Siddharta
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Nessuno era così solo come lui
“Immobile restò Siddharta, e per un attimo, la durata d'un respiro, un gelo gli strinse il cuore, ed egli lo sentì gelare nel petto come una povera bestiola, un uccello o un leprotto, quando s'accorse quanto fosse solo”.
“Siddharta” è un piccolo libro ma con all'interno tanta sostanza. Hesse utilizza uno stile scorrevole, piacevole e con un messaggio profondo. Sfido chiunque a non essersi sentito almeno una volta nei panni del protagonista.
Siddharta è figlio di un Brahmino e ben presto si rende conto che ormai il padre e gli altri maestri non hanno più niente da insegnargli “gli avevano già versato interamente i loro vasi pieni nel suo recipiente in attesa, ma questo recipiente non s'era riempito”.
Così il giovane parte insieme al fedele amico Govinda per un'avventura. Hesse rappresenta in maniera magistrale l'evoluzione che almeno una volta nella vita colpisce ognuno di noi. L'insoddisfazione, il rendersi conto di non essere nel posto giusto, seguire una strada e poi prenderne una completamente diversa e senza dimenticare gli errori che spesso servono a raggiungere la meta.
Ho particolarmente apprezzato il fatto che l'autore mi abbia presentato un uomo che inizialmente sembra al di sopra degli altri ma che in realtà è fragile, debole e cerca di aiutare gli altri a non fare i soliti errori quando è stato proprio il primo a compierli. Spesso dobbiamo toccare il fondo per poter ritrovare noi stessi.
“Tu sei sapiente Siddharta; ebbene, impara anche questo: l'amore si può mendicare, comprare, regalare, si può trovarlo per caso sulla strada, ma non si può estorcere”.
Lo consiglio!
Buona lettura!!!
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Come un fiume
Il Novecento: un secolo intriso di sangue, ingiustizia e dolore… eppure che grande secolo per la letteratura! Alla schiera dei grandi autori che hanno popolato quegli anni si aggiunge con prepotenza Hermann Hesse, che avevo già avuto modo di apprezzare con "Il lupo della steppa" e che ora m'ha travolto col suo "Siddhartha": opera celeberrima ma a quanto pare anche piuttosto divisiva. Cercherò di essere più obiettivo possibile, ma non posso fare a meno di sorridere leggendo alcuni paragoni con libri di auto-aiuto o romanzi mainstream moderni. In molti hanno storto il naso perché non ne hanno condiviso le riflessioni e i pensieri, ma per come la vedo io uno dei concetti chiave dell'approccio alla letteratura e alla filosofia è quello di non prendere per oro colato tutto quel che apprendiamo leggendo, scremando quel che rientra nella sfera della nostra condivisione da quel che ne è avulso. Se fossimo costretti a concordare col pensiero d'ogni scrittore e filosofo che ci ritroviamo a leggere, i disturbi mentali non tarderebbero a bussare alla nostra porta; è dunque legittimo non condividerne tutte le osservazioni, ma questo non dovrebbe impedirci di analizzarli né tantomeno di apprezzarne il valore umanistico.
In "Siddhartha" vi sono riflessioni che ho sentito talmente vicini da esserne toccato - l’importanza forse illusoria della saggezza e la possibile virtù dell'ignoranza; il paradosso della ricerca; l'inutile sforzo che un genitore fa per evitare ai figli le sue stesse sofferenze giovanili - ma anche altri pensieri che sentivo lontani o che non condivido affatto: in fondo il racconto è pregno di filosofia e spiritualità prettamente orientali e che a noi possono apparire strane, se non assurde. Questo, tuttavia, a mio parere non inficia minimamente il valore e la bellezza del racconto che, a questo punto posso dirlo, per me è un capolavoro.
Eh sì, e i motivi sono diversi, oltre a quello appena citato.
Partiamo dallo stile: Hermann Hesse dimostra d'essere un autore camaleontico: lo stile di “Siddhartha” è molto diverso da quello adoperato ne “Il lupo della steppa”, rivestito d’una sacralità che si sposa perfettamente col contesto e i contenuti, eppure la sua mano si percepisce distintamente. Già solo questo aspetto dimostra un'incredibile maestria, a cui si aggiunge una scorrevolezza insperata, almeno in un opera con tali propositi e contenuti: la narrazione scorre infatti come il fiume tanto caro a Siddhartha e, proprio come quest'ultimo, ci parla e vuole invitarci costantemente a una riflessione per mezzo dei vagabondaggi, della crescita e della lunga ricerca che il nostro protagonista fa per trovare sé stesso e il segreto per congiungersi alla vita stessa. Non comprendo chi lo ha trovato pesante o ripetitivo: pur rispettandone l'opinione quest'ultimo punto mi lascia estremamente dubbioso.
Seppure i personaggi non posseggano una grande potenza e i loro caratteri non restino impressi nella memoria, i loro pensieri e riflessioni colmano efficacemente quest’unica, piccola lacuna.
In conclusione leggetelo: senza alcuna aspettativa o pregiudizio; senza l'erronea convinzione di doverne condividere ogni virgola ma analizzandone il contenuto.
Secondo me non ve ne pentirete.
“Quando qualcuno cerca, allora accade facilmente che il suo occhio perda la capacità di vedere ogni altra cosa, fuori di quella che cerca, e che egli non riesca a trovar nulla, non possa assorbir nulla in sé, perché pensa sempre unicamente a ciò che cerca, perché ha uno scopo, perché è posseduto dal suo scopo. Cercare significa: avere uno scopo. Ma trovare significa: essere libero, restare aperto, non avere scopo. Tu, venerabile, sei forse di fatto uno che cerca, poiché, perseguendo il tuo scopo, non vedi tante cose che ti stanno davanti agli occhi.”
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DAL SE ALL'ATMAN E' UN ATTIMO
Siddhartha , figlio del Brahmano, sembra avere tutto ciò che si possa desiderare dalla vita,ricchezza, bellezza e potere, ma tutto questo non gli basta, è alla ricerca di qualcosa di più, un qualcosa che non può essere appagato delle cose materiali e neanche dalla religione tradizionale, quel vuoto che vuole colmare è meglio rappresentato da un’illuminazione.
Pertanto il suo viaggio parte con una ricerca continua di nuove esperienze e rifiuti delle stesse, farà una serie di incontri con individui che professano di avere qualcosa da insegnare e i cui insegnamenti Siddhartha trova inadeguati, incompleti.
In primis rifiuta gli insegnamenti intellettuali e ritualistici di suo padre e degli altri brahmani, il rispetto delle tradizioni dei brahmani porta al valore intellettuale ma non alla felicità; decide di partire in viaggio con un gruppo di samana ma dopo tre anni di rigori verso il proprio corpo capisce che l'ascetismo dei samana crea solo una perseveranza stoica ma nient'altro; poi parte alla ricerca di Gotama, il Buddha ma si rende conto che essere un suo discepolo, seguire i suoi insegnamenti non è ciò che sta cercando, non è ciò che gli illuminerà l’esistenza “Molto contiene la dottrina del Buddha illuminato: a molti insegna come vivere rettamente, a evitare il male. Ma una cosa non contiene questa dottrina così limpida, così degna di stima: non contiene il segreto di ciò che il Sublime stesso ha vissuto, egli solo tra le centinaia di migliaia", la ricerca continua nel Samsara dove si fa travolgere dall'arte amatoria di Kamala che però non sfocerà mai in un amore supremo e spirituale, vivrà nel mondo, nel commercio, avrà denaro, si perderà nel gioco d’azzardo, avrà possedimenti ma capirà che tutto questo possedere porta a un’insoddisfacente brama di possedere ancora di più; rifiuterà persino il ruolo di padre protettivo per suo figlio.
Pertanto verrebbe da chiedersi se la ricerca di Siddhartha sia guidata più dal desiderio di colmare un vuoto o da una prospettiva, la visione di dove sta andando.
Il primo messaggio che passa è che ogni individuo “è responsabile” ed “ha la responsabilità” di trovare la propria strada, di effettuare il proprio percorso di vita personale e spirituale, di trovare il proprio equilibrio con se stessi e con il resto del mondo anche a costo di rifiutare le nostre origini, di lasciar andare il passato con tutte le fatiche e le conquiste fatte, chiudere un capitolo e ripartire da zero, andando oltre i rimpianti o i ripensamenti, non importa l’età, l’importante è farlo, farlo comunque. Poi un secondo messaggio che arriva è che un equilibrio e una sensazione di pace non necessariamente si trovano quando si è raggiunto ciò che si cercava bensì quando l’animo è predisposto a un equilibrio e a una pace interiore “C'è solo una conoscenza, o amico mio, che è ovunque, è l'Atman, che è in me, in te e in ogni essere. Ed è per questo che inizio a credere che non ci sia più grande nemico della vera conoscenza che voler sapere ad ogni costo, per imparare ".
E’ un libro semplice, che si apre, scorre e si chiude con lo stesso flusso regolare anche nella sua stessa lettura; un personaggio, Siddhartha, che passo dopo passo accoglie prima e rifiuta poi tutti gli insegnamenti e gli imput che gli arrivano nel suo percorso, un protagonista che a capo chino intende non insegnare nulla ma che lo fa comunque fino alla vecchiaia con il compare Govinda, un personaggio che mette in discussione tutto.
E’ un libro che non mi ha entusiasmato particolarmente e onestamente non ho amato neanche molto il protagonista che a tratti appare bastian contrario per partito preso, ma neanche mi sento di sconsigliarlo, magari letto nel momento giusto e con un background giusto riesce a lasciare un solco più profondo, il punto è che secondo me il lettore deve necessariamente avere un terreno fertile per accogliere in parte i messaggi che passano in questo testo che viene definito un grande classico della letteratura.
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Viaggio alla scoperta di se stessi
Questo libro rientra nella categoria di quei testi che è doveroso leggere. L'ho letto qualche anno fa e l'ho apprezzato tantissimo.
Avevo sentito meraviglie di questo piccolo testo di Hesse. A differenza di molti però leggere Siddharta non mi ha cambiato la vita e neanche mi ha offerto un nuovo punto di vista dal quale guardare le cose.
L'effetto sortito da questo testo, come per tutti i libri del resto, dipende molto dalla fase della vita in cui lo si legge e ancor più dall'età in cui si affronta questa lettura.
Leggerlo da adolescente, secondo il mio punto di vista, può davvero essere "illuminante".
Nel mio caso leggendo Siddharta ho avuto l'impressione di avere un riassunto di tutte le mie riflessioni. E' come se Hesse avesse preso tutti i miei pensieri e li avesse sviscerati, analizzati e archiviati.
Della scrittura di Hesse poi ci si innamora.
Da leggere assolutamente.
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Il ciclo della vita
Con quest'opera, Hesse sembra affermarsi come grande e vero conoscitore della natura umana. Che cos'è la vita? La vita non è una catena composta da vari anelli, ma è un ciclo, un ciclo che comprende gli stati di: stasi,illuminazione e rinascita, per poi cadere di nuovo in stasi. Questa è la vita di Siddhartha, un continuo morire e rinascere. Il perché di questo movimento ciclico è da ricercarsi nella natura umana stessa. Il mondo sembra reggersi sulle opposizioni: non possiamo sapere cos'è la gioia se non sappiamo cos'è la tristezza, non possiamo conoscere il buio se non conosciamo la luce. Dunque, gli opposti si attribuiscono valore reciprocamente; è questo ciò che avviene nell'animo di Siddhartha, egli è alla ricerca di quell' ''IO'' che esiste in ogni animo umano, un ''IO'' che si sottrae al tempo e allo spazio, l'essenza umana. Tuttavia,come è possibile evincere dalle vicende del protagonista, si può essere spinti a tale ricerca solo dopo aver smarrito sé stessi nella materialità e aver perduto io il proprio '' io '' nel mondo degli , è questa la fase detta ''stasi''. Il protagonista capirà anche che non vi è dottrina capace di illuminare il suo animo, perché l'illuminazione non si può spiegare né insegnare, è un qualcosa di puramente soggettivo. Viene dunque enunciato quello che è il fallimento certo della ricerca della verità, qual'ora quest'ultima fosse condotta secondo una dottrina, la risposta, dunque, non è nei libri. Siddhartha è un uomo illuminato, ma è anche un uomo come tutti noi. Siamo nati e cresciuti in una società che ha immesso nel nostro animo un concetto di ''dolore'' e ''ferita'' palesemente errato. In ''Siddhartha'' il il dolore è analizzato attraverso un duplice approccio: è possibile spargere sale sulle nostre ferite , ciò avviene qual'ora si evitasse di vivere un dolore, nascondendolo. Ma è possibile far sì che nelle nostre ferite risplenda la luce, la luce della rinascita. Ciò ci conduce ad un concetto molto semplice: la vita può essere cosparsa di dolore ma è il nostro atteggiamento nei confronti di quest'ultimo a essere determinante.
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Viaggio alla ricerca di sé
“Siddharta” è un’altra pietra miliare della letteratura del Novecento. Il romanzo in questione narra dell’avventura spirituale del giovane Siddharta, figlio insoddisfatto di un bramino, che decide di intraprendere una nuova via di conoscenza assieme a Giovinda, suo amico di vita. I ragazzi si metteranno così in cammino per raggiungere gli Samana, asceti che fanno della meditazione e delle privazioni il loro stile di vita. Ma questo non sarà sufficiente ed i due ragazzi riprenderanno, dopo alcuni anni, il loro viaggio nel mondo, alla ricerca della saggezza e dell’illuminazione.
Dello stile c’è poco da dire: Hermann Hesse non tradisce. Sicuramente, vuoi per i contenuti eviscerati, vuoi per la sua predisposizione linguistica, il romanzo in questione sa risultare a tratti di difficile, ma merita davvero uno sforzo di concentrazione. In comunione con gli argomenti esposti, le espressioni sono elevate.
Il contenuto è indubbiamente concentrato: in nemmeno duecento pagine, l’autore tratta un viaggio materiale e spirituale, l’elevazione da uomo ad illuminato e lo fa in maniera completa e superlativa. Ho sentito però molte critiche a riguardo: la ripetitività delle frasi, delle azioni, dei pensieri. Sì, indubbiamente è vero e ciò non favorisce la fluidità della narrazione che, al contrario, spesso trascende nella pesantezza; ma bisogna affrontarne la lettura tenendo sempre presente il concetto preponderante: la ciclicità della vita, dell’Anima, della Natura. Ed allora anche la periodicità della scrittura assume un senso.
C’è un altro appunto, che mi sento di dover aggiungere per forza: non mi ritengo né un’amante né una conoscitrice di religioni orientali (anzi, di alcuna religione – N.d.A.), ma quest’opera mi ha affascinata, tenendomi incollata alle pagine immersa nell’atmosfera mistica dell’India.
Lo consiglio? Assolutamente sì. Potrebbe non essere la migliore opera di Hesse (e su questo non discuto), ma credo sia una tappa obbligata per gli amanti dei classici.
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Cos'è la conoscenza ultima?
Stiamo parlando di Hesse, un Nobel per la letteratura, un personaggio dalla vita travagliata, segnata profondamente da ben due conflitti mondiali; genio indiscusso della narrativa, quindi tutte le opinioni/recensioni che possiamo scrivere noi "comuni mortali" sono assolutamente superflue.
In "Siddharta", più che in altre opere di Hesse, si notano le sue profonde radici culturali di filosofia orientale, che tuttavia mai diventano dogmatiche o pretenziose nei confronti del lettore. E' una storia dalla forte strutturazione fiabesca, leggera, rilassante, ma estremamente sottile stilisticamente, evocativa ed allegorica. Essa narra della vita del giovane Siddharta, che col suo amico Govinda, decide di tagliare definitivamente le sue radici con il suo paese natale, per incamminarsi in un viaggio all'insegna dell'esperienza e della conoscenza. Dopo una breve parentesi ascetica dagli anziani saggi Samana, presso i quali apprende le nobili arti del digiunare, pensare e pazientare, Siddharta si avventura da solo nella futile vita degli "uomini-bambini", ovvero nella quotidianità dell'uomo comune, condannata ad un'eterna lotta tra gioia e dolore, povertà e ricchezza, amore ed odio, ansia e soddisfazione, ma che alla fine non rende niente all'uomo, se non fugaci note emotive, intercalate dalla monotonia e dalle dipendenze. Dopo molti anni decide quindi di abbandonare tutto e tutti, nonostante sia ormai segnato fisicamente e psicologicamente dall'età, per continuare il suo viaggio, ancora speranzoso di raggiungere la "conoscenza ultima".
In definitiva, il "Siddharta" di Hesse è un testo davvero unico, che induce profonde riflessioni sul senso della vita, sul tempo e sulla più profonda essenza della natura, di tutte le cose che ad essa appartengono, siano esse animate o inanimate. Lo consiglio a tutti, ad ogni categoria di lettore; è un libro dal quale puoi estrapolare tanti più significati quanti più vuoi riceverne.
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La ruota delle manifestazioni
Questo libro, questo noto libro, io in effetti non l'ho letto. I puristi storceranno il naso -ed io con loro- ma mi sembra doveroso precisare come io abbia appreso la storia di Siddharta: l'ho ascoltata.
Durante le ultime tre notti, poco prima che la veglia divenisse sonno, ho ascoltato i 12 capitoli del romanzo nella versione audiolibro raccontata da Enzo Decaro.
Ero già ampiamente a conoscenza di come il racconto di Hesse (pubblicato nel 1922) fosse divenuto col tempo uno fra i libri più inflazionati della letteratura del novecento, e probabilmente proprio per tale motivazione ho deciso di fruirlo in modo alternativo. L'esperienza si è rivelata piacevole.
Pur non essendo un esperto conoscitore delle dottrine orientali non ho faticato a scorgere il fascino magnetico esercitato ancora una volta da esse sull’ennesimo intellettuale occidentale (e su di me). Tuttavia, e in ciò sono critico, le due tradizioni filosofico-religiose (quella occidentale e quella orientale) si fondano su “modelli culturali” divergenti, i quali non possono essere integrati.
(Da una parte la concezione lineare ed escatologica tipica dell’occidente, dall’altra la concezione ciclica orientale). L’adattamento tra le due (avviato filosoficamente ed editorialmente da Schopenhauer un secolo prima) si rivela nel tentativo di Hesse -concettualmente- una mediazione tanto godibile quanto caotica.
Ciò che Hesse ha offerto col proprio calderone di influssi filosofici, oltre al “bildungsroman spirituale” per eccellenza, è una narrazione che sembra essere stata immersa nel sacro Gange, e che una volta emersa gocciola misticismo.
Mistico fin nel profondo il racconto lo è invece nell’essenza stilistica: lo stile di “Siddharta” è infatti fluido come l’acqua che scorre, e la sapienza espressiva di Hesse non è mai banale ma connota una ricercata semplicità.
Le parole sensuali (che parlano ai sensi) di un narratore esterno, onnisciente, ma soprattutto assai delicato, ci avvicinano all’interiorità del giovane Siddharta, figlio di brahmino.
Poche sono le descrizioni oggettive nel romanzo, ma con un lavoro deduttivo il lettore potrà definire agevolmente le coordinate spazio-temporali: India, VI-V secolo a.C.
Ma in fondo che importa del dove e del quando? In questa narrazione il tempo ha poca importanza; Hesse attraverso le proprie scelte lessicali e sintattiche vuole addirittura demolirlo il tempo, o almeno tentare di alleggerirlo.
Il viaggio interiore di Siddharta si svolge dapprima “contro” e poi “attraverso” il mondo: ciò che all'inizio è perseguito attraverso l'ascesi e la dottrina dei padri (meditare per distruggere l'”io” ed arrivare alla “vera verità” che si cela dietro le illusioni materiali) ben presto diviene insufficiente, e l'elogio dell'esperienza (la quale implica l'errore) si concretizza.
Nella rinuncia ad ogni dottrina che giunga dall'esterno (perfino quella insegnata dal Buddha, dal “perfetto” in persona) Siddharta riscatta il proprio io, e così, nel preferire “le cose” alle “semplici parole” si perde nel mondo degli "uomini-bambini" (Hesse qui mi pare potente ed autentico).
Nell'incipit del "Convivio" Dante ebbe scritto che per natura “tutti li uomini desiderano di sapere” e Siddarta, da uomo, dovrà fare i conti con il proprio scopo: il desiderio di conoscenza e di autoaffermazione. E' buffo constatare come il rifiuto di dottrine sia sempre parallelo al bisogno costante di “particolari maestri” (se stessi, il sesso, un fiume) e come l'accumulo di conoscenza -quando perseguito- è ciò che maggiormente allontana dalle risposte e dalla saggezza. In virtù di ciò la maturazione del personaggio mostrerà al lettore come il punto di arrivo non possa essere una “mèta evolutiva” bensì una "scoperta casuale e immanente"; nella ruota delle proprie manifestazioni (perché tutto è ciclico, e tutto ritorna) Siddharta prenderà atto di come il tempo sia un'illusione ed una convenzione necessaria agli uomini, e come le sue mutevoli ed eterogenee tappe esistenziali non erano altro che la semplice manifestazione assoluta dell'infinito nel finito.
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Un Picaro nell'India del VI secolo a.C.
È la ricerca dell’assoluto ciò che induce Siddharta ad abbandonare la casa paterna. Un percorso di conoscenza attraverso il dolore, che lo porterà inizialmente a spogliarsi degli inutili orpelli della vita, per raggiungere quella purezza di spirito che è il fine ultimo del suo viaggio.
Svuotarsi dei desideri, privarsi del cibo, delle bevande, di ogni gioia e di ogni sofferenza, è la condizione unica per risvegliare il grande mistero che giace in fondo all’ essere. È così che Siddharta giunge alla mortificazione del suo corpo, per esaltare il suo spirito, seguito dal fedele Govinda. Egli è il grande Samana, il grande pellegrino, che tuttavia non riesce ad abbracciare nessuna dottrina, neanche la dottrina del Buddha, perché essa gli impedirebbe di scendere a fondo nel suo io e di conoscere la vera natura del suo essere, di giungere all’illuminazione.
Rimasto solo, Siddharta prosegue il suo viaggio che lo allontana dal proposito di esaltare il suo spirito, mortificando il suo corpo e giunge dunque a conoscere i piaceri dell’amore tra le braccia dell’etera Kamala. Sperimenta la vita nella ricchezza nel lusso e nella lussuria per lungo tempo, fino al giorno in cui il suo spirito risorge e gli impone di lasciare quei luoghi dove ha vissuto nell’ozio e nella prepotenza troppo a lungo.
Solo l’incontro con Vasudeva sollecita la consapevolezza di Siddharta, che capisce quale grande errore sia voler scindere nell’uomo la sfera spirituale da quella materiale. Solo il giusto equilibrio tra corpo e spirito può rendere l’uomo parte armoniosa dell’universo. Ed è il fiume, a questo punto della narrazione, che assume un ruolo fondamentale. Il fiume, con il suo scorrere, rappresenta simbolicamente la vita e tuttavia è proprio il suo scorrere a sovrapporre il presente al passato, proiettandosi verso il futuro. Piani temporali che suggeriscono l’idea dell’eternità. Hesse ha certamente assimilato le teorie filosofiche di Eraclito, con il suo principio del panta rei, insieme allo stesso paradosso di Zenone che dimostrava il principio del non movimento, per non parlare delle moderne teorie bergsoniane del tempo come un unicum tra passato presente e futuro.
Non è solo, tuttavia, la componente filosofica a fare di questo romanzo un grande saggio sui valori della vita. Non è meno importante la tendenza moralistica e didascalica che riguarda più da vicino il rapporto padre-figlio. Con dolore e amarezza Siddharta dovrà rassegnarsi a lasciar partire il figlio nato dalla sua unione con Kamala. Solo in quel momento realizzerà quanto doveva aver sofferto prima di lui suo padre, nel momento in cui egli aveva deciso di lasciare la casa paterna. Suo figlio, come lui stesso, anni prima, compirà errori, soffrirà nelle sue peregrinazioni nel mondo. Non ci sarà protezione, né riparo, né rifugio. È l’esperienza che porta alla conoscenza, è il libero arbitrio la massima facoltà che si concede all’uomo.
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PROBABILE SPOILER
Siddharta non è un romanzo di formazione lineare, ma ciclico. Tutta l'opera si sviluppa sul principio della ruota della reincarnazione. Il protagonista rinasce e muore da ogni sua esperienza, fino ad amarle tutte. Siddharta alla fine della sua vita assapora e vede vicino se la saggezza che non è dottrina o parola, esemplare a tal riguardo il monologo con Govinda, ma consapevolezza del mondo e abbandono alle illusioni. A lui non importa se il velo di Maya esista davvero perchè anche se tutto fosse un'illusione, allora ogni cosa sarebbe simile a lui. Il sorriso sul suo volto, lo stesso dei santi che ha incontrato, è il termine della sua ricerca. La sua ansia di trovare la vera saggezza svanisce nella tranquillità di un fiume che parla più di chiunque gli abbia mai parlato. E la sua pace, il suo Nirvana, si finalizza nell'amore incondizionato per un mondo che non saprà mai com'è nell'essenza, per cose che sono allo stesso tempo statiche e infinitamente mutevoli, per una realtà che non è mai unilaterale ma ha sempre due direzioni opposte e confluenti, in un Io che è sia fisico sia spirituale. Siddharta scopre il Tao come unione di Yin e Yang.