Lettera al padre
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PATER LUCIFER
Continuando con la storia dei libri del campus estivi scrivo di questo libricino molto particolare, salvato anche questo dall’incuria umana, dal clima e dai topi. Se uno vuole vederci della magia anche questo libro era destinato a me in una qualche maniera. È da una vita che dico di voler iniziare a leggere Kafka ma il beffardo destino ha deciso di farmi incominciare proprio con questo.
Sono precipitato subito nella mente di Kafka, nella sua vita e nei suoi pensieri. Scoprendo poi che lui aveva dato disposizioni di bruciare tutto, mi sembra una violazione nella sua sfera umana ma l’arte sopravvive agli artisti e se uno ha questo talento nel descrivere l’animo umano sarebbe stato un enorme delitto fare altrimenti. Kafka ci fa immedesimare nella torbida relazione che ha con il padre e ci fa diradare quella foschia che la vita ci pone davanti, facendo apparire sulla carta i pensieri che tutti hanno ma che in pochi sanno imprimere sulla pergamena. Anche lui stesso dice di quanto non bastino queste poche parole e non sa neanche lui bene come scrivere di tutti sentimenti che ha dentro e che sono stati plasmati dalle esperienze di una vita. È di certo un lascito enorme, ed è un privilegio enorme poter leggere queste parole per quanto personali esse siano. Quando la persona diventa artista tutto quello che fuoriesce da lui è dell’umanità, per quanto questo non possa piacere, è così. Se hai dentro qualcosa di speciale non puoi farlo restare occluso perché non ci riesci. Purtroppo, dopo la morte dell’artista questo viene spogliato di tutto, tipo santo e si comincia a prendergli tutto, dalle ossa, dai gioielli, dalle stoffe. Le persone sono egoiste, hanno bisogno di idoli ma hanno anche bisogno delle risposte ai loro quesiti, che qualcuno metta per iscritto i loro dolori e le loro paure esistenziali. Ed è per questo che si fa man bassa di tutto, non facendo morire quel cuore colmo di disperazione. Ovviamente ci sono mille motivi per farli, la maggior parte delle volte economici ma era per parlare del concetto. La delicatezza e la lucidità delle parole sono impressionanti e seppur con le dovute differenze date dal tempo si può vedere tutta la distruttività dell’incomunicabilità e delle barriere. Tutti siamo Kafka. Questo libricino non è solamente molto intenso ma è una rappresentazione dei costumi dell’epoca e dell’uomo che inizia ad avere questo mal di vivere, iniziando a riflettere sulla natura dell’uomo e sulle esperienze che lo hanno forgiato. Lo consiglio per la sua potenza, per le situazioni e riflessioni che chiunque si è ritrovato a fare e per l’importanza e il valore di una vita così importante.
Sicuramente avendo questo libro di Kafka sarò in grado di comprendere meglio la mente di Kafka e dei suoi romanzi quindi non ci poteva essere inizio migliore.
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La mia paura è la mia essenza
Emergono dalla lettura di queste dolorose pagine dei punti fissi, come labili stelle in un cupo cielo notturno. Per prima la paura, che fin dalle prime righe predomina in timide frasi in negativo (“Non sostengo naturalmente di essere divenuto quello che sono soltanto per la tua influenza”), contraddizioni intimorite che dominano il testo, accuse che vorrebbero colpire il bersaglio e che invece si ripiegano su se stesse in una colpa senza nome, né accusato. Di tale colpa, che pervade l’animo di un figlio che ha riposto la stima di sé nelle mani del padre, rimangono i resti nel suo fragile cuore, incapace di portare a termine ogni scopo di vita, abbagliato dall’onnipresente confronto con il padre.
Kafka delinea la figura di un uomo burbero, austero, ostile al prossimo eppure “misura di tutte le cose”, margine di paragone di ogni impresa, destinatario di ogni successo. E da questa lacerazione, nasce un animo tormentato, dominato dal timore che diviene elemento costitutivo del nostro fragile scrittore.
“La mia paura è la mia essenza, e probabilmente la parte migliore di me stesso”.
Ma questa paura è incompresa dal padre e anche quando egli ne domanda le cause, le parole si assopiscono di fronte all’innumerevole lista di motivi, di fronte al timore che impedisce di trovare giustificazione di sé stesso.
La lotta padre-figlio che viene a crearsi non è però combattuta l’uno di fronte all’altro, ma in lontani sguardi di disapprovazione, mancate parole di conforto che si annidano nel cuore del nostro scrittore.
Leggendo quest’opera, mi sono chiesta più volte fino a che punto avessi diritto di entrare nell’intimità del nostro Kafka, che poco prima di morire invitò il suo amico Max Brod a bruciare ogni suo scritto, quanto potessi permettermi di entrare nei meandri della sua fragilità. Non mi sono ancora data risposta; ciò nonostante, sono giunta alla conclusione che innumerevoli di quelle paure non erano solo di Kafka, ma di tutti noi, e il poter condividere con un libro i nostri dolori, è per il lettore sempre motivo di conforto.
C’è da dire poi, che questa lettera è sicuramente il punto d’incontro e il fondamento di molte altre sue opere: dal “Processo” alla ben nota “La metamorfosi”
Lettura caldamente consigliata come si può percepire dalle mie parole!
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Ricordo di Praga
Ho ancora il piccolo smilzo libro tra i miei ricordi di una vita.
Lo comprai durante il mio primo viaggio nella meravigliosa Praga, quando ancora era un città incantata, non devastata dal turismo di massa.
Ero giovane, con ancora degli amici, ed eravamo per i le stradine del "vicolo d'oro", un quartiere caratteristico che si arrampica ai margini del Castello della città e da cui si gode una vista senza eguali sulla romantica capitale della Repubblica Ceca.
A mio avviso è un opera minore, rispetto ai capolavori come America o il Castello e che documenta in maniera inequivocabile l'astio che queste controverso genio aveva nei confronti della figura parantela.
Egli si sentiva piccolo uomo, davanti alle vessazioni del padre. Erano altre epoche, dove l'autorità genitoriale aveva la meglio sui figli, non come ora dove un moccioso comanda in casa come fosse un dittatore.
Si sente l'oppressione dello scrittore nei confronti della figura paterna e la loro incapacità di comunicazione, il loro essere sempre vicini ma come universi distanti e destinati a mai conoscerci veramente.
Cè astio e rancore nelle parole dello scrittore, cè la disperazione classica del figlio di fronte ai propri genitori che sembrano aver dimenticato di essere stati giovani anche loro in epoche remote.
Ogni volta che mi trovo questo libro tra le mani e leggo le dediche di questi miei amici oramai inghiottiti dal tempo, mi assale una spietata malinconia per come eravamo giovani, belli e carichi di speranza. E ora mi chiedo....dove sono finiti i nostri sogni? dove è la nostra spensieratezza e soprattutto che fine ha fatto la nostra meravigliosa Praga, con le sua stradine medioevali, il suo ponte Carlo alla sera, quando ci fermavano lungo il suo parapetto e sognavamo amori lontani e impossibili. Tutto è stato ingoiato dal tempo, la nostra giovinezza è oramai un miraggio lontano, ma i sogni, quelli no, quelli sono rimasti gli stessi.
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Il Castello
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"Qualcosa che non va"
Questa breve opera non è affatto 'minore' nella produzione letteraria di Kafka, anzi penso sia il testo fondamentale per meglio comprendere tutti gli altri suoi scritti.
Si tratta di una lunga "lettera" scritta al padre, a cui però non è mai pervenuta. Venne redatta durante una vacanza termale nel 1919.
La "Lettera al padre", sia chiaro, oltre ad essere una fondamentale testimonianza, ha certamente un valore letterario in sé.
La lettura di questo scritto mi ha dato uno strumento per me fondamentale per comprendere in modo più approfondito le altre opere del grande autore, le quali rappresentano comunque situazioni ad alto livello letterario da renderle emblematiche di un cruciale periodo storico e dotate di un 'afflato cosmico' che supera gli ambiti di determinati tempi e luoghi. Questo carattere , che deriva da un destino personale per trasformarsi in estesa valenza simbolica, è tipico degli autentici grandi esiti dell'arte.
Questa Lettera, costellata di espressioni quali -umiliazione vergogna colpa oppressione debolezza "disprezzo di me stesso"- può essere considerata anche documento del vissuto dello scrittore, originato soprattutto dai difficili rapporti con la figura paterna fin dalla più tenera infanzia : "recentemente mi hai chiesto per quale motivo sostengo di avere paura di te" ; "fra di noi c'è qualcosa che non va, e (...) tu, pur senza averne colpa, ne sei la causa" ; "la sensazione di nullità che spesso mi sovrasta (...) ha origine per molti versi nella tua influenza", "tu eri troppo forte per me". "Assumevi ai miei occhi l'aspetto enigmatico che hanno tutti i tiranni, il cui diritto si fonda sulla loro persona, non sul pensiero".
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Una lettera da avvocato?
A trentasei anni cosa si può dire al proprio padre? Perché un uomo sente l’urgenza di scrivergli una lettera e al contempo di tenergliela nascosta? O perché ancora questa missiva diventa scrittura pubblica quando, decisa poi la consegna tramite la madre , lei nel delicato ruolo di paciere la rimanda al mittente?
Insomma documento privato o testo letterario?
Il dubbio della critica potrebbe divenire lo sconcerto del lettore, o meglio così è stato nel mio caso. Ho letto l’intero scritto appunto come una lettera privata, sentendomi pure privilegiata nel poter sbirciare nell’intimità dei rapporti interpersonali avvelenati da una profonda incomprensione, ho gioito e mi sono emozionata ogni qual volta il figlio ha avuto un moto di comprensione per il padre del quale ha rappresentato nel frattempo ogni umana debolezza, ogni limite, ogni sfumatura della sua incapacità di conoscenza e accettazione del proprio figliolo. Sono rimasta allibita quando, poco prima della chiusura , ha siglato la sua lettera con un artificio letterario che ,dando la parola al padre, anticipa le possibili obiezioni che lui gli avrebbe potuto muovere. L’ho trovato uno sconcertante atto di vigliaccheria. Perché non ti sei limitato Franz? Aldilà delle tue paure, delle tue insicurezze, della tua spietata analisi? Perché non sei riuscito a chiudere la lettera meglio? Salvo poi replicare ancora come un vero avvocato, così la siglasti tu stesso la missiva “una lettera da avvocato”, in poche, ultime, efficaci righe che restituiscono il senso di tutto: del vostro rapporto, della vostra reciproca diffidenza, delle vostre paure, del vostro dolore e dunque del vostro amore condizionato. Non rivelo cosa dice il complicato figliuolo ma solo che le sue ultime parole lo riabilitano completamente ai miei occhi. E bando alle ciance!Guai a chi mi parla della cattiveria del padre, non lo assolvo, non lo condanno, non sono giudice né avvocato, sono genitore e figlia e la relazione è sempre complessa, delicata, fatta esclusivamente di quei due esseri che la instaurano, a volte nel peggiore dei modi in una concomitanza di fattori disturbanti e pericolosi ma se c’è amore…
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Il vero Kafka
Oggi mi trovo a recensire questo titolo di Kafka, che innanzitutto ha creato sentimenti contrastanti dentro di me.
Cosa intendo con ciò? Beh sinceramente non lo so bene nemmeno io, per prima cosa ho provato una sorta di "odio" verso Kafka, probabilmente per la sua incapacità di farsi valere sul padre, quando a mio avviso aveva totalmente ragione. Saranno stati altri tempi, sarà stato tremendo suo padre, ma non riesco a farmi andare giù l'idea che tutto ciò sia stato affidato ad una lettera, consegnata alla madre e che non fu mai letta dal padre.
Poi vi è un altro sentimento che si è venuto a creare, ovvero un grande senso di solidarietà verso di lui, perché in molte cose è stato possibile immedesimarsi e confrontare la mia esperienza personale.
In breve questo libro è abbastanza scorrevole e piacevole, e mostra un Kafka che guardandosi allo specchio si racconta, con tutte le sue debolezze (anche qua probabilmente amplificate dall'autore stesso) e che risulta essere una persona debole, a differenza del padre che è totalmente l'opposto.
Invito tutti a leggere questo libro, come del resto tutti gli altri libri di questo e degli altri autori, perché potrebbe permettervi di immedesimarvi in essi per poi creare spunti di riflessione.
Buona lettura
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Caro Franz, oggi devi essere te stesso
"Ad ogni modo eravamo così diversi e, in questa diversità, così pericolosi l'uno per l'altro, che se si fosse cercato di prevedere come il bambino che lentamente cresceva e tu, l'uomo maturo, si sarebbero comportati l'uno nei confronti dell'altro, si sarebbe potuto supporre che tu mi avresti semplicemente calpestato, senza che di me rimanesse niente. E invece non è accaduto, la vita non si può prevedere, ma forse quel che è accaduto è anche peggio."
Con queste parole Kafka si mette a nudo, si traveste nei panni di Franz come se le sue parole riflettessero il suo conflitto interiore. Forse la sua era un'intenzione premeditata, si percepisce in queste parole, come un po' in tutta la lettera, quanto egli fosse amareggiato da questo rapporto. Lo scrittore sembra affrontare, come in una scaletta accuratamente stilata, diversi argomenti ripartiti in paragrafi macroscopici. Dapprima affronta il tema del ricordo, un tema a lui molto ostile, in quanto determinante nel suo sviluppo e nel suo colloquio con il padre. Franz, lo chiameremo così, ci parla dei suoi traumi, delle sue paure: paure che un piccolo bambino coi suoi piccoli occhi arriva ad ingigantire e conservare poi per tutta la vita. Egli sembra turbato, sembra raccontare questa storia più a se stesso che al padre, sembra ripercorrere secondo tracce diverse la sua vita e il suo inesorabile destino. Un altro tema da lui affrontato è quello della religione: con una straordinaria accuratezza arriva a raccontare del suo rapporto con l'ebraismo, dell'educazione impartitagli dal padre a proposito dell'importanza delle preghiere e dei riti tradizionali. Kafka sembra incolpare il suo destinatario di non avergli fatto conoscere a sufficienza la sua religione, di non avergli dato l'importanza che meritava. Con profonda sensibilità, si dichiara anche per quanto concerne il matrimonio e il rapporto coniugale: egli ammette di sentirsi incapace di trovare moglie, in quanto la sua fragilità e la sua debolezza non glielo permettono. In questa lettera tende a fare un ritratto di sè non indifferente: è come se una mattina il nostro Franz si fosse svegliato e avesse deciso di confessare tutto al padre a proposito di se stesso e degli altri, delle sorelle, del lavoro, della sua paura (la traduzione italiana non rende forse a sufficienza il senso di 'Furcht' tedesco, inteso come vero e proprio terrore). Leggendo quest'opera ho come avuto la sensazione di star leggendo un'auto biografia. E mi è piaciuta nello stesso modo in cui può piacere una confessione rivelatoria allo specchio. Uno scritto illuminante, si dovrebbe tutti cercare un po' più spesso di far uscire fuori il Franz che è in noi. Perché questa lettera è una lettera di vita, una lettera che, come un flashback istantaneo, riparte da zero e finisce con la vita del momento, dell'attimo stesso in cui io la sto scrivendo. Lo consiglio caldamente, forse per la sua 'cruda sincerità' o il suo stile fruibile e adatto a tutti.
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Paure Kafkiane a nudo
Non mi era mai capitato di sentirmi tanto vicina ad un autore durante la lettura della sua opera come durante la lettura di questa Lettera. Intima, combattuta, commovente... Una lettura veloce e -nonostante lo stile un poco astruso di Kafka- scorrevole.
Kafka trova il coraggio di mettere nero su bianco tutti i malintesi e i punti in sospeso tra lui e il padre, figura piena di interrogativi della sua infanzia e crescita. La paura del padre e del suo giudizio, delle critiche riguardo alle scelte di Franz: dagli studi alle donne. Il paragone con il differente tipo d'uomo in cui si è trasformato con il nipote, un padre affettuoso e giocoso come non è mai stato con il figlio.
Vengono riportati in vita ricordi e situazioni famigliari più o meno care all'autore, giochi e paure di bambino, immagini che arricchiscono e approfondiscono a tal punto la psiche di Kafka che in seguito, leggendo altre sue opere, tutto sembra dire: “Certo, con un carattere così!”. Mi è sembrato di conoscere Kafka tanto personalmente da poterlo consolare o rassicurare.
E' inevitabile entrare in empatia con l'autore, provare il suo sconvolgimento e i suoi timori, grazie alle frasi lunghe e spezzate da incertezze. Il rapporto tra Franz e il padre è una sorta di amore/odio che una frase della lettera stessa sottolinea e simboleggia al meglio: "...come in quel gioco infantile in cui uno prende la mano dell'altro, la tiene stretta e continua a dire: «Ma vattene insomma, vattene, perché non te ne vai?»." Franz teneva stretto e per quanto desiderasse che il padre se ne andasse, non credo abbia mai mollato davvero. Questa lettera ne è la prova.
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Una lettera colma di sentimento
Il libro l'ho trovato molto commuovente, in questa lettera Kafka si spoglia e si mostra per le sue insicurezze e paure. Il suo amore per il padre é fortemente contrapposto a un terrore, quasi cronico, che gli impedisce di rapportarsi con il mondo.
Ipocondriaco e pensoso, lo scrittore descrive il genitore con parole incerte, e quasi spaventato a pronunciarle, rievoca alla mente episodi del passato. La forza di Kafka sta nella sua straordinaria limpidezza espressiva e nel modo in cui si apre e lascia intravedere uno spiraglio di se: oscuro e luminoso allo stesso tempo, freddo e caldo, sentimenti confusi che tendono a essere predominati dalla valenza positiva, ma che non finiscono mai di avere però dietro di se un ombra di tenebra.
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Memorie del sottosuolo, Dostöevskij
E tutto è cenere.
"[...] invece io mi sono sempre rifugiato nella mia stanza, tra i libri, con amici esaltati, in idee stravaganti, sfuggendoti"
Così Kafka si definisce, si limita, in una lettera scritta al padre nel novembre del 1919.
Di solito quando si parla di Franz Kafka, le persone cominciano a guardarsi intorno imbarazzate cercando disperatamente di fuggire e di allontanare la conversazione. E, tra le persone colte, di solito, quando si cita Kafka, subito la mente elabora un pensiero: scarafaggio. Sì, è un po' come il gioco dei collegamenti: se io vi dico Dumas, tutti pensano a "Il Conte di Montecristo"; se dico Verga, tutti pensano a "I Malavoglia"; e se dico Kafka, tutti pensano giustamente "La Metamorfosi".
Ma Kafka non è quell'uomo dal grande talento, quell'uomo criptico, misterioso e forse anche un po' svitato. In Lettera al Padre, Kafka rivela chi essere veramente: un figlio che non riesce a riconoscere il volto del proprio padre.
"Ad ogni modo eravamo così diversi e in questa diversità così pericolosi l'uno per l'altro, che se fosse stato possibile prevedere il reciproco comportamento del bambino nella sua lenta crescita - io - e dell'uomo maturo - tu - si sarebbe dovuto dedurne che mi avresti semplicemente schiacciato senza lasciare traccia di me"
Il padre di Kafka è un uomo rigoroso, non ama che il figlio frequenti amici strani e che affoghi nelle sue idee stravaganti e di cattivo gusto, l'orgoglio e l'onore della famiglia è ciò che più conta. Peccato che il piccolo Franz voglia avvicinarsi al padre. Con il passare degli anni, il padre si fa sempre più schivo, sempre più lontano, talmente tanto lontano da riuscire solo più a riconoscerne la sagoma sfocata. Franz lo dice già subito, all'inizio della lettera: non dimostrava verso di lui sentimenti malvagi, odio o disgusto o addirittura insofferenza... ma freddezza, estraneità, ingratitudine.
"Già era sufficiente a schiacciarmi la tua sola immagine fisica. Ricordo, ad esempio, quando ci spogliavamo nella stessa cabina. Io magro, debole, sottile, tu forte, alto, imponente. Anche dentro la cabina mi facevo pena, non solo davanti a te, ma davanti al mondo intero, perché tu eri per me misura di tutte le cose".
Nonostante tutto, però, Franz continua imperterrito e in modo quasi incessante di ricordare a sé stesso e al mondo che sta cambiando attorno a lui, l'affetto che prova per quell'estraneo che si fa chiamare padre. Franz continuerà a ricordarlo a tutti, per tutta la sua vita letteraria: ci saranno citazioni ne Il Processo, in cui la figura dello zio che vuole mettere sopra a tutto [anche il benessere del proprio nipote] l'orgoglio e l'onore della famiglia ricorderà inesorabilmente quella del padre; ci saranno citazioni ne La Metamorfosi, il padre che non vuole far uscire il figlio diventato scarafaggio perché tutti si metterebbero a ridere e renderebbero ironica, quasi assurda e demenziale la vicenda.
Il bello di questo libro non è solo il modo in cui Franz Kafka si scopre delle sue vesti di scrittore criptico e strambo per certi aspetti, ma il momento in cui si scopre che dietro la maschera di Franz Kafka ci sia il volto di tutti noi. Tutti possiamo rispecchiarci in lui durante la lettura, tutti possiamo scorgere la figura di suo padre allontanarsi, diventare un estraneo.
Kafka riuscirà effettivamente a trovare il coraggio per consegnare la lettera alla madre affinché la dia al padre, ma tutto questo sarà inutile: la letterà gli verrà restituita senza che il padre l'abbia mai letta. Da questo punto in poi, quello che sentirà Kafka sarà sempre e solo un immenso senso di colpa.
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- sì
- no