Manoscritto trovato a Saragozza
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Tanti romanzi in uno
In bilico tra realtà e fantasia, tra paura e umorismo, tra stregoneria e religione, seguiamo il giovane capitano della Guardia Vallone, Alfonso van Worden, nel suo viaggio verso Madrid attraverso la Sierra Morena, terra di banditi, contrabbandieri e vagabondi, nella Spagna a cavallo tra diciottesimo e diciannovesimo secolo. Una lunga serie di concatenate avventure, incontri singolari, fatti inspiegabili aspettano il nostro eroe, disposto a dimostrare il suo coraggio, pronto a sguainare la spada, affamato di gloria e di azione. Le sue vicissitudini sono spesso intervallate da altre storie, raccontate dagli strani personaggi con cui entra in contatto, andando a comporre questa sorta di bizzarro puzzle che compone l'opera di Jan Potocki. Il nobile polacco, studioso erudito, convinto progressista, eccentrico uomo di cultura, si lancia in questo labirintico romanzo che sembra sfuggire a qualsiasi definizione letteraria perché ha in sè le caratteristiche di diversi generi. Potremmo definirlo un romanzo gotico, perché associa romanticismo e orrore, ma anche d'avventura, perché celebra il coraggio e narra numerose peripezie, o di formazione, in quanto segue il processo di maturazione del protagonista. Potremmo inserirlo nel novero della letteratura d'intrattenimento, per l'umorismo, il ritmo, la fantasia che lo contraddistinguono, ma sarebbe limitativo perché, sotto l'amenità apparente, si nascondono allegorie, metafore, denuncia sociale e nozioni scientifiche. Può anche apparire dissacrante, per il modo con cui affronta temi cari alle religioni, o licenzioso, per il raffinato erotismo di alcune scene. A tratti può apparire un po' sorpassato, stereotipato, ripetitivo, perché va contestualizzato rispetto all'epoca in cui è nato. Insomma, assodata la seria difficoltà di dargli una definizione, non resta altro che leggerlo, immersi in atmosfere oniriche, assediati da spettri, streghe e demoni, cullati da una prosa pregevole e stimolati dal dolce pensiero che, molte delle storie presenti nel libro, Potocki le scrisse di giorno per poi raccontarle la sera al capezzale della moglie malata, alleviandole quanto poteva le sofferenze.
Indicazioni utili
UN DECAMERONE GOTICO
Non sono un esperto di letteratura fantastica, e quindi non sono in grado di valutare quanto originale e innovativo possa essere giudicato il “Manoscritto trovato a Saragozza” del polacco Jan Potocki. La mia impressione è tuttavia che esso ricicli, attingendovi a piene mani senza troppi scrupoli e ancor meno genialità (cosa che rende addirittura paradossali le numerose vicissitudini di plagi e appropriazioni indebite subite negli anni successivi), gli elementi più disparati ed eterogenei di un immaginario il quale, a cavallo tra il ‘700 e l’800, doveva essere alquanto fertile, come dimostrano i tanti personaggi (come il celeberrimo Frankenstein) nati in quegli anni: incontriamo così, in rapida e spesso caotica successione, spiriti malvagi e geni benigni, mostri, fantasmi e vampiri (che addirittura, come in un bignamino del fantastico, l’autore distingue pedantemente tra vampiri della Transilvania e vampiri spagnoli), e ancora eremiti, indemoniati e cabalisti, principesse, banditi, zingari e cavalieri; e anche le atmosfere oscillano tra l’orrorifico, il picaresco, il favolistico e il romantico, in un pot-pourri di generi che lascia a dir poco disorientati. I modelli di riferimento sono sicuramente le “Mille e una notte”, con tutti quei fastosi palazzi principeschi e quelle bellissime fanciulle che l’autore ama descrivere con meticolosa precisione, e con quel gusto inconfondibile per il meraviglioso e per l’esotico, e soprattutto il “Decamerone” del Boccaccio, con la sua divisione in giornate ed il ruolo assunto, all’interno di ciascuna di esse, dai racconti orali dei vari personaggi: ma, con la predilezione all’accumulo che, come si è visto, contraddistingue Potocki, qui le storie si intersecano, si sovrappongono, si stratificano, in un meccanismo a scatole cinesi che, in alcuni casi (ad esempio, il protagonista Alfonso che ascolta la storia del capo degli zingari, il quale a sua volta riporta la storia di Giulio Romati, e quest’ultimo quella della principessa di Monte Salerno) crea addirittura tre o quattro livelli successivi di narrazione.
In un romanzo la cui fama è sicuramente superiore ai suoi meriti effettivi (senza nulla togliere al suo valore di puro intrattenimento), gli aspetti che mi sembrano degni di menzione critica sono soprattutto la presenza di un sotterraneo, e forse involontario, umorismo con cui viene caratterizzato il giovane protagonista, il quale, stolidamente e fanaticamente convinto che il codice d’onore possa validamente guidare tutti i passi della sua esistenza, rimane dolorosamente meravigliato quando si accorge che anche persone moralmente inferiori a lui, come banditi e contrabbandieri, si vantano di uniformare allo stesso principio la propria vita; un’atmosfera libertina e sensuale che, pur con tutte le prudenze e le “cinture di castità” verbali suggerite dallo spirito dell’epoca, riesce ad essere estremamente audace e provocante; e infine quell’ossessività che pervade la storia e che, a dispetto delle peregrinazioni dei personaggi i quali sono perennemente in viaggio, impedisce alla stessa di evolvere, costringendola a tornare sempre sui suoi passi, in quel vero e proprio cul-de-sac narrativo che è la “venta Quemada”. Questa locanda, infestata dagli spiriti eppure, come avveniva in un analogo palazzo nell’indimenticabile film “Racconti della luna pallida di agosto” del giapponese Kenji Mizoguchi, capace di attirare con le sue irresistibili lusinghe i viaggiatori che transitano nei paraggi, è la cosa più memorabile del “Manoscritto”, anche se alla lunga rischia di intrappolare il romanzo in un vicolo senza uscita. Il fatto che esso sia rimasto incompiuto, se da una parte non ci permette di sapere come vanno a finire le avventure di Alfonso van Worden, dall’altra finisce quasi per risultare di giovamento a un’opera la quale, nonostante tutti gli sforzi dell’autore, non riesce mai ad avere una vera e propria trama, in quanto vive e trova la sua ragion d’essere quasi esclusivamente nei singoli episodi di cui è composta.