità del principe, che è egoista ed avido, che mira solo a portare il figlio verso un matrimonio “adeguato” a risolvere i suoi problemi finanziari. C’è un momento del libro in cui anche noi lettori non capiamo bene la strategia del principe, che è talmente sottile da essere difficilmente interpretabile. Prima Natascia, che è sicuramente il personaggio più appassionatamente lucido del libro, poi il principe stesso, nel corso di un memorabile colloquio con Vania che rappresenta l’acme del romanzo, ci apriranno gli occhi.
Rispetto a questo personaggio non posso esimermi da due considerazioni. La prima è relativa al fatto che, anche se il romanzo non assume mai al suo interno elementi di critica sociale, essendo un romanzo “psicologico”, la figura del principe è sicuramente una critica feroce ad una intera classe sociale, che come detto era uno dei bastioni dell’arretrata e sommamente ingiusta società russa. La seconda, sicuramente più azzardata, riguarda la straordinaria somiglianza che si può individuare tra Valkovsky e un noto personaggio della vita politica italiana dei nostri giorni: stessa capacità di ammaliare, di apparire simpatico e attento alle esigenze degli altri, perseguendo al contempo spietatamente i propri interessi personali.
Il romanzo ci presenta molti altri personaggi, ed anche storie parallele a quella principale. Non voglio però togliere il piacere della lettura entrando in dettagli eccessivamente rivelatori: basti sapere che in meno di quattrocento pagine Dostoevskij ci offre una vera enciclopedia di tipi umani, che insieme compongono un quadro psicologico e sociale di grandissimo spessore emotivo.
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Nobiltà e decadenza
"Umiliati e Offesi" è rimasto nell'ombra rispetto alle opere più famose di Dostoevskij , la cosa un po' mi infastidisce poiché la lettura è stata estremamente piacevole nonostante il classico "compiacersi" del nostro (che diventa ulteriore godimento per chi si nutre del suo linguaggio o viceversa inutilità per chi mal lo sopporta).
Me lo immagino il buon Fedor mentre butta giù pagine su pagine di questo romanzo, un romanzo perfettamente spiegato dal titolo scelto. Noi assistiamo alla vicende per mezzo di Vanja (Ivan Petrovic) astro nascente della letteratura grazie al suo primo fortunato romanzo. Il nostro si viene a trovare in mezzo ad una serie di faccende per nulla semplici da districare. Da una parte c'è la famiglia che lo ha cresciuto, da una parte l'affetto per la bella Natasa e dall'altra quella di una dolce ma "selvatica" orfanella. Su tutto incombe la figura "diabolica" del principe decaduto Valkovskij, sempre pronto ad infastidire chiunque si metta sulla strada del denaro.
Leggere Dostoevskij è come completarsi, la sua nobiltà emerge su ogni rigo con straordinaria eleganza, sia che parli di ambienti aristocratici o di quelli poveri ogni oltre criterio. Trovo il primo capitolo (quello che ci presenta il vecchio e il suo cane) di una straordinaria forza narrativa, mi ha praticamente tenuto incollato alle righe in maniera incredula. Così ampio il bagaglio, un continuo compiacimento narrativo che ha ben pochi eguali.
Non mancano nemmeno alcuni colpi di scena anche se bisogna dirlo la lettura è abbastanza lineare e priva di "sobbalzi", diciamo che quando ci sono sono sempre in qualche modo attutiti e sta a noi recepirli secondo nostre sensazioni.
Caratteri da non trascurare sono quelli del principino Alesa (dove magari ritroveremo qualcuno di nostra conoscenza) e della piccola Nelly (straordinari i suoi primi ingressi in scena).
Se la scrittura di Dostoevskij potrà essere un ostacolo per tanti lo stesso non si può dire per la storia che scorre avanti in maniera precisa e mai confusa. Nel suo angolino nascosto "Umiliati e Offesi" chiede più attenzione, ora sta a voi decidere se dargliela o meno.