Odissea Odissea

Odissea

Letteratura straniera

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Durante il ritorno dalla guerra di Troia, un destino crudele prende a bersagliare Odisseo (Ulisse, per i latini) e i suoi compagni: la loro patria, l’isola di Itaca, pare allontanarsi per sempre, il viaggio sembra impossibile. Lucido e ostinato, pronto a tutto, Odisseo ricorda, previene e si oppone alla sorte, pur di approdare al porto natale e riprendere in pugno il proprio mondo. Ma quel mondo è cambiato, ed è cambiato anche lui.



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Odissea 2025-01-18 10:54:21 Miriam Di Miceli
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Miriam Di Miceli Opinione inserita da Miriam Di Miceli    18 Gennaio, 2025
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ODISSEO E LA FOLLIA

Mentre le fila di Penelope si incontrano e si disfano ad Itaca, allo stesso modo le parole di Odisseo si intrecciano nei suoi racconti e si dipanano nel mare. L’architettura narrativa è densissima ed essa stessa fa arte al complesso miscuglio tra tempo della storia e tempo del racconto: ci si ritrova nel presente della vicenda impersonata subito dalla Telemachia, nel passato dei viaggi compiuti da Odisseo e che il protagonista stesso racconta agli stranieri che di volta in volta incontra, si viene travolti nel passato ancora più remoto dal canto degli aedi, i quali ricalcano l’impronta della memoria delle gesta di Troia, nell’imperfetto, che è causa di tutte le colpe commesse in precedenza e che ogni personaggio si porta dietro, fino al raggiungimento di un destino che gli è toccato in sorte e lento attende il suo compiersi, e infine in un futuro, dettato da profezie e saggi consigli. Tutti abbiamo sentito parlare spesso di Odisseo, ma chi è realmente? In una visione completamente soggettiva, in cui mi sono concentrata principalmente in certe parti del racconto, che ho staccato e ricostruito nel mio immaginario, Odisseo mi è parso certamente l’uomo astuto di cui sempre si parla, l’uomo dal multiforme ingegno, ma pur sempre un uomo e il cuore di un uomo solo non può sopportare e patire così tante pene se non è accompagnato da un dio. Sopra tutte le divinità, è Atena che lo protegge, lo guida e gli appare in varie forme, e questo è un privilegio non da poco per un essere umano. Odisseo è davvero un uomo di raffinato ingegno, con una notevole fermezza, ma non gli sono estranei tratti riconoscibilmente inquieti e in costante allerta. Ho voluto cercare qualcos’altro in questo personaggio quindi, tra le pagine, ho incontrato anche un uomo la cui intelligenza è stata tanto gloriosa quanto sfrenatamente lungimirante e consequenzialmente dannosa. Mi sono domandata se Odisseo conosca la gioia e credo di no: chi possiede il pensiero complesso difficilmente abita il presente nel suo istante, ma è questo che costruisce il fato per lui e, come sappiamo, nessuno può sfuggirgli. Il guardare sempre al di là porta ovunque e da nessuna parte. Odisseo ha un obiettivo, il suo ritorno in patria, ma da qualcuno ha già saputo che, una volta approdato nella sua amata Itaca, dovrà nuovamente rimettersi in viaggio. Nonostante la perseveranza, la tenacia e la costanza, può essere sempre forte quest’uomo? No, non lo è. Una manifestazione di grande disperazione è vissuta dal protagonista sull’isola della dea Calipso che, innamorata, trattiene l’eroe per sette lunghi anni. Odisseo piange tutto il giorno guardando il mare, ha perso i compagni e la speranza va sempre più scemando, eppure resta intatta la sua nobiltà d’animo. La dea offre all’uomo l’immortalità se lui accetterà di restare accanto a lei per sempre, ma Odisseo rifiuta ogni volta una condizione di vita che, per quanto preziosa, non gli appartiene. È un uomo che soffre molto e parla poco dei sentimenti perché possiede poca fiducia nel prossimo. Come potrebbe un uomo fidarsi degli altri, quando è lui per primo a ordire inganni? Ancora una volta mi sono chiesta se Odisseo potrebbe essere definito un personaggio dal contorno complesso e paranoico. Cosa succede ad Odisseo quando non è accompagnato dal dio? È lì che ho sentito l’abisso di un uomo in una delle scene più sazie e più folli del poema: mi riferisco a quando Odisseo scende nell’Ade. Ma Odisseo scende davvero nell’Ade? Ecco come l’indefinitezza di un segmento narrativo racconta il mito più a fondo. Odisseo scava una fossa, avvia la libagione, si siede e rievoca i morti, questa pratica si chiama nekyia, che molto spesso viene confusa con la catabasi. Le immagini più atroci gli si affollano intorno, accompagnate da voci angoscianti di dolore, rimpianto e tremenda tristezza: sono le ombre dei morti, anime tristi di giovani, donne, guerrieri morti in battaglia, vecchi agonizzanti, compagni con cui l’eroe ha combattuto a Troia. Che cosa significa tutto questo? Cosa significa scavare una fossa? È vero che il consiglio di entrare in contatto con il mondo dell’Ade è stato un suggerimento della maga Circe, ma prima di allora Odisseo sembrava aver perso il suo obiettivo nell’isola di Eea, sembrava aver dimenticato del suo ritorno in patria, sarà infatti un compagno, con parole di rimprovero, a ricordargli la loro ultima destinazione. È possibile che un uomo tanto astuto abbia dimenticato il suo agognato ritorno ad Itaca? Secondo me sì. Ho letto questo undicesimo libro dell’Odissea sotto un profilo estremamente fragile e mi sono chiesta cosa cerchi realmente Odisseo quando, scavando il solco da solo, cerca di mettersi in diretto contatto con il regno sotterraneo. La profezia di Tiresia è la risposta più immediata, ma la risposta può non essere univoca. Non c’è mai un singolo responso perché il mito ne porta sempre di nuovi. Tra i possibili, ho immaginato che quest’uomo, per un istante, grattando la terra, stesse cercando la sua morte, in preda alla disperazione, come se l’uomo dall’acuto ingegno avesse perso momentaneamente il senno. Odisseo non ha particolare reazione alla profezia di Tiresia, il suo immediato desiderio è parlare con la propria madre, intravista tra le anime vaganti che la tremenda Persefone invia dall’oltretomba. La figura materna sembra essere l’approdo più sicuro per un uomo in balia di un tormento divoratore. Sarà proprio la madre di Odisseo a invocarlo verso la luce: "ma tu cerca al più presto la luce, però tutto qui guarda per raccontarlo poi alla tua donna". Pulsioni di vita e di morte si intrecciano in questo episodio magnifico e complesso. Odisseo guarda attentamente le anime che gli stanno attorno e la sua forza dinamica, che sempre lo porta a un costante autocontrollo, si disperde nell’abisso di una stanchezza psichica. Cosa proietta in tutte quelle anime? Forse la miseria della vita quando si perde la speranza, forse il pentimento di certe sue azioni compiute antecedentemente e, in tal senso, significativa è la presenza di Aiace, che non perdonerà Odisseo neanche dopo la morte. Forse, guardando tutte quelle anime femminili, osserva il loro patire e si immedesima in quel dolore che egli stesso ha causato alla moglie amata, al figlio abbandonato ancora in fasce, alla sua stessa madre Antìclea, morta per le pene insopportabili a causa di un figlio troppo lontano e considerato ormai morto, e sarà la stessa genitrice a informare il figlio sulle condizioni del padre, il nobilissimo Laerzio, che, senza ormai più vigore e straziato dal dolore, preferisce l’isolamento nei campi, vestendo stracci e poco altro. Un nucleo familiare, una terra intima che è andata in frantumi, i cui cocci isolati diventano singoli membri, ma l'uomo antico non è in grado di sopportare il peso della solitudine ed è per questo che cade nel disegno della follia.
L’Odissea è un’opera che ha molto da dire, una reale trattazione può essere composta solo dopo aver impiegato uno studio lungo, concreto e accurato da parte di un professionista. Io ho solo portato alla luce una piccola scintilla che mi è venuta in mente solo dopo aver letto più volte l’undicesimo libro dell’opera e, a questa miccia, ho accostato la rappresentazione del pittore di Dolone di un cratere a calice, a figure rosse, un vaso lucano del 380 a.C., che raffigura un Odisseo stanco, dallo sguardo insensibile e vuoto, ed è lì che le domande hanno cominciato a prendere forma dentro la mia testa, affascinata, come sempre, dalla potenza del mito e di quanto ancora abbia da raccontare.

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Odissea 2020-05-13 04:58:52 siti
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siti Opinione inserita da siti    13 Mag, 2020
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Una comune identità: il canto

Mai come in questo caso il traduttore ha permesso di godere maggiormente dell’opera, accantonato dunque il ricordo scolastico legato alla traduzione del Pindemonte, cosa che mi riprometto di fare tradendo pure il Monti dell’Iliade, ho letto serenamente il lavoro della Calzecchi Onesti, gustando appieno ognuno dei ventiquattro libri del poema.
Dalla “Telemachia”, a “ I viaggi di Odisseo”, concludendo con “Il ritorno e la vendetta di Odisseo”, la protagonista assoluta, compagna delle tre sezioni, è stata la curiosità, nonostante questo sia il libro che molti conoscono senza averlo mai letto. In particolare la lettura è stata utile per scalzare dal podio il suo protagonista assoluto, Odisseo: non l’ho condannato come Dante nel XXVI canto dell’Inferno; non l’ho circoscritto alla sua condizione di esule come fece Foscolo per cantare il suo destino; non ho visto in lui l’emblema della decadenza come fece Pascoli e tanto meno ne posso cogliere i tratti del superuomo di cui l’ha rivestito D’Annunzio, entrambi , Pascoli e D’Annunzio, facendolo protagonista, come Dante prima, del rinnovato viaggiare nonostante il ritorno.
L’Odissea non è solo Ulisse, è un mondo multiforme, è la metafora del pericolo, del diverso, dell’incontro, della scoperta; è inoltre il canto dei canti, un poema in divenire che evolve autoalimentandosi; tutto questo è ben visibile nella lettura integrale, non episodica ma continuativa, nonostante la struttura episodica sia sovrana e abbia dato modo di isolare i singoli momenti narrativi ben noti a tutti. Una continuità di lettura che permette dunque di godere dell’antico poema collettivo come di un romanzo moderno, facendosi suggestionare dal tema centrale del nostos e da quella commistione di generi che, come ci fa notare Calvino,nel suo “Le Odissee nell’Odissea” in “Perché leggere i classici”, riprendendo la tesi di Heubeck, mette un eroe epico in uno schema narrativo da antica favola e da fiaba. Ecco perché ci affascinano la maga Circe, il Ciclope, il potenziamento delle proprie virtù per intercessione esterna ( il dono a dirla come Propp), misti al concilio degli dei, alla guida di Atena, alla vendetta di Poseidone e allo stesso tempo varchiamo la dimensione più reale di quegli antichi regni autonomi che si affacciano sul mare o ne sono circondati e aspettano un ritorno o accolgono uno straniero accomunati da un unico canto che unisce una comunità dispersa quasi in una sorta di diaspora atavica che ha come legame il suo comune cantare.

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