Molto rumore per nulla
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Uno Shakespeare alla portata di tutti
“Molto rumore per nulla” è un’opera di Shakespeare che non conoscevo, ma dopo averla trovata più volte rammentata in altri libri, non ho resistito e curiosa, come solo una donna può esserlo, l’ho presa in biblioteca, l’ho letta e posso confermare di aver fatto bene.
“Molto rumore per nulla” è una commedia romantica in cinque atti. I personaggi non sono pochi, ma sono facilmente riconoscibili. Shakespeare in meno di cento pagine, presenta una commedia che se sotto molti punti di vista è prevedibile, trova la sua peculiarità non tanto nella trama, ma nei singoli personaggi.
Siamo a Messina e due sono le storie che s’intrecciano. Da una parte, il colpo di fulmine fra Ero e Claudio e dall'altro l’amore litigarello fra Beatrice e Benedetto. Ma l’happy end si dovrà scontrare con la calunnia e l’inganno dell’uomo che con il suo zampino cerca di trasformare una commedia in una tragedia.
Se, come dicevo, la storia può sembrare davvero molto banale e prevedibile, i singoli protagonisti di certo non lo sono. Fra i miei preferiti spicca Beatrice, cugina di Ero, che rappresenta, considerato che la commedia è stata pubblicata a fine 1500, una femminista vera e propria. Una donna che difende la cugina, risponde per le rime e soprattutto è consapevole della sua posizione “Non posso diventare uomo solo perché lo desidero, e allora morirò donna perché soffro”. Una donna però che davanti all’amore e al valore dell’altro riesce, anche se non con semplicità, a riconoscerlo e a ricambiarlo.
Una menzione la devono avere anche Carruba, capoguardia della ronda notturna e il suo vice Sorba. Con la loro inettitudine non possono non rimanere simpatici al lettore. L’intento di Shakespeare è molto chiaro, ovvero quello di rappresentare l’inefficienza della giustizia.
Uno Shakespeare che consiglio a tutti, si legge velocemente e per gli amanti dell’autore è imperdibile.
Vi lascio con questa frase:
“non si apprezza il valore di quel che abbiamo mentre ne godiamo, ma appena lo perdiamo e ci manca, lo sopravvalutiamo, e gli troviamo il pregio che il possesso rendeva invisibile, fino a che era nostro”.
Sante parole!
Buona lettura!
Indicazioni utili
Amori ed equivoci a Messina
Premessa: non nutro una fortissima simpatia per Shakespeare. Non metto assolutamente in dubbio che dimostri sempre uno stile impeccabile, molto raffinato e pulito nei suoi componimenti, ma le sue storie non mi coinvolgono come dovrebbero. “Romeo e Giulietta” non mi ha colpito particolarmente, così come “Macbeth”, e ho semplicemente odiato “La commedia degli errori”. Quindi l’idea di leggere un’altra opera del celeberrimo drammaturgo mi aveva trasformato nell’ “Urlo” di Munch (sì, sono stata costretta a leggerlo per motivazioni recitative - teatrali) anche se, devo ammetterlo, non avevo mai sentito nominare questo titolo fra i suoi componimenti e un po’di curiosità mi era venuta. (Non so sia uno dei suoi lavori meno famosi o sono io che sono poco documentata al riguardo). Magari mi sarei trovata qualcosa di bello fra le mani e fortunatamente così è stato.
Dunque: siamo a Messina, in un aristocratico ambiente di corte di fine Cinquecento, dove seguiamo principalmente le vicende di due coppie: la prima costituita da Claudio ed Ero, la seconda da Beatrice, cugina di Ero, e Benedetto, un caro amico di Claudio.
Ma se fra i primi è amore a prima vista, gli ultimi due, invece, non si possono nemmeno guardare in faccia senza prima essersi pesantemente insultati (e secondo voi come andrà a finire fra loro)?
La storia si dipana quindi fra feste, balli, travestimenti, complotti, inganni, calunnie e fraintendimenti, dove i nostri quattro eroi faticheranno non poco per coronare (o ammettere) il loro amore, aiutati dai famigliari, quanto da personaggi buffoneschi e astuti.
Chiariamoci: l’inizio della commedia è una pizza. All’inizio vi sono, infatti, praticamente e unicamente chiacchiere da salotto, gossip e pettegolezzi tipici di una corte, tanto che ho pensato più volte di abbandonare il libro, ma ho tenuto duro sperando in una svolta (ovvero il fattore che innescherà gli equivoci) che, grazie al cielo, c’è stata e mi ha fatto apprezzare il tutto.
Anche se a mio parere la trama è piuttosto prevedibile e banalotta (in quante migliaia di commedie, in fondo, si trovano degli intricati nodi di errori e fraintendimenti da districare?), non ho potuto fare a meno di affezionarmi a tutti i protagonisti, in primis Benedetto e Beatrice, quest’ultima in possesso di un carattere veramente forte, tenace e testardo, oltre che di una lingua velenosissima e una bocca capace di sputare pesanti sentenze. Non bisogna pensare, però, che sia una bisbetica megera, al contrario, più volte si dimostra molto dolce e protettiva nei confronti della cugina e detentrice di sentimenti profondi che non ha il coraggio di rivelare. Però… Che dire? Mi piacciono troppo le tipette tutto pepe nate in un’epoca sbagliata!
Claudio ed Ero, invece, suscitano quasi tenerezza nel loro candore, innocenza ed ingenua esperienza d’amore. Lui, timido nella materia di Cupido ma valoroso nella vita e nella guerra, si lascia un po’ troppo influenzare dalle circostanze, dalle maldicenze e dalle persone, senza mai verificare che ciò che gli viene riferito sia tutto vero. Oserei definirlo lunatico, proprio come Leonato, il padre di Ero, che un secondo prima adora la figlia, poi la vuole morta e sofferente e subito dopo la riama! Ma che bel padre, tutti dovrebbero averne uno così! Vabbè, siamo nel Cinquecento, concediamogli il fatto di possedere una mentalità arcaica e superata.
Ero, forse uno dei personaggi meno caratterizzati, non dice molto nell’opera, ma è perfettamente intuibile quanto bene rivesta il ruolo di delicata e fragile verginella di turno.
Come dimenticare, poi, Carruba e Sorba, i soldati della ronda? Saranno anche i dei ex machina della vicenda, ma sono simpaticissimi! Personaggi sì diligenti e scrupolosi nel loro lavoro, ma terribilmente comici nella cura superflua della loro dignità e integrità morale anche nei momenti più seri e peggiori. Non c’è una sola battuta che dicessero che non mi abbia divertita.
Concludo rivolgendomi a te, caro Shakespeare: stavolta mi sei piaciuto e chissà che in futuro i miei occhietti non cadranno su qualche altro tuo lavoro.