Moravagine Moravagine

Moravagine

Letteratura straniera

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A farci da guida è un doppio dell'autore, che non per caso porta il nome di un anarchico ghigliottinato nel 1913, Raymond la Science. E un doppio diabolico e allucinato dell’autore è lo stesso Moravagine, ultimo discendente di una famiglia reale, che Raymond aiuta a fuggire da una clinica per alienati e in compagnia del quale vivrà le peripezie più mirabolanti: saranno terroristi nella Russia zarista del 1905, prigionieri degli indios blu sulle sponde dell'Orinoco, volontari nel corso della prima guerra mondiale... Moravagine è la «grande belva umana», «amorale», «fuorilegge», un essere che incarna la follia e il male, che uccide «spesso per puro divertimento», di preferenza giovani donne, e teorizza che «tutto quanto è solo disordine» e che chi ha paura del disordine ha paura della vita stessa: la quale non è altro che «delitto, furto, gelosia, fame, menzogna, sborra, stupidità, malattie, eruzioni vulcaniche, terremoti, mucchi di cadaveri», e che non esiste verità, ma solo l'azione, «l'azione effimera», «l'azione antagonista». Tra digressioni fascinose, anse maestose, deviazioni fulminee, veniamo irresistibilmente trascinati da una scrittura che, come rilevò la critica del tempo, possiede una «prodigiosa potenza pittorica, un misto di crudeltà, sensualità e lirismo» – uno stile la cui sfrenata libertà continua a vibrare.



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Moravagine 2018-09-11 00:18:01 DanySanny
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DanySanny Opinione inserita da DanySanny    11 Settembre, 2018
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Il paradosso Moravagine

Strano libro, questo Moravagine e strano il suo autore, Blaise Cendrars, avventuriero giramondo e scapestrato, a suo agio tanto nella Legione Straniera, che lo segnerà, oltre l’apparenza, nel profondo, quanto nei bordelli dell’Europa orientale, nelle foreste più profonde dell’America e sulla Transiberiana, carismatico e curioso viveur in perpetua fuga dalle convenzioni. E se tutta la spirale vertiginosa della sua vita ammanta l’uomo di un certo mistero, la sua scrittura non si sottrae alla continua esacerbazione dei limiti, alla continua scoperta dell’enormità e della magniloquenza. Tutto trabocca nelle pagine di questo romanzo, nell’horror vacui sfiorato e deriso, strabordano i personaggi con le loro esagerazioni, eccedono le parole, affabulanti arabeschi soggiogati da una retorica ferma, eruditissima, capace di plagiare il lettore e oltrepassa ogni limite di misura lo stesso Blaise Cendrars. Colto autodidatta svizzero, naturalizzato francese, Cendrars è lo pseudonimo "di cenere e fiamme" che l’autore si sceglie, perché scrivere è bruciare e risorgere, scrive. E se l’avesse detto chiunque altro, ci avremmo anche potuto credere, ma nulla sembra autentico in questa ostentata professione di fede e nessuna verità esce da queste pagine. Sia chiaro, ci sono momenti bellissimi in questo Moravagine e l’autore sa scrivere, saltando repentinamente da un genere all’altro, il trattato, la poesia, la commedia, il dramma, la lirica. Basti a titolo esemplificativo questo estratto:

“Avrei voluto spaccare con le labbra il quarzo profumato e bere l’estrema goccia di miele primordiale che la vita delle origini ha deposto in quelle molecole vetrose, quella goccia che va e viene come un occhio, come il globulo di una livella ad acqua”

Il punto, il drammatico difetto di questo romanzo, è che non c’è respiro a sorreggere la trama, non c’è chiarezza, non c’è trasparenza, emerge soltanto il gusto per l’ostentazione, per l’eccentrico, l’esacerbata ricerca della sorpresa, come nel barocco peggiore. I personaggi si muovono zigzagando da un capo all’altro del mondo, con le loro nefandezze, con la loro inconsistente gravità e tutto si spegne nel bagliore misero di un fiammifero. E il peccato, davvero capitale, è che l’autore spreca quanto di buono c’è nel suo acume, quanto di provocatorio, centrifugo e rivoluzionario c’è nelle pagine, tutto soccombe all’istrionismo dannunziano della penna e si frammenta in un labirinto senza senso di azioni che non conducono da nessuna parte. E confesso di non essere riuscito a finire il libro*, nonostante sia indubbiamente migliore di altri romanzi letti, perché l’autore scrive per se stesso, per il suo proprio gusto e le pagine non valgono lo sforzo della decifrazione. Il paradosso di Moravagine è che in esso coesistono indubbie qualità e al contempo vizi di forma del tutto antiletterari. Questa “mort à vagin”, “morte dalla vagina”, insomma, nell’ansia di stupire, perde qualsiasi interesse. E davvero disturba la sfinita misoginia dei personaggi, la sfilata indefinita di donne stuprate e uccise nell’inverosimile espiazione di un fantasma che deve aver tormentato l’autore per anni. Un libro come Moravagine non può non essere pubblicato, perché dirompente e in un certo qual senso seducente, ma siamo certo liberi di scegliere se leggerlo o meno. Il curato apparato critico e il diario dell’autore, al solito proposti da Adelphi, aiutano a ricostruire il moto ondivago del libro e, almeno per me, sono stati più godibili di Moravagine stesso.

*Curiosamente l'unico altro libro che non sono riuscito a finire in vita mia è "Orgoglio e pregiudizio", lasciato a metà. Attrazione degli opposti.

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