Tristano
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animi malati
Con racconti di questo calibro ci si dovrebbe dilungare sul periodo storico in cui sono stati scritti, sui messaggi che l'autore vuole lanciare e su altre considerazioni per così dire "alte". Io invece evito di farlo, perché in Thomas Mann, già ai tempi della scuola ho sempre apprezzato la nitidezza nello scrivere. La sua capacità di essere così preciso nelle descrizioni dei personaggi, umani o animali che siano, da dare l'impressione al lettore di vederseli davanti. Anche in questo racconto, che in realtà di presta meno di altri a una lettura di questo genere. la parte che mi è piaciuta di più è la descrizione dei personaggi sia dal lato fisico che da quello intellettivo e psicologico.. Visto il mio approccio da lettore poco "colto", ma molto appassionato di storie e di personaggi questo non è lo scritto di Mann che mi sia piaciuto di più. L'ho comunque portato a termine senza difficoltà.
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La malattia mortale
Come in altre opere dell’autore tedesco Thomas Mann, al centro della narrazione vi è un personaggio dall’animo artistico, lo scrittore Spinell, che ha deciso di ritirarsi in una clinica per prendersi un po’ di riposo nell’aria di montagna. Il suo carattere particolare, tuttavia, salta subito all’occhio: mal visto dagli altri pazienti, nonché dal dottore stesso, Spinell rivela ben presto la sua indole. Quando arriva la signora Kloterjahn, infatti, nasce un legame profondo d’ineffabile passione e attrazione: il racconto del suo passato da pianista e l’abbandono del suo sogno in seguito al matrimonio vanno inevitabilmente a toccare le corde più profonde dell’uomo, creando una sintonia nel mirabile segno dell’arte che raggiunge il suo culmine nell’atmosfera di delicata voluttà generata dalle note del Tristano di Wagner suonato dalla donna, simbolo prefigurale di un amore infelice che conduce alla morte. Musica e poesia si fondono in un’armonia visionaria che pervade i sensi dei due, l’uno nel pieno dell’estasi del suo estetismo sentimentale, l’altra nel timoroso recupero di una parte di sé a lungo sopita.
Abbandonatosi alla sensazione d’infinito, Spinell scrive quindi una lettera al marito della donna, un mercante, rivendicando le affinità di spirito tra loro e rimproverandolo per aver allontanato, ancora giovane, la donna dall’arte con il suo stile di vita borghese. E’ a questo punto che ha luogo la scena madre del racconto, che apre la via ad ogni possibile riflessione: Spinell e Kloterjahn vengono a uno scontro verbale, incarnando l’uno l’inclinazione artistica e l’altro la vita materiale. Tra i due non vi è tuttavia reale comunicazione: essi non solo parlano due linguaggi tra loro incompatibili, ma sembrano affrontarsi da due mondi distanti e distinti, due insiemi senza alcuna possibilità d’intersezione. Evidente è, nel dialogo, lo sbilanciamento simbolico: se da un lato l’artista in tensione verso l’assoluto è vicino alla natura e all’interiorità spirituale, il mercante è certamente più vicino alla vita, a quella che viene sottintesa come “normalità”. Lo scontro dunque tende a risolversi in un confronto tra una sorta di pazzia instabile data dall’indole artistico-estetica e la normalità della vita da borghese.
A sancire quale delle due posizioni risulterà vincitrice sarà la donna, vero ago della bilancia del racconto: l’inaspettato aggravarsi delle sue condizioni di salute la conduce rapidamente alla morte, rivelando così la vera natura dello scontro tra le due concezioni di vita. L’animo artistico porta con sé il germe di una malattia mortale, tra inquietudine e instabilità dei sensi, in netta contrapposizione con il vitalismo ostentato e incredibile agli occhi di uno spirito “naturale” di quella vita borghese che altro non è che un odioso paradigma di normalità.
L’inquietudine dell’artista di fronte alla contraddizione tra sé e il mondo viene suggellata quindi nell’immagine finale del racconto, ossia la gioia assurdamente spontanea sul viso del figlio dei Kloterjahn durante una passeggiata nella natura, una gioia a cui Spinell non può che voltare le spalle, estraneo, inorridito. Un artista è incapace di guarire dalla sua malattia perché, come in preda a una sorta di sindrome di Stoccolma, ne è profondamente innamorato e non sa come poterne fuggire.