Lo straniero
Editore
Recensione Utenti
Guarda tutte le opinioni degli utentiOpinioni inserite: 28
“TUTTO SOMMATO, NON C’E’ NIENTE DI DIVERSO”
“Ho pensato che era comunque un’altra domenica passata, adesso mamma era al cimitero, avrei ripreso il mio lavoro e, tutto sommato, non c’era niente di diverso.”
In una frase un romanzo. L’alienazione dell’uomo è troppo estrema da non apparire nobile.
Perché non è l’indifferenza a guidare Meursault nel progressivo abbandonarsi ad un destino già per lui scritto, quanto un vero estraniamento esistenziale, una consapevolezza che ogni emozione umana, l’amore o l’odio, abbiano la stessa evanescente consistenza della polvere nelle strade di Algeri.
Meursault assiste al funerale della madre in un torpore allucinato da cui ogni sentimento è bandito. Egli è osservatore passivo di quel teatrino di figuranti: il guardiano dell’obitorio col malcelato desiderio di sigarette o il pensionato lacrimoso che segue a fatica il feretro del suo amore senile. In qualche modo osserva pure se’ stesso ... da fuori … come in un sogno.
Eppure in qualche modo il suo estraniamento resta nobile perché mai cede alla tentazione del giudizio. Non c’è in verità nulla da giudicare .. le cose vanno così e tanto fa .. la gente si affanna, tribola, soffre, ama o odia … Lui osserva e basta. Così alla fidanzata che gli chiede se l’avrebbe sposata, risponde con disarmante sincerità e senza volontà alcuna di ferire, che “per lui era lo stesso e che se lei voleva si poteva fare”.
Nell’episodio centrale del romanzo, Meursault uccide un arabo sul lungomare assolato in una afosa giornata estiva. Lo fa senza reale motivazione. In fondo non occorrono motivi se si vive costantemente in un vuoto emotivo pneumatico ed i fumi dell’alienazione annebbiano la vista. Al suo processo, tra ventilatori incapaci di dissipare la calura, scorrono come in un film le persone che in qualche modo hanno attraversato la sua vita. Al solito li lui osserva e in mezzo a loro osserva se stesso.
Seguirà l’inevitabile condanna. Un omicidio, tanto più se di un uomo arabo, si può certo perdonare, ma quel mostruoso distacco, quella innaturale assenza, quell’apatia dell’anima … no tutto ciò non è tollerabile e turba la coscienza dei giurati del romanzo così come di noi lettori di oggi aggrappati come siamo alla necessità di un Bene e di un Male.
Condannare chi ci mostra la vacuità delle nostre certezze diventa allora quasi forma estrema di autodifesa, ma pure tradisce la nostra debolezza faticosamente celata sotto il manto di una supposta Giustizia.
Indicazioni utili
L'indifferenza verso il mondo
Il romanzo di Camus ha come protagonista il signor Meursault, anonimo individuo residente ad Algeri e dipendente presso uno degli uffici della città. Il suo atteggiamento completamente distaccato rispetto a tutte le circostanze che lo coinvolgono, dalla morte della madre all’amore per una donna, risulta del tutto incomprensibile se non viene inquadrato nel periodo di pubblicazione del libro. Quando Camus scrive questo romanzo, infatti, imperversa in Europa la Seconda Guerra Mondiale e l’autore vuole rappresentare il distacco tra il singolo individuo e il mondo. L’atteggiamento di Meursault deriva dunque da quel particolare periodo storico che ha portato l’autore a riflettere sull’inutilità di appassionarsi alle vicende della vita, dato che l’epilogo – la morte – è scontato ed è certo per tutti. Se leggiamo il libro con la mentalità di oggi che ci porta ad intravedere un futuro e a concorrere per il raggiungimento di obiettivi, appare incomprensibile e scioccante l’atteggiamento del protagonista perfino di fronte alla condanna capitale che subirà. Se però ci caliamo nello scenario del 1942 in cui gli uomini non vedevano futuro e l’unica certezza era la morte che prima o poi sarebbe giunta, il modo di fare di Meursault non ci apparirà più così oscuro.
Top 100 Opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
Meursault
Libro letto come propedeutico al relativamente recente "Il caso Meursault" di K. Daoud, assai interessante Premio Gouncourt-Opera Prima , visto come 'risposta' di un arabo al libro di Camus, appunto.
La lettura di "Lo straniero" è stata più che una mezza sofferenza, benché si tratti di un'opera sicuramente bella a livello letterario.
Saviano, nella prefazione, ci avverte che "Camus è straniero a tutto", nella sua dimensione sociale, politica, d'identità nazionale ... Un po' come il protagonista del suo romanzo, ambientato in Algeria, dal nome inequivocabilmente francese.
Il libro non sviluppa la questione razziale, anche se questa non è implicitamente assente. Punta soprattutto all'ambito esistenziale.
Già l'incipit è lapidario : "Oggi è morta mamma. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall'ospizio; 'Madre deceduta. Funerale domani. distinti saluti' ".
La desolazione avvertita durante la lettura non è tanto dovuta alle vicende narrate, seppur tristissime, quanto all'atmosfera senza prospettive, dovuta a un carenza di interiorità, una piattezza esistenziale che colpisce quasi tutti i personaggi, una insufficienza di vita che ogni pagina emana. Il protagonista vive in una condizione di arida indifferenza, "come svuotato". Si sente sempre giudicato perché "siamo sempre un po' colpevoli" ; però afferma che "più che rimorso vero e proprio provavo una certa noia".
Conosco poco Camus per sapere se come uomo volesse troppo o troppo poco e se si ostinasse a bussare alle porte dell'infelicità.
Stando semplicemente al libro, ciò che colpisce il lettore, magari con effetti deprimenti, non deriva da espliciti rimandi filosofici nichilisti o cascami di ottocentesco pessimismo da schiavitù razionalistica. E' piuttosto come se il tarlo dell'infelicità provenisse direttamente da dentro il romanzo stesso, quasi che la fonte inquinata lasciasse il suo alone sgradevole fin sulle singole pagine.
"Ci si abitua a tutto"
"Lo straniero" di Albert Camus, datato 1942, è considerato un mostro sacro della letteratura.
Raramente non è presente nelle classifiche dei libri più belli che siano mai stati scritti.
Ed è per questo motivo che, una volta terminato il romanzo, mi sono sentito in leggera difficoltà.
Perchè per quanto sia stata un' ottima lettura, piacevole a livello puramente stilistico e suggestiva nella parte finale , non ho avuto l' impressione tangibile di avere tra le mani un grande ed indiscutibile capolavoro della letteratura mondiale.
Non sono riuscito ad entrare in sintonia con un protagonista, Meursault, tremendamente impersonale, indifferente e vuoto nei confronti di tutto quello che lo circonda. Non sono stato coinvolto, non mi ha emozionato.
Meursault non sceglie, non giudica. Subisce in maniera passiva. Anche se devo ammettere che il suo atteggiamento, totalmente scevro di filtri, menzogne e privo dell' umana e terrena necessità di apparire anche soltanto in minima parte diversi da quello che si è, è sempre straordinariamente coerente con la propria apatica interiorità.
A tratti la lettura ha rappresentato per me una vera e propria sofferenza, tanto grandi erano l' aridità, la desolazione, la fastidiosa assenza di qualsiasi prospettiva avvertita tra le righe.
Come se un' esistenza valesse l' altra, senza distinzioni. "Ci si abitua a tutto".
Poi però arriva la parte finale. La migliore del romanzo, e non a caso la più commovente e scomoda.
Quando Meursault capisce di aver distrutto un equilibrio, di aver interrotto il silenzio eccezionale che lo circondava, di aver bussato alla porta dell' infelicità.
Diventa finalmente introspettivo, si pone alcune domande, capendo troppo tardi alcune cose di sè e della vita.
Ma sarà carne da macello. Il colpevole perfetto. Non tanto per il gesto in sè, del quale è effettivamente colpevole. Ma perchè, anche se ci fossero dei dubbi, non potrebbe essere altrimenti. Non cambierebbe niente.
Una preda facile e passiva nelle fauci di una comunità della quale vengono finemente denunciate, con un linguaggio tagliente, la solitudine, la difficoltà di ascolto, di comunicazione e di comprensione tra le persone, l' estraneità del singolo individuo nella collettività.
"Lo straniero" è un testo suggestivo (in parte, ovvero nel finale) e respingente al tempo stesso. Impeccabile a livello stilistico. Ma personalmente ritengo sovrastimato il contenuto, brillante e acuto in alcuni sprazzi ma complessivamente non imperdibile.
Sicuramente una lettura da fare almeno una volta nella vita, se non altro per la notorietà del romanzo.
Forse potrebbe essere un libro che, letto in circostanze e momenti diversi della nostra esistenza, potrebbe assumere differenti sfumature, significati e valori.
Indicazioni utili
La tendre indifférence du monde
“Aujourd’hui, maman est morte. Ou peut-être hier, je ne sais pas. J’ai reçu un télégramme de l’asile : « Mère décédée. Enterrement demain. Sentiments distingués. » Cela ne veut rien dire. C’était peut-être hier.”
Uno degli incipit più celebri della letteratura del Novecento, questo con il quale prende avvio “L'étranger” del Premio Nobel Albert Camus. Pubblicato nel 1942, il romanzo è interamente ambientato in Algeria, terra natale dell'autore, la cui penna, non a caso, offre un ritratto semplice e perfetto della società coloniale francese dell'epoca nell'Africa mediterranea. Meursault, il protagonista, ne è parte, trascinando una vita anonima, stanca, povera di sentimenti ed emozioni; tutto ciò che sente è soltanto stanchezza, noia, fastidio. Nemmeno la morte della madre, ricoverata in un ospizio, riesce a scalfire la sua apatia; nemmeno l'omicidio di cui in seguito, sulla spiaggia, si rende colpevole e che finisce per segnare fatalmente la sua sorte.
Attraverso una prosa semplice e scarna, a tratti minuziosa e dal ritmo piuttosto lento, ma carica di vera potenza drammatica, Camus narra la vicenda di un piccolo impiegato di Algeri, un uomo qualunque che, senza ambizioni né passioni, sembra incarnare la più assurda rassegnazione all'indifferenza del mondo e a un destino a cui è sufficiente soltanto un istante di sole abbagliante per negare una minima possibilità di salvezza. “[...] c'était à cause du soleil”, si limita a giustificarsi maldestramente Meursault durante il processo, dove ben presto apparirà sotto accusa più per il fatto di aver seppellito l'anziana madre senza versare una lacrima che per quello di aver ucciso un uomo “par hasard”, per caso. Particolarmente intense risultano le pagine in cui la voce narrante dello stesso protagonista si perde negli infiniti rivoli dei propri pensieri, rischiarati spesso dalla luce delle stelle che filtra nella solitudine della cella, mentre i giorni, le settimane, i mesi scivolano impietosi verso un tragico, inevitabile epilogo che solo per un attimo, in occasione dell'incontro forzato con il prete, lo scuoterà dalla sua cronica apatia.
“Ainsi, avec les heures de sommeil, les souvenirs, la lecture de mon fait divers et l'alternance de la lumière et de l'ombre, le temps a passé. J'avais bien lu qu'on finissait par perdre la notion du temps en prison. Mais cela n'avait pas beaucoup de sens pour moi. Je n'avais pas compris à quel point les jours pouvaient être à la fois longs et courts. Longs à vivre sans doute, mais tellement distendus qu'ils finissaient par déborder les uns sur les autres. Ils y perdaient leur nom. Les mots hier ou demain étaient les seuls qui gardaient un sens pour moi.
Lorsqu'un jour, le gardien m'a dit que j'étais là depuis cinq mois, je l'ai cru, mais je ne l'ai pas compris. Pour moi, c'était sans cesse le même jour qui déferlait dans ma cellule et la même tâche que je poursuivais. […] Le jour finissait et c'était l'heure dont je ne veux pas parler, l'heure sans nom, où les bruits du soir montaient de tous les étages de la prison dans un cortège de silence. […] Non, il n'y avait pas d'issue et personne ne peut imaginer ce que sont les soirs dans les prisons.”
Un grandissimo romanzo dal quale, nel 1967, il regista Luchino Visconti trasse un film dall'omonimo titolo e molto fedele al testo, con un impareggiabile Marcello Mastroianni nel ruolo di Meursault ( https://www.youtube.com/watch?v=OkjGt... ). Pur nella sua drammaticità, una bellissima lettura che, a chi può, consiglio in lingua originale: il francese di Camus si rivela fin da subito molto scorrevole e per niente complicato, accessibile anche a chi ne abbia una conoscenza meramente scolastica.
Indicazioni utili
Diagnosi di una domanda
‘E se Camus avesse voluto lasciarci indifferenti alla conclusione di questo racconto?’
La domanda mi è venuta spontanea mentre mi interrogavo sulle ragioni per cui non ho trovato entusiasmante nè sorprendente la lettura de “Lo Straniero” di un maestro del filone esistenziale come Camus al punto di guadagnarsi il Nobel per la letteratura nel 1957. Un interrogativo buttato lì un po’ come battuta ha preso forza in breve tempo fino a rendersi il passe-partout per la comprensione di questo libro. Almeno per quanto mi riguarda.
In fondo per Mersault, e forse per lo stesso Camus, siamo tutti estranei. Per questo mondo. Ne deriva da questo sillogismo che nessuno è autoctono. Ma tutti sono stranieri o prigionieri, a seconda dei punti di vista. E il confine tra le due parole però è labile, evanescente e non solo perché entrambi arrecano con sé un’accezione etimologica negativa della loro parola (la desinenza infatti è la medesima), ma perché nella sua vita il nostro enigmatico protagonista sperimenta entrambe le situazioni per arrivare a dire che poco cambia se alla fine “tutti sanno che la vita non vale la pena di essere vissuta”.
Non importa se in carcere o fuori, alla fine straniero rimani. E allora dal momento che quella situazione di alienazione è impossibile da superare, è più importante riflettere non sulla vita, ma su se stessi. È più importante avere convinzioni che oggetti. È più importante essere “sicuro di tutto, sicuro della mia vita e della morte che mi aspetta” che sperare di morire in un luogo piuttosto che in un altro. E non importa se l’ingiustizia é stata decisiva nel deviare il corso normale della tua esistenza. Perchè “un giorno anche gli altri sarebbero stati condannati”. Insomma l’apatia morale ed esistenziale, nel vero senso della parola, di Mersault è proprio ciò che lo salva dalla disperazione, dalla abnegazione, dalla tristezza.
È proprio quell’essersi ritrovato senza bussola ed essersi convinto che sarebbe stato inutile costruirne una, in un mondo a cui si sente estraneo, che gli permette di poter affrontare ogni avversità con indifferenza, la quale -in quel dato momento in cui ognuno di noi avrebbe stracciato vesti, strappato capelli, usurato le corde vocali per urlare la propria estraneità ai fatti- diventa il moto interiore che lo fa apparire forte dinanzi a uno scorrere degli eventi sempre più catastrofico e drammatico. In fondo, come fa a rivendicare la propria estraneità a degli eventi successi nella sua vita quando, per lui, è la vita stessa ad essere estranea? È assurdo. E allora diventa assurda anche la nostra posizione -a me personalmente non è capitato ma ad altri, più comprensibilmente, sì- dove pretendiamo che il signor Mersault si faccia valere.
Non so come giudicare questo libro, eppure credo di aver intercettato il messaggio che vuole lasciarci. E ho provato a raccontarvelo. Ma è un messaggio davvero così originale e dirompente? E la storia è davvero così intrigante? Me lo chiedo. E ve lo chiedo. Torno alla prima domanda perché io sono rimasto indifferente alla lettura di questo libro sospeso in un limbo tra approvazione o rifiuto perché ‘qualcosa di già visto, già conosciuto’.
Se non altro ha avuto il merito di pormi ancora una volta un interrogativo che considero dirimente per darmi poi una risposta, rafforzandola, che considero decisiva: ha senso allora vivere la propria esistenza (che sia unica o sia terrena è a vostra discrezione) con questo distacco interiore così forte da poter sopportare ogni avversità, ma allo stesso tempo da non poter provare le emozioni più belle (e anche più brutte) con cui potresti venire a conoscenza? Perché in fondo potrebbe capitare anche a noi di trovarci in un buco nero in cui la via d’uscita non sembra esserci. E, sono certo, che se mi capiterà invidierò la certezza nichilista di cui Mersault si nutre per farvi fronte.
Eppure, e qui vengo alla mia risposta, sono convinto che non è giusto privarci dell’allegria sfrenata, della soddisfazione contagiosa, dell’amore multiforme. Non è neanche giusto privarci della sofferenza, del dolore e della fatica perché è grazie a queste emozioni e sentimenti che nasce il nostro miglioramento come uomo e come donna. Nasce il progresso come individui. E allora se, dopo tutto questo, ti ritrovi al buio e non puoi accendere la luce saranno quei ricordi, quelle piccole vittorie sul dolore, quei grandi riscatti sulla sofferenza e disperazione a illuminare la tua mente e il tuo luogo. E non certo l’apatia per la vita. Perché sennò è un ‘vincere’ senza gusto, è un ‘vincere’ senza guadagno.
E allora sì che è assurdo.
Indicazioni utili
- sì
- no
Top 100 Opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
il grande Sole
La cosa che più mi ha colpito di questo romanzo è la descrizione minuziosamente perfetta che l'autore fa del sole, dell'enorme globo infocato che si determina alla vita dei personaggi.
Ovunque si ha la sensazione che questo incombente astro luminoso vada a sciogliere cose e persone, con il suo calore impossibile da sopportare.
Il sole come elemento decisivo per indirizzare il corso degli eventi. Il suo calore che deforma e attanaglia la mente dei protagonisti.
Pensandoci bene, chi non ha mai provato un senso di disagio, di rabbia, di di impotenza quando all'improvviso ci si trova sotto un sole incandescente, implacabile nel periodo estivo.
Durante la lettura, notavo come l'autore provi come una specie di piacere a far coincidere gli avvenimenti principali del racconto, con i momenti più caldi della giornata, quando dovrebbe regnare la quiete tra le persone rifugiate in casa, ma che invece è la miccia per far saltare in alto tutto il baraccone di ipocrisie, perbenismo e falsa tolleranza che legano i destini della gente.
Per il resto il libro è un geniale inno all'indifferenza, al sesso fatto senza affetto e trasporto. Tutto diviene routine, tutto è inutile, ogni sforzo è vano, poichè o per mano di un assassino, o per mano del destino, o per mano del tempo a tutti è riservato il grande buio finale.
Indicazioni utili
Top 500 Opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
"Mi aprivo alla tenera indifferenza del mondo"
Un libro a tratti difficile a leggersi, forse proprio perché difficile è vedere la realtà senza veli, come Mersault sa invece fare: una realtà incomprensibile, fatale, inspiegabile, ma essere uomo forse sta proprio nel riuscire a comprendere ed interiorizzare la totale indifferenza del mondo.
Mersault è un impiegato, apatico e dalle poche parole ma, più di questo, è un uomo che sa che la vita accade e basta, senza un perché. E senza un perché un giorno, Mersault uccide un arabo e da qui avrà inizio la sua inspiegabile fine.
Un libro illuminante! Suggerisco di leggere successivamente a "Lo straniero", "La peste", sempre di Camus che sviluppa e trova una risposta alla questione sorta ne "Lo straniero"
Indicazioni utili
Top 500 Opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
O lo si ama, o lo si odia
Meursault vive la propria vita con assoluta indifferenza, abbandonandosi al flusso degli eventi: prende parte quasi forzatamente al funerale della madre (di cui non ricorda con esattezza neppure l’età), svolge le proprie mansioni lavorative con inerziale diligenza, vive quasi apaticamente la relazione con la fidanzata Marie, non prova rimorso neppure dopo aver ucciso un uomo su una spiaggia assolata; quest’ultimo episodio lo porterà, imputato di omicidio premeditato, a dover affrontare un processo in tribunale, nonché a (non) dare un senso alla propria esistenza.
L’apatia di Meursault è opportunamente sottolineata dalla penna di Camus, la cui prosa risulta volutamente piatta, quasi noiosa, almeno fino ad una ventina di pagine dalla fine del romanzo.
Il finale, appunto. Condannato alla ghigliottina, Meursault giunge alla conclusione che il modo in cui ha condotto la propria esistenza sia il più logico possibile: ogni essere umano è destinato a spegnersi nel giro di qualche decina d’anni, motivo per cui vivere intensamente, affannandosi per raggiungere qualsivoglia obiettivo sarebbe di fatto fatica sprecata.
Mi sento quasi in imbarazzo nel criticare uno scrittore dello spessore di Camus, ma questa lettura non è stata in grado di trasmettermi alcunché: mi ha lasciato -ironia della sorte- indifferente. Inoltre, l’idea stessa che tanto valga vivere nell’indifferenza, non avendo la nostra esistenza alcun senso (premessa già di per sé opinabile), è a mio parere sterile: qualora foste costretti ad affrontare un viaggio con persone diverse da quelle con cui avreste preferito affrontarlo, chiudereste aprioristicamente le porte ai bei momenti che quel viaggio potrebbe in ogni caso regalarvi, o provereste piuttosto, nonostante tutto, a vivere la miglior esperienza possibile?
Indicazioni utili
- sì
- no
L'apatia
Nella corrente esistenzialista, accanto a Sartre, Kafka e Dostoevskij, Camus è una figura decisamente di rilievo, che ha sviluppato un pensiero che merita di essere approfondito - una veloce ricerca sul web fornirà materiale sufficiente per delinearne le forme. Ogni libro va visto come un pezzo che contribuisce a delineare il punto di vista di Camus sulla vita. Lo Straniero affronta il problema dell’assurdo e di come ci si abitui a vivere senza farci caso.
Il libro è composto da due parti che sono completamente diverse come stile. Inizialmente si ha la sensazione che la stesura sia avvenuta in maniera oziosa, svogliata. Sembra che l’indifferenza che il protagonista nutre nei confronti della vita sia la stessa che lo scrittore riservi alla scrittura del libro.
Nella prima parte il protagonista vive la vita senza sottrarsi a nessuna attività ma senza alcun coinvolgimento emotivo. Non vive, lascia solo che le cose accadano. Camus lascia che Meursault descriva le sue giornate senza che commenti e senza dare al lettore la possibilità di entrare nel suo animo. Sembra quasi che si voglia indurre nel lettore, nei confronti del libro, la stessa emozione di noia che il protagonista nutre nei confronti dei fatti della vita.
Nella seconda parte tutto cambia. Inizia una presa di coscienza che aumenta gradualmente. Non si intravedono i sentimenti, ma i protagonisti iniziano ad esporre le proprie idee. Ora però Meursault viene privato della possibilità di scegliere, di decidere - anche se quando ne aveva facoltà non lo ha mai fatto - ed è costretto a vivere in base alle scelte degli altri.
In prigione prendono vita pensieri profondi che si schiantano contro le pareti umide della cella. Lui è un prigioniero perché lo è di fatto, ma soprattutto perché pensa da prigioniero e da prigioniero agisce.
Il concetto del tempo viene sfiorato in alcuni punti ed è assolutamente interessante. Ad esempio quando si è abituato al ritmo della vita in cella non esistono più settimane o mesi, ma solo l’oggi e il domani, due giorni uguali che si avvicendano. Interessante è anche la trama che realizza intrecciando il concetto di tempo e morte arrivando alla conclusione che, poiché siamo tutti destinati a morire, farlo a vent'anni o a novanta non fa alcuna differenza. Nulla sembra abbia senso per il protagonista finché non inizia a pensare alla ghigliottina. Quel macabro strumento, che sembra dia finalmente senso a tutto, appare affascinante e cinicamente risolutore. Sembra quasi si sia atteso per tutto il tempo un evento che ponesse fine a quell'avvicendarsi di giorni uguali, sovrapponibili l’un l’altro dall'alba al tramonto.