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Non si incatenano le emozioni
In un futuro non meglio precisato, l'umanità è soggiogata allo Stato Unico guidato da un unico leader, Il Benefattore, rieletto di anno in anno con agghiacciante unanimità. Questo governo rinchiude i suoi sudditi in una bolla di vetro, da intendersi non solo in senso figurato, quale garanzia di un discutibile benessere generale, ma addirittura in senso letterale, trovandosi questa società futuristica inglobata in una vera e propria campana trasparente attraverso la quale appare un cielo sempre sereno, che divide gli uomini da tutto ciò che di selvaggio e animale è rimasto sul pianeta. Una società che ha abolito qualsiasi forma di individualità, tarpato le ali ad ogni sprazzo di fantasia, troncato sul nascere qualsivoglia sentimento. È la matematica, fredda, prevedibile, affidabile, a regolare l'organizzazione e a scandire di ora in ora la vita di ogni singolo componente. Perfino i nomi sono stati soppiantati da cifre alfanumeriche, una consonante e un numero dispari per gli uomini, una vocale e un numero pari per le donne. L'io è stato sostituito dal noi che dà il titolo al libro, il sesso è regolato tramite preventive prenotazioni, la procreazione pianificata dal potere, la privacy abolita da muri di vetro, l'alimentazione legata a cibi derivati dal petrolio di cui viene perfino calcolata la masticazione. In questo contesto seguiamo la vita dell'io narrante, D-503, ingranaggio perfetto dello Stato Unico, servo devoto delle sue regole matematiche, fedele seguace del Benefattore. Il protagonista non si limita ad essere un suddito eccellente, ma addirittura partecipa all'evoluzione di questo sistema e, in un certo senso, alla sua espansione, essendo, in qualità di ingegnere, a capo del progetto dell'Integrale, una navicella che ha lo scopo di andare in giro per lo spazio a divulgare il verbo aritmetico della sua società perfetta. Dall'alto del suo essere stato allevato dallo Stato Unico e dall'aver quindi raggiunto le vette più alte accessibili all'uomo, il narratore si rivolge a noi poveri lettori ignoti come se fossimo dei bambini, raccontando di come ad un certo punto della sua esistenza sia entrata un'incognita imprevista, indecifrabile, ineluttabile, capace di scalfire la sua fede cieca, di minare le sue incrollabili convinzioni, di portarlo a dover ricalcolare le sue priorità: l'amore. Sarà infatti l'affascinante ed enigmatica I-330 a far esplodere la sua bolla dorata, trascinandolo in un vortice di passione, dissobbedienza, sovversione. D-503 passerà dal pensare "È chiaro. L'unico mezzo per liberare l'uomo dalle azioni criminali è liberarlo dalla libertà" a rendersi conto che "Era incredibilmente strano, inebriante: mi sentivo al di sopra di tutti, io ero un io, qualcosa di separato, un mondo, avevo smesso di essere un addendo, come sempre, per diventare un'unità a se stante. " Antesignano del genere distopico, "Noi" di Evgénij Zamjàtin apre le porte ad un indovinato filone novecentesco che vedrà nei vari Orwell, Bradbury, Huxley i più famosi e fortunati seguaci. L'autore russo ha il merito non solo di esserne il capostipite, ma di averne elaborato il concetto prima ancora che si affermassero i grandi totalitarismi del ventesimo secolo, cui sono facilmente riconducibili le opere dei suoi successori e a cui, se non guardassimo la data di pubblicazione, sarebbe facile legare anche questa. L'incubo generato dalla visionarietà di Zamjàtin invece non è legato a particolari eventi storici, ideologie, correnti, ma ad un inquietante pensiero: cosa sarebbe dell'uomo se si lasciasse guidare soltanto dalla logica? Che società verrebbe fuori se alla sua base ci fosse solo il mero calcolo matematico? A cosa porterebbe la razionalità se non fosse accompagnata, mitigata, addolcita dalle emozioni? Domande che, in verità, si possono porre rivolgendole a qualsiasi epoca storica, a ogni forma di governo, a qualsivoglia ideologia politica, al passato, al presente, al futuro e che troverebbero sempre le stesse risposte: non c'è meccanismo che può incatenare la fantasia, non c'è insieme che riesca ad annullare l'individualità, non c'è colore capace di azzerare le varie sfumature, non c'è vita se non c'è amore.
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Il precursore dei distopici
Dopo aver letto (per la terza volta) Fahrenheit 451, ero curioso di leggere quello che è un po’ il capostipite di tutti i romanzi distopici, ovvero quest’opera di Evgenij Zamjatin. Che cosa dire; sicuramente si percepiscono le idee che inseguito verranno sviscerate e approfondite da Bradbury, Orwell e Huxley (tra gli altri), pur non raggiungendo la medesima forza, la medesima efficacia; pur conservando l’angoscia e il senso di oppressione tipico di questo genere di romanzi. D-503 è l’embrione di Montag e Winston Smith: coloro in cui si insinua il dubbio; I-330 è l’embrione di Clarisse e Julia: coloro che questo dubbio risveglieranno; lo Stato Unico del Benefattore è l’embrione del Grande Fratello e del Governo a capo dei militi del fuoco: gli oppressori che si spacciano, appunto, per benefattori.
È interessante vedere come Zamjatin avesse anticipato i grandi rimanendo un po’ nella loro ombra; ammirevole come le sue idee fossero in anticipo sui tempi, pur non possedendo la stessa potenza che avrebbero avuto i suoi successori. Come Herbert George Wells (al quale, infatti, Zamjatin si ispirava), l’autore russo è stato un visionario le cui intuizioni si sono costituite base di un genere che nei decenni a venire è stato sfruttato all’inverosimile. Un plauso gli va rivolto anche soltanto per questo.
D-503 vive la sua vita convinto di essere felice. La vita degli uomini è stata ormai organizzata nei minimi dettagli, minuto per minuto, fatta eccezione per delle brevi ore di libero impiego. Tutto è logico, strutturato attraverso metodologie matematiche che non possono sbagliare e che limitano la vita di un uomo e gli impediscono di venire a contatto con le cause dell’infelicità: l’amore su tutte; sostituito da brevi incontri tra gli “alfanumeri”, che possono prenotarsi a vicenda per soddisfare le proprie necessità fisiche. Per chi rifiuta, c’è in serbo l’esecuzione, così come per chiunque osi opporsi in qualsiasi modo allo Stato Unico.
D-503 è il Costruttore dell’Integrale, una specie di navicella che dovrebbe portare agli uomini su altri pianeti il segreto di questa felicità che l’umanità ha finalmente trovato dopo anni di sofferenze. Tutto è pronto, se non fosse che nel momento meno opportuno avviene l’incontro fatale con I-330: donna enigmatica che porta nella vita del costruttore il dubbio e infine l’amore: una malattia da debellare; peggiore della peste e probabilmente più letale, soprattutto in una società siffatta.
Forse un po’ confusionario in certi tratti, è comunque un’opera particolare e probabilmente molto interessante da leggere per chi ami i romanzi distopici.
“Ecco: in quel momento procedevo di concerto con tutti, eppure avulso da tutti. Ero ancora tutto scosso per le ansie provate, come un ponte rintronato dal passaggio di un vecchio treno di ferro. Avevo sensazione di me. Ma ha sensazione di sé, è cosciente della propria individualità, soltanto un occhio irritato da un bruscolo, un dito in suppurazione, un dente cariato: se sani - occhio, dito e dente è come se non esistessero. Non è forse chiaro che avere coscienza di sé equivale soltanto a malattia?”
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Liberarsi dai lacci della felicità
Patriarca di molti romanzi distopici novecenteschi, “Noi” è al contempo feroce satira dell’utopia comunista e lucida anticipazione di quelle che solo anni dopo saranno le grandi dittature europee: Zamjatin delinea con chiarezza quasi profetica uno Stato Unico governato col pugno di ferro dal Benefattore, pronto a mettere a tacere con la forza chiunque osi opporsi a quella che i nostri occhi di lettori contemporanei appare come una vera e propria dittatura.
Zamjatin si allontana però decisamente dai primi anni del ‘900 quando scegli come ambientazione per il suo romanzo un futuro lontano in cui la razza umana si è affacciata al baratro dell’estinzione per poi chinarsi docilmente al giogo dello Stato Unico, che imprigiona i suoi abitanti in una felicità illusoria, dopo averli resi liberi dalla libertà stessa.
È questo lo scenario in cui si muove D-503, Costruttore della navicella spaziale denominata “Integrale”, prossima al suo primo viaggio su nuovi pianeti dove portare la vera civiltà. L’esistenza preordinata del protagonista, piccolo ingranaggio nel grande meccanismo statale, viene radicalmente stravolta dall’incontro con I-330, di cui si innamora e grazie alla quale riesce infine a vedere il vero volto del Benefattore.
In D-503 la trasformazione è molto graduale, a volte pare quasi fare dei passi indietro; la rivoluzione è però già in atto e chi vuole sfidare il potere dello Stato Unico non attende ulteriormente per far sentire la propria voce. Gli eventi si fanno via via più adrenalinici, con l’approssimarsi del finale e della rivelazione circa il destino di questa Terra tanto distante della nostra, sia sul piano temporale sia su quello culturale.
Se paragonato ai protagonisti di romanzi distopici più moderni, D-503 si dimostra a più riprese un uomo poco coraggioso, ed il solo motivo che lo spinge alla ribellione contro il regime è il sentimento d’amore per I-330, in assenza della quale si ritrova spesso preda del dubbio; per gran parte del romanzo si trova sospeso quasi tra due versioni di se stesso: l’ubbidiente unità, parte del Noi collettivo, e l’Io selvaggio, egoista e a tratti animalesco. Il suo comportamento può comunque trovare una comprensibile giustificazione nell’ottica di una vita interamente allietata dalla felicità effimera dello Stato Unico: non deve essere stato affatto facile comprendere un’alternativa a tutto ciò.
Il ruolo dell’eroina ribelle viene quindi delegato a I-330, tratteggiata quasi come una femme fatale capace di persuadere ogni uomo ad aiutarla nei suoi piani. Benché il punto del protagonista porti il lettore lontano dall’azione, I-330 si dimostra comunque una donna decisa nei suoi propositi e pronta a tutto per essi, perfino a resistere ad una crudele tortura.
Il Benefattore risulta invece un antagonista embrionale, primo di una caratterizzazione; la sua figura fa pensare ad un’ombra che incombe sui protagonisti, anziché ad una persona in carne ed ossa.
In questo romanzo è inoltre la collettività stessa a diventare un personaggio. Le persone ci vengono presentate come del tutto dimentiche della loro individualità: tutti indossano gli stessi vestiti, compiono le stesse azioni nello stesso istante ed hanno perfino perduto il nome in favore di numeri e lettere.
È curioso segnalare come il protagonista associ la lettera di ognuno alla sua fisicità e come inserisca nel suo “diario” molti riferimenti ai numeri, ai calcoli e alle forme, seppur ciò non stoni affatto in un mondo dove perfino attività artistiche quali la poesia sono schematizzate e dominate dalla matematica.
Un plauso infine allo straordinario stile di Zamjatin, specialmente per le geniali metafore e per le riflessioni che ispira nel lettore, ma anche all’ottima traduzione italiana di questa edizione, resa più ricca dalle utili note a fondo volume.