Narrativa straniera Classici Thérèse Raquin
 

Thérèse Raquin Thérèse Raquin

Thérèse Raquin

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Pubblicato nel 1867, "Thérèse Raquin" narra la vicenda di Thérèse, giovane bella e avida di vita, sposata con il cugino Camille, malaticcio e debole di carattere. La donna si lascia sedurre da Laurent, amico di famiglia dal temperamento rozzo e sanguigno. Trascinati in un vortice di passione sempre più fosca, i due amanti giungono a uccidere Camille simulando un incidente. Ma non troveranno pace neppure dopo essersi sposati e, tormentati tanto dal fantasma di Camille quanto dagli occhi severi della madre di lui, muta e paralizzata ma dall'intelligenza intatta, finiranno per suicidarsi.



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Thérèse Raquin 2023-02-21 19:07:21 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    21 Febbraio, 2023
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Oh Thérèse!

“Quando il futuro è privo di speranze, il presente acquista un'ignobile amarezza.”

Thérèse Raquin, 1867, fu un titolo che sin da subito portò al gridare dello scandalo e della pudica ripugnanza, riprova ne è già la prefazione all’opera, scritta dallo stesso Zolà e dalla quale si evince un profondo risentimento verso quei tempi e quegli uomini di cultura che evidentemente non sono stati in grado di cogliere il senso di uno scritto profondo quando complesso. Un titolo catalogato per molti ai limiti del pornografico e a cui come anzidetto rispose lo stesso Zolà evidenziando l’ipocrisia benpensante dell’epoca quando a lui altro non interessava che studiare la natura umana tanto dal punto di vista psicologico che naturale. L’opera è totalmente e completamente intrisa di realismo, osserva in modo accurato tanto le persone quanto gli ambienti, ne delinea i caratteri e nulla risparmia ai lettori. Proprio per questo nulla risparmia e nulla cela al suo interno.

“Qui sono tutti ciechi perché non sanno amare...”

La trama nel suo essere ci narra di una storia di tradimenti ove ad essere presente è la classica triangolazione, per taluni un cliché, fatta di lui, lei e l’altro. Tuttavia, a una trama semplice si aggiunge uno sviluppo affatto lineare. Non mancano le assonanze, che sopraggiungono quali naturali, con Madame Bovary, Thérèse come Emma sembra volersi sottrarre a un qualcosa, a un fardello, a un peso e più precisamente al peso di una famiglia che è vissuta come una forma di prigionia, di dolore, di sofferenza. Un contesto famigliare, il suo, dove ella ha sempre dovuto obbedire e mai ha potuto esprimere il suo pensiero in libertà o alzare la testa. Mai ha potuto opporsi alle decisioni della zia, la merciaia madame Raquin. Ma Thérèse, a differenza di Emma non brama lussi e orpelli, è vissuta accanto al malaticcio cugino Camille e al contempo è stata schiava della vita di provincia quando la sua indole e tempra erano vitali e vive.

“Lei ha un difetto imperdonabile che le precluderà qualunque porta: non può chiacchierare due minuti di fila con un imbecille senza fargli capire che è un imbecille.”

Camille e Thérèse si sposano per volere della zia. La zia desidera che il figlio non sia lasciato solo e soprattutto che il figlio sia accudito da una moglie-madre. Per farlo, quale occasione migliore del matrimonio con la ragazza? Quest’ultima dal suo canto non è attratta da quest’uomo poco appetibile a livello sessuale e che oltretutto sa da sempre di malattia, puzza proprio di malattia. Il tradimento è per questo vissuto come una sorta di riscatto, un riscatto in primis verso la vita. Amante della donna è Laurent, impiegatuccio e artista senza futuro e con scarso passato, ma uomo vigoroso e sessualmente appetibile. Egli mira non solo ad essere amante di Thérèse ma desidera anche essere amico di Camille e scapolo sulla piazza. Tre cose al tempo stesso. Casa Rquin è il luogo perfetto per un parassita come lui e Thérèse, seppur relativamente bella, nel suo essere innocua almeno in apparenza, è perfetta. Il carattere remissivo, l’indole, il suo essere apparentemente inoffensiva, la rendono la preda perfetta. Ma cosa potrebbe accadere se la donna, al contrario, rivelasse una profonda e insostenibile indole carnale atta a causarne dipendenza? Quale strada percorrere se non quella della vedovanza? Laurent è un uomo ambizioso, incontentabile, è un uomo che auspica al raggiungimento di molti progetti che però non tengono conto di altri aspetti della realtà.

"Lui ci metteva il sangue, lei i nervi; vivevano l'uno nell'altra e avevano bisogno dell'amore fisico per regolare il meccanismo dei loro corpi."

Un romanzo ricco di descrizioni, profondo nella sua struttura, corposo nel suo divenire. Un libro che non manca di riguardare relazioni fisiche e mentali, di far riflettere il lettore, di farlo interrogare su tanti aspetti che riguardano il rapporto umano, i legami ma anche quegli aspetti più reconditi del vivere. Ecco allora che Camille è più presente da morto che da vivo, che è una presenza fissa tra loro dopo il suo annegamento, che porta liti furenti e furibonde, che portano a vivere il rapporto come un vero e proprio inferno. Da legame bramato e agognato si rivela essere un’ennesima e rinnovata prigione a cui si somma anche la malattia della paralitica madame Raquin che osserva placida.
Sullo sfondo una Parigi priva di luci e sfarzi ma lugubre per uno scritto accompagnato da una prosa ricca, corposa, intramontabile. Trapela l’inquietudine, trapela l’indifferenza, l’insoddisfazione, il pessimismo, la prigionia, l’incapacità di un riscatto e di una rivalsa, un desiderio distorto per un vivere altrettanto malsano.
“Thérèse Raquin” è un romanzo che non può essere definito osceno e ancor meno pornografico, è al contrario un libro che spinge il lettore a riflettere e a meditare, a interrogarsi, che sprona a guardarsi dentro, a ponderare sui sentimenti che spesso ci accompagnano, che invita a guardare all’interno del cuore e dell’animo umano, è un libro complesso nella struttura e nell’evoluzione, un libro da non dare per scontato e da non minimizzare nei suoi termini. Un romanzo che sorprende anche nel suo epilogo, un libro che non perde di forza nemmeno con il passare dei secoli.

“Non c’è niente di più dolorosamente calmo di un crepuscolo autunnale. I raggi impallidiscono nell’aria che pare rabbrividire, i vecchi tronchi si spogliano delle foglie; la campagna, bruciata dai raggi ardenti dell’estate, percepisce coi primi venti gelidi l’inizio inesorabile della morte. Nel cielo l’aria si sposta con un gemito disperato e la notte, scendendo dall’alto, racchiude sudari nell’ombra cupa.”

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Thérèse Raquin 2020-04-25 17:20:15 Laura V.
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Laura V. Opinione inserita da Laura V.    25 Aprile, 2020
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Il lato oscuro del cuore umano

Quando “Thérèse Raquin” fece la sua comparsa nelle librerie francesi sul finire del 1867, negli ambienti letterari si gridò subito allo scandalo. Tra i critici, ci fu persino chi, oltre a bollarlo senz’appello come scabroso e indecente, non risparmiò a questo romanzo poco cortesi paragoni con la fogna e la pornografia. Fu lo stesso Émile Zola (1840-1902) a sottolineare una simile accoglienza nella sua prefazione alla seconda edizione del libro, uscita nella primavera dell’anno successivo, puntando il dito contro l’ipocrisia benpensante del tempo e precisando quale fosse stato il suo intento: studiare la natura umana, sotto l’aspetto sia psicologico che fisiologico, senza preoccuparsi di curare eventuali sconcezze. La scelta di personaggi dominati dai nervi e trascinati da una carnalità fatale – come dichiarò l’autore – lo colloca nell’ambito di un naturalismo ribadito con forza dalla stesura di tante altre opere successive a questa. Il suo realismo, con cui sottopone ad accurata osservazione persone e ambienti sociali, risulta tanto schietto quanto impietoso e allarga ferite spesso già purulente.
Quella di “Thérèse Raquin” è la storia di un tradimento; la trama è in apparenza semplice (lei, lui, l’altro), ma dagli sviluppi però complessi e devastanti che danno vita a pagine intense in cui si riconosce la genuina maestria e il fascino della penna dei grandi narratori dell’Ottocento.
Come la più famosa Emma Bovary una decina d’anni prima, anche la Raquin attraverso l’adulterio tenta di sottrarsi a qualcosa, nello specifico a un ambiente familiare simile a una sorta di prigione per lei che ha sempre obbedito senza mai opporsi alle decisioni della zia, la merciaia madame Raquin. A differenza del personaggio di Flaubert, però, quello di Zola non sembra essere mosso dalla brama di lussi né da deliri o capricci romantici in netto stridore con la monotonia della vita di provincia. Cresciuta accanto al sempre malaticcio cugino Camille, a causa dell’educazione che le è stata impartita, Thérèse ha represso un’indole nervosa e una vitalità che ardono sotto la cenere di un silenzio apatico e pesante, troppo pesante per una ragazza dall’agilità felina e in preda a una voglia selvaggia di correre e urlare.

“Sa tante lui avait répété si souvent: «Ne fais pas de bruit, reste tranquille», qu’elle tenait soigneusement cachées, au fond d’elle, toutes les fogues de sa nature. Elle possédait un sang-froid suprême, une apparente tranquillité qui cachait des emportements terribles.” *

Il matrimonio con Camille è stato voluto dalla zia, mossa dalla premura di lasciare un giorno il gracile figliolo alle cure di una fidata moglie-infermiera; pertanto, il tradimento di Thérèse viene commesso sia nei confronti di quel marito insulso e sessualmente poco appetibile, che puzzava di malattia e abbracciava in modo pressoché identico la madre e la cugina, sia verso l’anziana madame Raquin, che da “ses enfants” conta addirittura di avere nipoti. L’adulterio al centro della narrazione ha così per la giovane donna il sapore di una sorta di riscatto dalla vita grama fin lì condotta, mentre la pura casualità le offre come amante il vigoroso Laurent, impiegatuccio e artista fallito, nonché conoscenza di lunga data di Camille. Con le sue aspirazioni da parassita, l’uomo mira a divenire, al tempo stesso, amante della moglie, amico del marito tradito e, cosa non trascurabile per uno scapolo costretto ad accontentarsi d’insufficienti pasti da quattro soldi, quasi un secondo figlio oggetto di amorevoli cure da parte della vecchia madre. Casa Raquin, dunque, come rifugio ideale per evitare la noia di serate altrimenti solitarie e appagare appetiti sessuali senza dover ricorrere ad amanti costose; seppure non bella, come viene percepita all’inizio, Thérese appare inoffensiva e dotata di carattere remissivo. Tuttavia, gli ingenui progetti del seduttore non hanno fatto i conti con l’impeto erotico di una donna che avrebbe finito per renderlo ebbro e dipendente da una carnalità che di colpo sulla scena irrompe inaspettata, potente, destabilizzante. E a quel punto la vedovanza di lei sarebbe stata considerata, da entrambi, di gran lunga preferibile a qualsiasi ripiego clandestino. La sorte di Camille, in verità, risulta segnata fin dal primo brutale contatto tra i due.

“[…] A partir de ce jour, Thérese entra dans sa vie. Il ne l’acceptait pas encore, mais il la subissait. Il avait des heures d’effroi, des moments de prudence, et, en somme, cette liaison le secouait désagréablement; mais ses peurs, ses malaises tombaient devant ses désirs. Les rendez-vous se suivirent, se multiplièrent.
Thérese n’avait pas de ces doutes. Elle se livrait sans ménagements, allant droit où la poussait sa passion. Cette femme, que les circonstances avaient pliée et qui se redressait enfin, mettait à nu son être entier, expliquant sa vie. […]”

Non stupiscono le dettagliate descrizioni per quanto riguarda le reazioni fisiche e mentali dei due amanti, soprattutto quando il tumultuoso orgasmo della loro passione s’è ormai concluso dopo aver raggiunto il culmine con l’assassinio di Camille durante una gita domenicale lungo la Senna. L’annegato, infatti, non li abbandonerà più e, paradossalmente, resterà in mezzo a loro più da morto che da vivo. Da allora, le notti insonni, le crisi di terrore, le allucinazioni, le reciproche recriminazioni, i litigi furibondi con tanto di percosse ai danni di Thérèse rendono il nuovo ménage, un tempo così agognato, soltanto uno squallido inferno dal quale non esiste possibilità di fuga, sotto lo sguardo muto e implacabile della vecchia madame Raquin, divenuta nel frattempo paralitica, e sullo sfondo di una Parigi fin dal principio lugubre e tetra che, ben lontana dai celebrati fasti di Ville Lumière, sembra farsi essa stessa una enorme e ineludibile Morgue che inghiotte tutti.
Quella di Zola si rivela una prosa sapiente e geniale, godibilissima anche in lingua originale, che riesce a catturare il lettore d’ogni tempo. Fin dal primo capitolo, non a caso, essa trasmette un senso di vaga inquietudine che emerge non soltanto dalla minuziosa descrizione di quello che farà da sfondo alla terribile vicenda narrata, il passaggio del Pont-Neuf con le sue “boutiques obscures”, ma anche dall’immagine stessa della protagonista, ferma alla finestra e assorta a fissare in silenzio il grande muro nero sopra la galleria, prima di mettersi a letto nella più sdegnosa e sinistra indifferenza.
Leggendo “Thérèse Raquin”, ci si accorgerà che non si tratta di un romanzo osceno, come qualcuno insinuò all’uscita del romanzo; al di là dell’adulterio e dell’omicidio, la complessità delle sue pagine lo rende anzitutto un viaggio nel male, in quel lato oscuro del cuore umano, al quale il finale inatteso e repentino può concedere forse pietà, ma non redenzione.

* Le citazioni sono tratte da Émile Zola, “Thérese Raquin”, préface de Robert Abirached, Gallimard, 1999.

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Thérèse Raquin 2018-09-08 10:18:31 giov85
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giov85 Opinione inserita da giov85    08 Settembre, 2018
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La crudeltà dell'uomo

Teresa, Lorenzo, Camillo, la vecchia zia: i quattro personaggi di questo capolavoro di Emile Zola.
Un romanzo breve, ma caratterizzato da tinte fosche, scure come le vie di una Parigi sporca, polverosa, inebetita dalla vacuità dei tempi, nere come le coscienze dei due amanti, Teresa e Lorenzo, che pur di accondiscendere alla loro bestiale passione non esitano ad ammazzare il gracile Camillo, marito della donna.
Teresa e Lorenzo riescono nel loro intento, compiendo il delitto perfetto. Del tutto insospettati, possono sposarsi per coronare quello che avrebbero creduto il loro sogno.
Ma qualcosa va storto: il rimorso prende piede nelle loro vite, corrodendo le loro certezze, facendo vacillare la loro tranquillità. Emergono quindi i difetti di entrambi: Lorenzo è un gaudente, uno spietato uomo votato all’ozio ed al vizio, mentre Teresa, donna di una passività disarmante, accetta l’imposizione del matrimonio con Camillo da parte della zia, così come asseconda con complicità l’istinto omicida dell’amante.
I due, dalla morte di Camillo, non godranno mai più della loro felicità. La loro fisicità bestiale, che li aveva spinti al grande passo, li trascinerà in un vortice di paura, terrore, sospetti: un vero climax che non potrà che culminare nella tragica morte.
Man mano che i nodi vengono al pettine, a fare da spettatrice è la zia, che dapprima, del tutto inconsapevole, favorisce il matrimonio fra i due amanti accogliendoli in casa, salvo poi scoprire, ormai vecchia e afasica per un colpo apoplettico, la verità: i due sono gli assassini del suo amato Camillo. Soltanto i suoi occhi potranno gridare al mondo, sebbene invano, l’odio che solo chi ha amato tanto può provare.
Zola, con il suo naturalismo spietato, fotografa i personaggi, soffermandosi minuziosamente sui loro incubi, paure, sul degradarsi delle loro anime, creando un capolavoro che non ha uguali. Non un giudizio viene espresso dall’autore, che esegue la descrizione di un “insolito caso fisiologico”, fredda e tecnica, capace di lasciare il lettore spiazzato da quanto possa essere crudele l’uomo.

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Delitto e Castigo
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Thérèse Raquin 2017-07-01 08:13:03 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    01 Luglio, 2017
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Il delitto non paga mai

Probabilmente Teresa Raquin è il romanzo più famoso di Emile Zola e, per certi aspetti, differisce da altri del medesimo autore, in particolare dallo splendido Germinal. La vicenda narrata non è una storia di lotte di classe, ma è un quadro intimistico di insoddisfazioni e lacerazioni latenti a cui i protagonisti si illudono di porre rimedio con un delitto, quello del marito di Teresa, annegato dall’amante Lorenzo. L’opera è caratterizzata da un colore dominante, il grigio, perché grigia è l’esistenza della scialba Teresa come anche quella di Lorenzo, due protagonisti che in apparenza sembrano in antitesi, ma che in realtà, nelle contorte vie delle menti malate, sono la coppia ideale; fra i due però non c’è amore, c’è solo passione bestiale, erotismo sfrenato in un’insaziabile e inconsapevole voglia di autodistruzione. Fra i personaggi di contorno, la vecchia zia di lei e madre del marito Camillo, Camillo stesso e altri minori scorrono come ombre su un palcoscenico dominato in tutti i sensi dagli amanti diabolici. La passione carnale che nasce fra i due, i piani per sopprimere il marito terzo incomodo sono descritti in modo perfetto da Zola, senza mai una caduta di ritmo, così come il periodo di vedovanza, con l’astensione dal manifestare una relazione sempre tenuta accuratamente nascosta, al fine di non destare sospetti nella polizia. Quello che può sembrare un delitto perfetto, e lo sarà perché mai l’autorità giudiziaria supporrà qualcosa di di diverso dalla disgrazia, si rivelerà però un boomerang per i colpevoli, che nel lungo periodo in cui abilmente reciteranno l’una la sofferenza della vedova, l’altro lo sconforto per aver perso un amico, finiranno dapprima per affievolire e poi per far cessare del tutto la passione animalesca che tempo prima li aveva permeati. E anche quando, abilmente, faranno in modo che gli stessi amici e la madre dell’ucciso favoriscano il loro matrimonio, l’unione non sarà che una conseguenza di un patto stabilito nel momento in cui venne loro l’idea di togliere di mezzo il povero Camillo. Il senso di colpa comincerà a rodere, e con lo stesso subentreranno le paure, le notti insonni, gli incubi, le visioni delò morto che li osserva, quasi come un romanzo horror, con il risultato di problemi psichiatrici ben più gravi e se la soluzione sembra essere trovata nell’eliminare il compagno, e a ciò pensano entrambi, in un momento di autentica pietà per se stessi comprenderanno che non ha più senso vivere.
Teresa Raquin é un romanzo a forti tinte, anche se vi domina il grigio, è un’opera in cui un naturalista come Zola è riuscito a dare il meglio di se stesso, con una tensione crescente e angosciante dal momento del delitto e che l’autore mantiene fino quasi alla fine, allorchè la suprema decisione di Teresa e di Lorenzo sembra indicare il modo per regolare gli errori, per indicare a se stessi quella via che avrebbero dovuto prendere molto prima, per uscire dal grigio anche senza trovare il sole.
Il romanzo è un capolavoro.

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Thérèse Raquin 2016-01-09 15:02:13 lapis
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lapis Opinione inserita da lapis    09 Gennaio, 2016
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Negli abissi dell’anima

Leggere Zola è aprire la finestra e permettere a una ventata di emozioni e sensazioni di invadere la stanza. Non una gradevole brezza primaverile ma un soffio afoso, soffocante, che mozza il respiro e invade i polmoni. E ti trascina nel vortice dell’animo umano, che viene spellato, vivisezionato e dato in pasto alla lettura nella sua verità, crudezza e brutalità.

L’atmosfera è cupa e claustrofobica. La Parigi dei gioiosi caffè all’aperto appare una città morbosa abitata da opportunisti perdigiorno, le strade impressioniste brulicanti di vita si trasformano in un budello oscuro, angusto e minaccioso e i tramonti color pastello sulla Senna in una cappa grigia e plumbea.

I personaggi sono anime tormentate, vividamente descritte, senza abbellimenti e senza attenuanti. Thérèse è una donna cresciuta nella continua repressione della propria natura vivace e dei propri istinti. Forse per compiacere la benevolenza della zia che l’ha accolta orfana, ha acconsentito a un matrimonio freddo e deprimente con il molle cugino e, muta e inerte, guarda scorrere la propria vita mentre l’insoddisfazione cresce in lei come una nevrosi pronta a esplodere. Laurent è un uomo sanguigno e rozzo, che aspira a una vita di inattività, di vizio e piaceri. Non conosce riflessione o morale, è abituato ad agire, con forza ed energia, nella direzione che reputa più conveniente.

L’incontro tra queste due nature così diverse porta a una passione quasi animalesca, in cui non c’è nulla di romantico. E’ sangue, quello di Thérèse, che brucia per la prima volta. Sono pulsioni carnali, quelle di Laurent, a cui non è possibile opporsi. E’ desiderio, di realizzare un progetto di vita. E conduce al dramma violento dell’omicidio e alle sue estreme e nefaste conseguenze.

Zola non ha paura di eccedere. Sono pagine densissime. Di immagini forti, a tratti anche macabre. Di parole, scelte con cura, intrise di colori, sensazioni, carne e sangue. Di descrizioni meticolose, spinte sui terreni impervi dei sentimenti più oscuri, delle paure, delle debolezze umane. Non c’è delicatezza. Non c’è compassione. Non c’è pace. C’è solo l’abisso dell’anima che ci investe con la sua realtà.

Leggere Zola lascia il segno.

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Thérèse Raquin 2014-06-21 06:00:10 romantica82
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romantica82 Opinione inserita da romantica82    21 Giugno, 2014
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Il male assoluto

Nella prefazione alle seconda edizione di questo romanzo, Zola scriveva, indirizzando il suo messaggio alla critica che aveva accolto con parole nefaste il romanzo definendolo una “letteratura putrida”: “spero si cominci a capire che il mio scopo è stato innanzitutto uno scopo scientifico. Quando ho creato i miei due personaggi, Thérèse e Laurent, ho voluto sollevare e risollevare alcuni problemi: ho cercato di spiegare la strana unione che può prodursi tra due temperamenti diversi, ho mostrato i profondi disturbi che possono derivare dal contatto di una natura sanguigna con una nervosa”.
Dunque Teresa, figlia di una donna algerina aitante di cui ha conservato lo scatto felino e la passione accecante, è una creatura dalle caratteristiche nervose, mentre il suo compagno di alcova e di sventura, Laurent, è un uomo dalla natura sanguigna e dall’indifferenza tipica del buontempone più simile alle bestie che ad un essere pensante.
Zola si riferiva, poi, allo studio clinico dell’animo umano avvezzo al male, che non conosce i valori morali e positivi, e della sua progressiva perversione che lo conduce fino alla distruzione utilizzando una scrittura tersa, un eloquio semplice ed allo stesso tempo evocativo capace di cogliere ogni più piccola sfumatura del cuore, che viene scandagliato come fosse un oggetto di laboratorio. Questo, come è noto, ha introdotto l’autore tra i più importanti esponenti del Naturalismo francese che tanto avrebbe influenzato il Verismo verghiano.
Proprio perché molto si è detto, a ragion veduta, della capacità di descrivere ogni impercettibile movimento dell’interiorità umana anche avvalendosi di un linguaggio che spesso si colora di tinte fosche, a me piacerebbe più soffermarmi su similitudini ed elementi di novità che, a mio avviso, si possono cogliere da questa bellissima e sempre attuale “opera d’arte”.
Anzitutto strettissimo è il legame con i miserabili che qualche anno prima Hugo aveva immortalato descrivendo la cultura posto-napoleonica. Teresa e Laurent sono i degni figli dei Thenardier. Come loro sono uniti da una passione carnale e sanguigna, come loro architettano un crimine pur di soddisfare il proprio desiderio di stare insieme, come loro vivono nei sottoborghi parigini dove la luce del sole, che simboleggia la verità e la cultura, non riesce a filtrare, e, come loro, sono creature miserabili fuori e dentro perché non conoscono e non conosceranno mai l’amore. Ciò che differenzia la coppia descritta da Hugo da quella di Zola è il decorso della loro vicenda personale successivamente alla fusione fisica e di intenti: i Thenardier seguiteranno in un atteggiamento immorale fino alla fine della loro vita rimanendo insieme e godendo della loro reciproca attitudine al male. Teresa e Laurent, subito dopo l’omicidio del povero e malaticcio Camille, sono presi da una nevrosi che assume sempre più le forme del delirio, una malattia dell’animo che li allontana e li butta nella perversione e nella successiva autodistruzione. Essi, cioè, contrariamente alla prima coppia, sperimentano il significato del rimorso. Camille, con la sua faccia verdastra e gonfia dall’acqua e quell’espressione sinistra sul volto, li segue in quel talamo dove la passione bruciante aveva indotto i due ad architettare il suo omicidio e si insinua sotto le lenzuola, li acchiappa per i piedi, li stringe in una morsa umida e fredda, come l’acqua che ha divorato le sue membra che “puzzavano di bambino malato”.
L’elemento di grande novità è, a mio avviso, il linguaggio utilizzato: Zola non ha alcuna remora morale nel descrivere l’amore carnale, le fattezze intime di quegli uomini e quelle donne che alla Morgue venivano esposti nudi al pubblico ludibrio dopo la loro morte ed introduce, così, una letteratura non edulcorata da falsi moralismi, ma una narrativa nella quale il lettore è catapultato nella cruda e violenta vita dei reietti.

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Thérèse Raquin 2014-04-19 11:37:24 Ale96
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Ale96 Opinione inserita da Ale96    19 Aprile, 2014
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Il capolavoro dell'orrido

All'esterno.
Nebbia cupa, nuvole pesanti, cielo spento. Un passaggio umido, sordido; un corridoio sporco e sinistro, con una parete pezzata come un lebbroso da una parte e con delle bettole impolverate e tetre dall'altra. Striscia putrefatta di un angolo di Parigi dimenticato, macabro teatro delle peggiori nefandezze: adulterio, prostituzione, omicidi, liti, pestaggi, urla, sevizie. Nessuno è risparmiato dall'aria sanguigna che aleggia in questo sepolcro a cielo aperto, in questa appestata topaia.
All'interno.
Un'anima dilaniata da nevrosi acute, da repressioni continue, da un continuo soffocare i propri istinti primordiali che dilaniano la carne, giorno dopo giorno.
Un'anima bestiale, sanguinolenta, facile all'ozio e alle mollezze del corpo, che mira all'appagamento dei propri rozzi piaceri, seguendo un'etica meschinamente utilitaristica.
È dall'incontro di questi due spiriti, uniti dall'immondezzaio che li soffoca, che traggono origine le atmosfere claustrofobiche e fetide che irrorarono quello che è stato definito da Oscar Wilde il “capolavoro dell'orrido”: Thérèse Raquin, uno dei primi romanzi del prolifico scrittore naturalista Émile Zola, pubblicato nel 1868.

Nel desolato e tetro passaggio del Pont-Neuf si trova una merceria impolverata con alloggio annesso in cui vive e lavora la dolce Madame Raquin con suo figlio Camille, impiegato, e la nipote e nuora Thérèse. Camille è un giovane gracile, smunto e debole che ha sofferto da bambino tutte le malattie possibili, superate grazie alle amabili cure della madre che lo ha terribilmente viziato, crescendolo nell'ambiente protetto e ovattato della tranquilla e amena cittadina di Vernon. Tuttavia Camille non ha mai ricambiato l'affetto materno e l'ha spinta a trasferirsi a Parigi per entrare in un ufficio amministrativo e potersi allontanare da questa, tronfio del proprio egoismo tipicamente borghese. Thérèse, figlia di donna algerina nota per la sua bellezza, è stata portata in Francia e lasciata dalla zia ancora in fasce. Non ha vissuto una sua infanzia, una sua adolescenza, sempre costretta a far compagnia al cuginetto malaticcio, chiusa in casa, lei spirito libero, passionale, ardente, selvaggio. Thérèse ha sviluppato una doppia personalità: all'apparenza è silenziosa, remissiva ma nella realtà i suoi istinti passionali pulsano energicamente. Drammatico è stato il trasferimento a Parigi: reclusa in quella topaia di merceria, si sente sepolta e i suoi nervi non riescono più a reggere la farsa. Ed è qui che entra in scena Laurent, amico d'infanzia di Camille, possente, muscoloso, ma estremamente pigro e utilitarista. Per soddisfare i propri piaceri carnali e avere allo stesso tempo un pasto caldo a casa Raquin ogni sera, decide di iniziare un rapporto illecito con la Thérèse che, incredibilmente, lo travolgerà con la propria passione e la propria sensualità per anni repressa. Ma il triangolo non può durare a lungo, così i due organizzano e compiono un omicidio efferato per cercare di appagare i loro vizi, ma questo porterà i due amanti alla pazzia e ad un tragico epilogo...

È un'opera che colpisce per l'asprezza del linguaggio. Non vi sono eufemismi, la nuda verità viene gettata in faccia al lettore che la sente come un pugno allo stomaco. Immagini atroci lo torturano, atmosfere funeree lo asfissiano, parole troppo affilate lo trafiggono, senza alcuna pietà. Zola non risparmia niente e nessuno: è un chirurgo che sta dissezionando due cadaveri. Non importa se hanno tradito, ingannato, ucciso. A giudicare ci penseranno i moralisti, il suo compito è analizzare il loro corpo, la loro psiche, le loro azioni. Thérèse Raquin, come l'autore stesso scrive nella sua prefazione, si prefigura come “lo studio di un insolito caso fisiologico”. Questo romanzo rappresenta una svolta in chiave naturalista nella produzione dell'autore ma ancora permangono elementi del romanzo nero tardo-romantico. Zola, talvolta, perde la propria personalità calcando troppo la mano sul macabro e il romanzato, forzando così la narrazione.

Nonostante queste sottili sbavature, Thérèse Raquin rappresenta un'egregia tela a tinte forti in cui predominano il grigio, il nero e il rosso. Creature mostruose, abissi senza fondo, incubi , fantasmi, allucinazioni la animano. Una tela che a prima vista causa degli intensi bruciori agli occhi, ma che, superata la crisi, non si può non apprezzare perché ritrae l'angolo più oscuro, più demoniaco che alberga nel nostro animo. Buona lettura!

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