Salomé
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Misteri al chiaro di luna
Salomè è un’opera teatrale scritta in francese da Oscar Wilde nel 1891 per l’attrice Sarah Bernhardt e che fu al centro di polemiche sia a proposito della sua messa in scena, dal momento che Wilde veniva in quegli anni travolto dallo scandalo e, per di più, si trattava di un’opera che suscitava scandalo, sia della sua traduzione in lingua inglese, inizialmente affidata a Lord Alfred Douglas, “Bosie”, rivelatosi però inadeguato. Si tratta di una tragedia in atto unico che trae spunto da un evento biblico che ha avuto fortuna nella storia della letteratura, nonché delle arti musicali, e che Wilde rielabora, inserendolo nel contesto della sua peculiare esperienza artistico-letteraria. Non sorprende che un’opera simile, estremamente dissacrante nel suo essere antitetica ad ogni senso morale e incentrata sul fascino perverso del Male, abbia fatto scandalo nei puritani e moralistici ambienti della borghesia inglese che Wilde tanto detestava. Impreziosita altresì nella prima pubblicazione dalle immagini del discusso Aubrey Beardsley, Salomè è un’esperienza unica nel generalmente leggero teatro dell’autore inglese: anche attraverso le illustrazioni, essa sembra suggerire un rapporto tra la protagonista, sintesi sacrilega ed erotica dell’esperienza decadente, e l’autore, in un suo percorso personale di approfondimento della potenza seduttiva e distruttiva degli impulsi generati dalla bellezza, tema, come noto, centrale nell’intera vita reale e letteraria di Oscar Wilde.
La vicenda si svolge durante un banchetto nel palazzo in cui Erode, re di Giudea, vive con la sua compagna Erodiade, ex moglie del fratello. Un dialogo tra il giovane siriaco e altri soldati vede al centro la bellezza della luna splendente e quella della giovane Salomè, figlia di Erodiade. Questa è fortemente attratta da Iokanaan, il profeta Giovanni Battista, che, rinchiuso sul fondo di una cisterna, predice sciagure ai tracotanti sovrani di Giudea. Tuttavia Iokanaan rifiuta con sdegno le avances sessuali dell’incontenibile fanciulla, che lo vuole baciare. Mentre il giovane siriaco, di lei innamorato, si uccide nell’assistere a questa scena, e Iokanaan continua a inveire contro l’indignata Erodiade, Erode, affascinato dalla fanciulla, chiede a Salomè di eseguire per lui la danza dei sette veli: in cambio lei otterrà ciò che vuole. Salomè dunque danza nel sangue del giovane siriaco e, al termine, chiede al re la testa del profeta, per la soddisfazione della madre e l’orrore del re. Inizialmente ritroso nell’ucciderlo, Erode è alla fine costretto a mantenere la sua parola e consegna la testa di Iokanaan alla fanciulla, che con soddisfazione bacia la sua bocca. Erode, sgomento per tale scena, ordina ai soldati di uccidere Salomè e così si chiude il dramma.
Opera di difficile lettura e interpretazione, questa tragedia ruota attorno a due motivi principali, la luna e gli impulsi, che si collegano per generare un’aura di profondo e impenetrabile mistero a tinte macabre. Per quanto riguarda il tema della luna, il suo chiaro splendore è introdotto sin dalla prima scena ed è un elemento che rimane sullo sfondo, costantemente rievocato con forza, durante tutta l’estensione del dramma. La presenza della luna in tutta la sua bellezza viene dunque immediatamente associata alla fascinosa e inattingibile bellezza della giovane Salomè, che focalizza su di sé l’attenzione di tutti ed esercita un misterioso ascendente. Si sviluppa così il tema degli impulsi, esemplificati nelle morbose parole piene di desiderio rivolte da Salomè a Iokanaan (“Bacerò la tua bocca, Iokanaan; bacerò la tua bocca”) e nell’ammirazione incontenibile di Erode per la fanciulla.
Nasce da ciò un inarrestabile crescendo d’intensità, in cui le parole cedono il passo ai movimenti sulla scena, creando una sorta di atmosfera onirica e misterica che viene portata al parossismo nelle due macabre scene culminanti: la danza dei sette veli eseguita al chiaro di luna nel sangue del giovane siriaco appena suicidatosi e l’esaudimento del desiderio di Salomè, che bacia le labbra del decapitato profeta (“Ho baciato la tua bocca, Iokanaan”), in un trionfalismo minato dalla consapevolezza di esser irretita in un incanto tutto umano. Il metafisico e sacrale mistero che avvolge nell’ombra queste scene, su cui la luna punta i suoi impalpabili riflettori, è rotto dall’ordine dello sgomento Erode di uccidere la fanciulla. Ciò segna la cesura tra l’onirico mondo dell’arte e il ritorno alla vita reale per lo spettatore (o lettore), che certamente al termine del dramma rimane non poco in subbuglio, consapevole di essersi trovato di fronte all’irrazionale mistero dell’umana natura nelle sue dimensioni più scabrose e incomprensibili.