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Nel Perù di inizio Novecento, l'impresa statunitense Mining Society acquista le miniere di tungsteno della zona di Cuzco, creando un giro d'affari inconsueto per gli abitanti del luogo. Ma l'arrivo dei grìngos equivale a un'invasione nelle terre ancestrali degli indigeni, e nelle loro vite. Ben presto il lavoro in miniera si trasforma in schiavitù. Il lettore non può restare indifferente all'esplicito atto di denuncia contenuto nel romanzo; è costretto a prendere una posizione, come fa l'agrimensore Leónidas Benites, uno dei protagonisti. Con un linguaggio diretto ed estremamente visuale, Vallejo intreccia una narrazione che è prima di tutto politica, ancora attuale a più di ottant'anni dalla sua prima pubblicazione: una riscoperta necessaria.



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Tungsteno 2018-03-22 09:15:43 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    22 Marzo, 2018
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L'Ingiustizia sociale

Come scrive Fofi nella sua prefazione, Vallejo sa di cosa parla, cioè racconta fatti e abusi che conosce in prima persona. Il libro spiega l'Ingiustizia sociale che colpisce alcune popolazioni indio del Perù, reclutate a forza dalla compagnia mineraria per la locale miniera di tungsteno. Gli indio sono prima espropriati di terre e campi, poi resi schiavi e costretti a un lavoro senza tregua e fino alla morte, un lavoro per di più contrario alla loro natura, per la quale amano la vita libera e all'aperto. L'ingiustizia è amplificata dalla mitezza e dall'innocenza anomala e assoluta di questa popolazione. Gli indio donano le loro cose per niente: case, terre, campi, raccolto. Complici dello stato di cose sono praticamente tutti gli uomini di cultura, dal giudice al medico al sindaco al prete oltre ai dipendenti della compagnia mineraria. Mi è piaciuto molto il finale in cui si ritrovano insieme tre persone, ognuna delle quali cova risentimento verso i "padroni": Benites lo studente che è stato licenziato dalla compagnia (ma finchè ci lavorava la sua coscienza poteva turarsi il naso e andare avanti), il sorvegliante innamorato di una donna uccisa dai padroni, e l'indio sveglio, il fabbro che capisce, legge e conosce Lenin in cui spera.
Quello che colpisce nel romanzo è la sensazione di sincerità. Sembrerebbe un mondo senza speranza dato che la naturale bontà degli indios toglie ogni freno inibitore alla crudeltà e avidità degli altri.Il finale è molto bello. In un certo senso, la presenza del fabbro, un indio intelligente, è un segno di speranza ma anche di fine di un mondo e di un certo modo di vivere. Il fatto che una popolazione così docile e pacifica debba evolversi e diventare intelligente per reagire alle angherie, è di per sè ingiusto.
E' come se il male della civiltà avesse in ogni caso contaminato un mondo che era privo di malizia condannandolo a sparire.

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