Sorelle Bunner
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Raffinata introspezione
Scritto nel 1892, si tratta di una delle prime opere di Edith Wharton. Abituata, nella mia modesta esperienza di lettrice, ad associare la celebre scrittrice statunitense alle patinate atmosfere della ricca società newyorkese, questa novella mi ha inizialmente sorpreso per i toni insolitamente cupi e l’ambientazione popolare: lontano dagli splendori e dalle frivolezze di Manhattan, ci troviamo infatti in un negozietto poco appariscente, nel seminterrato malmesso di una via laterale, buia e degradata. Ma, se diverso è il contesto sociale, uguale è invece la fragile sensibilità dei personaggi.
Ann Eliza ed Evelina Bunner sono due sorelle. Hanno superato la tradizionale età da marito e, se mai si sono concesse di sognare, da tempo quei sogni di felicità sono stati ripiegati e riposti con cura in fondo al cassetto. Ma anche la placida tranquillità può aver sembianze di felicità, sapendo dare valore al poco che si possiede. La reciproca vicinanza. Vetrine pulite e ordinate che permettono di sbarcare il lunario senza debiti. Il quotidiano rito del tè. È un bozzolo ovattato, quello in cui vivono, caldo nel suo isolamento di abitudini e regole morali, ma anche fragilissimo. Basta una puntura di spillo per far entrare un refolo gelido fatto di illusioni taciute, di rinunce dolorose, di affetti traditi. E nulla potrà più tornare come prima.
"Ho sempre pensato che se si chiede di più di quel che si ha si corre il rischio di vedersi togliere anche quello".
Racchiude tutta l’eleganza di un tempo ormai lontano, la penna di Edith Wharton, e, allo stesso tempo, sa scivolare nelle pieghe dell’animo femminile, rivelando quelle voci che sussurrano piano sotto la mite coltre di silenzi e apparenze sotto cui le seppelliamo, nel tentativo di non udirle, di fingere che non esistano. Perché ascoltarle significherebbe dare verità a qualcosa che fa paura, ignoto e inaccessibile. Eppure, per evocarle basta un piccolo gesto, una lacrima, un mormorio a fior di labbra, ed è proprio la loro delicata ma dolorosa malinconia ad investirci, lasciando una profonda traccia nei nostri animi anche una volta chiusa l’ultima pagina.
“Ann Eliza vide la sagoma della solitudine profilarsi alla sua porta. (…) Non aveva alte meditazioni da offrire a quella sua nuova amica del cuore. Ognuno dei suoi pensieri era stato rivolto, fino ad allora, a Evelina e formulato in semplici e familiari parole; dell'elaborato linguaggio del silenzio ella non conosceva nemmeno i primi rudimenti”.
Indicazioni utili
Una piccola perla imperdibile
Sorelle Bunner" è un racconto lungo di Edith Wharton, scrittrice che ci ha lasciato nel 1937, famosissima perché è stata la prima donna americana a vincere il premio Pulitzer con il romanzo "L'età dell'innocenza".
In Italia l'unica edizione che ho trovato è stata la Flower-ed del 2018, una casa editrice che presenta delle copertine vintage e colorate molto carine.
La scrittura di Edith Wharton lascia sempre piacevolmente sorpresi: c'è uno scavo psicologico dai grandi affondi, permeati di sofisticata sensibilità e delicatezza.
Un ritratto delicato e e insieme spietato dell'animo femminile, che viene scandagliato e questo stile riesce a portare sulla pagina il dolore, la solitudine più profonda, la disperazione, ma anche la gioia di scoprire di essere amati, riuscendo sempre a creare nel lettore la sensazione di smarrimento, di vuoto o di gioia inaspettata. È, dunque, una scrittura ben riuscita. Il libro mi è piaciuto moltissimo, ho cominciato a leggerlo per curiosità o poi sono stata presa dalla lettura e non sono più riuscita a staccarmi dalle pagine.
C'è da segnalare la pregevolezza, la cura con cui la casa editrice ha presentato quest'opera, nonché la traduzione impeccabile.
Un libro che consiglio anche a chi non abbia ancora letto opere di questa grande scrittrice, famosa per l'amicizia con Henry James l'autore de "Il giro di vite".
"Sorelle Bunner" è un racconto narrato in terza persona, quindi con un narratore onnisciente che racconta le vicende di due sorelle ricamatrici, molto povere ma che conducono, nonostante il disagio economico, una vita dignitosa. Ann Eliza, la sorella maggiore ed Evelina, più giovane di qualche anno, vivono da sole e si mantengono eseguendo piccoli lavori di cucito e decorazioni; in particolare, Evelina è specializzata nella creazione di fiori finti in tessuto per decorare e per abbellire cappellini, cuffiette e abiti . L'una è l'unica compagnia dell'altra; le altre figure che girano attorno a loro sono personaggi estremamente secondari. L'azione vera e propria comincerà a partire dalla seconda parte del racconto. Più che azione narrativa e dinamismo, ciò che rende corposo questo racconto è lo scavo psicologico che segue una climax progressiva nell'animo della sorella maggiore, Ann Eliza. Costei non esiterà a rinunciare alla propria felicità per il bene di Evelina: rinuncerà all’occasione più preziosa per una donna sola, povera e non più giovane, il matrimonio con il signor Remy, l’orologiaio tanto colto quanto solo, che aveva cominciato a diventare amico e confidente delle due sorelle.
“Mai prima di allora si era sentita tanto vecchia, disperata ed umile. Sapeva di star svolgendo, con ogni probabilità, un incarico amoroso da parte di Evelina e questa certezza prosciugò l’ultima goccia di sangue giovane dalle sue vene”.
“Per un momento Ann Eliza non riuscì a trovare le parole. Fu solo quando seppe di aver perso la propria occasione che si rese conto di quante speranze avesse nutrito a tal proposito (...) ella era ben allenata all’arte della rinuncia(...)”
Posso lasciare solo un assaggio della sua scrittura, poiché essendo un racconto non mi permetto di anticipare di più, quindi lascio al lettore la curiosità di leggere le vicende di queste due donne e di riflettere su quanto il matrimonio, allora come oggi, spesso è solo un modo per sfuggire dalla solitudine e prescinde dall’amore e dalla passione.