Le ali della colomba
Editore
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 5
AQUILE E COLOMBE
“Poiché sono vissuta tutti questi anni come se fossi morta, morirò, senza dubbio, come se fossi viva, e allora mi capiterà di essere come tu mi vuoi. Perciò vedi” concluse “non saprai mai a che punto mi trovo. Tranne quando me ne sarò andata, e allora saprai dove non mi trovo più.”
In un bel film uscito di recente al cinema, “Killers of the flower moon” di Martin Scorsese, il giovane e ingenuo protagonista viene spinto dallo zio, un uomo rispettato dalla comunità ma ambiguo e senza scrupoli, a sposare una ragazza della tribù indiana degli Osage (diventata enormemente ricca per via dei giacimenti di petrolio scoperti sotto la terra dell’Oklahoma in cui si era pochi decenni prima insediata) con il subdolo scopo di entrare in possesso della sua ingente eredità. Fatte le debite proporzioni tra storie e contesti quanto mai diversi tra loro (un western cinico e amorale da una parte, un romanzo intriso di torbido romanticismo dall’altra), il medesimo spunto narrativo lo si trova praticamente identico, quasi fosse un archetipo, ne “Le ali della colomba” di Henry James, dove il deuteragonista Merton Densher è indotto dalla sua astuta fidanzata a corteggiare la facoltosa ereditiera americana Milly Theale, fidando sul fatto che la esiziale malattia da cui la donna è afflitta le conceda poco tempo da vivere, e quindi che il suo patrimonio possa quanto prima e legittimamente passare alla coppia. Il paragone tra le due opere è curioso, e probabilmente anche opinabile e azzardato, ma è indubbio che il libro di James si allontani fin dalle prime pagine dagli stilemi della letteratura coeva per addentrarsi nei territori oscuri, impervi e ancora tutti da esplorare (siamo agli albori del Novecento) del modernismo. Certo, trattandosi dello scrittore newyorkese naturalizzato britannico, non mancano le atmosfere sublimi e raffinate, le conversazioni delicate da salotto, l’eleganza e il bon ton dei personaggi, gli arabeschi e i velluti damascati, eppure sotto questa impeccabile e immacolata superficie covano pulsioni molto poco nobili, a tratti anzi morbose e quasi diaboliche, degne dell’interesse di uno psicanalista non meno che di un romanziere. Non è un caso che fin dalle primissime pagine del romanzo i personaggi vengano considerati, prima ancora che persone, dei “valori” da sfruttare, degli atout da monetizzare (tale è sicuramente Kate, in virtù della predilezione manifestatale dalla zia Maud, per il padre e la sorella, così come più avanti lo sarà Milly per la corte che la accoglierà a Lancaster Gate). E’ come se James ci introducesse alle regole di un gioco di strategia complesso e imprevedibile, la cui posta è decisiva e richiede calcolo e astuzia, dissimulazione e tattica. Il “gran mondo” a cui il lettore si trova ad assistere è una specie di agone economico, in cui “era tutto un prendere e un dare, con le ruote del sistema meravigliosamente oliate” e la cui morale è cinicamente sintetizzata da lord Mark quando confessa che “qui nessuno fa nulla per nulla”. Il grande, modernissimo, motivo di interesse del romanzo è che apparentemente esso è un amabile ritratto della società aristocratica dell’era vittoriana, ma dietro le quinte, in una proliferazione di pulsioni ambigue e incontrollabili, si annida un “mostro” che – con le parole dell’autore – è in grado di produrre “un’estasi esagerata o… un orrore anche più sproporzionato”. Quando Milly Theale, con la fida amica Susan, giunge in Europa dagli Stati Uniti, “una giovinetta sottile sottile, sempre pallida, delicatamente sciupata, di una anormale e graziosa angolosità, dai capelli di un rosso troppo eccezionale perfino per essere vero, e dai vestiti troppo neri anche per un lutto”, dotata di una ricchezza e di una libertà praticamente sconfinate, si capisce subito che essa è destinata a diventare la vittima predestinata di un complotto spietato, ancorché mascherato di simpatia, di benevolenza e di premurosità. Lei è la colomba del titolo, essere fragile e innocente, ma le cui ali sono anche capaci di avvolgere e proteggere coloro che ama. Contrapposti a lei ci sono le aquile (James indulge spesso in questi paragoni ornitologici, chiamando espressamente così la zia Maud), coloro che per un motivo o un altro (Kate per riuscire a sposare Merton, giovane brillante ma privo di risorse, la zia Maud per allontanare lo stesso Merton dalla nipote, lord Mark per risollevare un blasone compromesso da troppi debiti, perfino la candida Susan per rendere il più possibile felice l’amica giunta al tramonto della sua breve esistenza) tramano alle sue spalle, trasformandola nella ignara pedina di un gioco che la sovrasta. Altrettanto strumentalizzato e passivo, letteralmente gettato tra le braccia della ragazza a dispetto di tutte le sue riserve morali, è Merton Densher, al quale viene però riservato nel finale dall’autore, in un clamoroso e inatteso colpo di scena, un gesto di nobile rinuncia, di disinteressato sacrificio, che è tanto una estrema dichiarazione d’amore quanto un atto di ribellione nei confronti di una società avida e calcolatrice.
Milly Theale è un personaggio che richiama altre famose eroine jamesiane, dalla Catherine di “Washington Square” alla Daisy Miller dell’omonimo racconto. Il suo alter ego più evidente è però l’Isabel Archer di “Ritratto di signora”. Come Isabel, Milly è giovane e intelligente, ricca e libera, in viaggio nel Vecchio Mondo dopo aver lasciato la natia America (vero e proprio “topos” della narrativa di Henry James). Vi sono però delle importanti differenze che è doveroso sottolineare. Innanzitutto, Milly non è più la sola protagonista del romanzo: al suo fianco si stagliano, con pari importanza diegetica, i personaggi di Kate Croy e, soprattutto di Merton Densher, tanto è vero che l’ereditiera americana entra in scena soltanto nel libro terzo. Inoltre Milly Theale è spesso descritta solo in modo indiretto, attraverso gli occhi di coloro che le gravitano intorno, o addirittura, in un capitolo tra i più belli del libro, per mezzo di un dipinto del Bronzino, che rivela con la nostra protagonista una misteriosa, ineffabile affinità. Per quanto riguarda la malattia, che quasi sempre James aveva riservato solo a personaggi secondari (si pensi al Ralph Touchett di “Ritratto di signora”), qui ha un ruolo fondamentale, investendo direttamente la protagonista e mettendola di fronte alla straziante contraddizione tra una voglia di vivere smisurata e una quantità di tempo a disposizione fatalmente ridotta. La stessa malattia, pur essendo costantemente in primo piano, è però trattata dallo scrittore in maniera sfuggente e sibillina. Milly, orgogliosamente, si rifiuta di prenderla in considerazione, e perfino il dottor Strett non la cita mai, invitando semplicemente la ragazza a godere quanto più possibile i piaceri della vita. Tutti i personaggi la danno per scontata nei loro discorsi e nei loro rapporti con la protagonista, ma la verità è che essa non è mai conclamata, è un argomento tabù, un minaccioso convitato di pietra relegato nei meandri più nascosti della coscienza. Paradossalmente, Milly è considerata da tutti una donna condannata, senza speranza, anche se nessuno ha mai esplicitamente pronunciato un verdetto medico, e la stessa ragazza prende coscienza della propria condizione soltanto davanti al già citato dipinto del Bronzino (che gli esperti hanno identificato nel ritratto di Lucrezia Panciatichi conservato negli Uffizi di Firenze), che tanto le assomiglia (“La donna in questione, con la sua leggera scriminatura michelangiolesca, i suoi occhi d’altri tempi, le sue labbra tumide, il suo lungo collo, i suoi famosi gioielli, i rossi sbiaditi dei suoi broccati, era un grandissimo personaggio, ma non l’accompagnava la gioia. Ed era morta, morta, morta”). Questa elusività risponde sicuramente all’intento dell’autore di non rendere melodrammatica la vicenda narrata, ma è altresì funzionale allo stile dell’autore, improntato all’ambiguità e al non detto, come si può notare anche nella lettera di Milly indirizzata a Merton, che l’uomo fa leggere a Kate ma di cui rifiuta di conoscere il contenuto, preferendo che venga bruciata nel fuoco del camino (espediente che viene ripreso da Cormac McCarthy ne “Il passeggero”, a dimostrazione della modernità psicologica del romanzo di James di oltre un secolo prima).
Lo stile di Henry James è, come sempre, di mirifica perfezione, con alcune scene di raffinatissima resa pittorica (come il ricevimento a palazzo Leporelli, che rimanda ai quadri del Veronese). L’abbagliante bellezza della scrittura jamesiana non deve però far pensare che quella de “Le ali della colomba” sia una lettura semplice e comoda, tutt’altro. Già da qualche anno, James stava collaudando un modo di scrivere più ricercato, quasi sperimentale, se paragonato ai suoi romanzi degli anni ’70 e ’80 dell’Ottocento. In questo romanzo tutto ciò si esprime in una forma quanto mai matura: la trama non è infatti mai scontata, non pare affatto rigida e predeterminata (anche se la lunga e interessantissima prefazione dello scrittore fa comprendere quale complesso lavoro progettuale vi sia dietro). Ogni situazione descritta presenta sempre svariate alternative, ogni circostanza legittima costantemente diverse interpretazioni, e perfino un semplice dialogo cela in ciascuna parola un significato potenzialmente equivoco (spesso perfino un banale pronome riesce a depistare l’interlocutore, e con lui il lettore, potendosi attribuire a un personaggio piuttosto che a un altro). Tutto questo offre al testo innumerevoli potenzialità narrative, nelle quali il lettore non ha mai il salvagente di un punto di vista demiurgico e assoluto, in quanto ne sa né più né meno che i personaggi del libro che sta leggendo. Ciò gli conferisce un ruolo quanto mai attivo, anche se in alcuni momenti tale ruolo può apparire indubbiamente ingrato e scomodo da sostenere. La ricompensa a questa fatica, una volta che si sia riusciti a portare a termine questa affascinante storia romantica e sentimentale raccontata alla stregua di un vero e proprio giallo psicologico, è però una soddisfazione rara, una beatitudine ineffabile, che pochissime altre opere e pochissimi altri autori (mi vengono per primi alla mente, per limitarmi alla prima metà del Novecento, Marcel Proust, Thomas Mann e Vladimir Nabokov) sono in grado di eguagliare.
Indicazioni utili
Top 50 Opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
"Tutto è possibile"
Capolavoro della piena maturità di H. James, "Le ali della colomba" ha quella freschezza e levità evocate dal titolo. "Le colombe possiedono ali e voli meravigliosi (...). Ali siffatte in determinati casi potevano (...) aprirsi a protezione" .
Un bellissimo romanzo che si dispiega come una sinfonia ; una scrittura che scorre lenta con l'intensa leggerezza della musica.
Protagonista è la splendida Milly Theale, nome che evoca quello dell'amata cugina dello scrittore, Minny Temple, fonte d'ispirazione per questo personaggio come per Isabel di "Ritratto di signora" .
Milly è una giovane ereditiera americana in viaggio per l'Europa.
"Era sontuoso, romantico, abissale possedere (...) migliaia di dollari di rendita, possedere giovinezza e intelligenza e, se non la bellezza, almeno, in egual misura, un'intensa, oscura, affascinante ambigua originalità (che era anche meglio) e (...) godere di una libertà illimitata, la libertà del vento nel deserto" .
La ragazza, in effetti, ha la leggiadria di altre giovani figure femminili delineate altrove dall'autore. Ma qui Milly emana un fascino particolare cui nessuno pare sottrarsi. Una brezza primaverile sembra sospingerla, da farne una novecentesca botticelliana Allegoria della Primavera.
Lasciarsi cullare dall'elegante scrittura -un preludio (1902) a Proust- con la sensazione di essere al cospetto della Bellezza m'è parso un privilegio di cui essere grati.
E c'è Londra coi suoi parchi e musei.
Poi Venezia nei bagliori autunnali, fra luci e ombre, luminosità dorate e gondole nere.
Indicazioni utili
libri di H. James
"Una meravigliosa idea..."
L’ambiguità del miglior James , quello di “Giro di vite”, le mirabili descrizioni di Venezia ancor più belle di quelle contenute ne “Il carteggio Aspern”, un personaggio femminile centrale, totalizzatore come in “Ritratto di signora”, questo e altro il lettore trova in uno dei romanzi della produzione ultima dello scrittore americano. Un’ambiguità ancora più marcata anima l’esile impianto narrativo, una snervante ma enigmatica scrittura, una capacità di rappresentazione della doppiezza dell’animo umano reggono il filo della narrazione che si dilunga in numerose pagine, criptiche, a volte involute, spesso sospese e sfuggenti. Il lettore ne viene rapito come nella tela del ragno, fagocitato ma anche arricchito. Il Maestro mette in scena le situazioni, le ingarbuglia, le insegue rappresentandole e aprendole a molteplici sviluppi ed esse rimangono tali: solo situazioni. Il lettore, insieme ai personaggi, le insegue, le proietta, le amplifica ma poi esse tornano alla loro origine di puri fatti. È una lettura in fin dei conti amara, non concede nulla, se non la consapevolezza che l’uomo può tutto il male possibile e quando lo asseconda e quando lo origina.
Milly, giovane e ricca ereditiera americana, entra in relazione con Kate, giovane inglese schiacciata dalla sua misera condizione sociale. Ama Densher ma non può corrisponderlo apertamente perché ha accettato la protezione della zia Maud che progetta per lei un ricco matrimonio. Milly giunge in Inghilterra dopo aver conosciuto Densher in America e casualmente lo ritrova nelle relazioni che imbastisce nel Vecchio Continente. Gli elementi americano e inglese, accostati, giustapposti, sono un classico tema della narrativa di James che qui ripropone anche il viaggio in Italia e la rappresentazione di Venezia. La ricca ereditiera è paragonata ad una colomba le cui ali stentano a spiccare il volo in seguito al destino di malattia che la caratterizza. Una ragazza che brama la vita e ad essa cerca di rivolgersi fiduciosa, contrapposta e complementare a lei Kate che tenterà di volgere a suo vantaggio la condizione della prima. Una partita a due in “un cerchio di gonnelle” con pedina il povero Densher, e una situazione di partenza che , nonostante il susseguirsi di situazioni porterà la diabolica Kate a temere un fantasma, il suo carisma, la sua stessa ala protettrice, consapevole di aver modificato la sua essenza , quella dell’amato, quella della loro storia d’amore in peggio.
Lo consiglio a chi vuole dedicarsi ad una lettura lenta e ragionata, ma non scervellatevi troppo: il gioco lo conduce il Maestro.
Indicazioni utili
Giro di vite
Il carteggio Aspern
Il grande traghettatore, approdato al '900
Le ali della colomba è uno degli ultimi romanzi di James, scritto nel 1902, durante quella che che viene definita la major phase artistica dello scrittore americano (anche se in effetti molto europeo quanto all’essenza della sua letteratura). In questa fase lo stile di scrittura di James diviene ancora più complesso che nei romanzi precedenti, e la sua tendenza ad alternare lunghe digressioni sulla psicologia e sui sentimenti dei personaggi a brevi spezzoni di dialogo, a dilatare il tempo dell’azione si accentua sino a divenire la cifra dominante del romanzo. Sembra quasi di poter dire che tra l’altro grande romanzo da me recentemente letto, Principessa Casamassima (1886) e questo, James sia pienamente entrato nel ‘900 letterario, abbia completato la transizione tra due modelli di letteratura, abbia toccato la riva opposta, assolvendo la funzione, che si è trovato addosso, di grande traghettatore. Il tragitto non deve comunque essere stato indolore, se è vero che per ben sei lunghi anni (1890 – 1896) questo autore così prolifico non scrisse romanzi.
C’è un altro elemento tipico della prosa di James che ho trovato in questo romanzo enormemente dilatato: la forza e l’importanza del non detto. Già riflettendo su Il giro di vite, da poco letto, avevo notato come ciò che nella storia non viene detto ha più importanza di ciò che vi è esplicitato. In questo modo, nel suo celeberrimo racconto, James è riuscito a creare un clima di ambiguità e di sospetto che sovvertirà per sempre i paradigmi del racconto gotico. Ne Le ali della colomba James va più in là: non solo – nonostante le lunghe digressioni psicologiche riguardanti i personaggi – non dice mai quali siano i loro sentimenti profondi, le motivazioni ultime del loro agire, lasciando che sia il lettore a costruire, tassello dopo tassello, il complicato puzzle dell’animo dei singoli e dei rapporti veri tra loro intercorrenti, non solo accenna senza esplicitamente proporceli ad alcuni fatti e fattori la cui conoscenza ci sarebbe apparentemente utilissima per capire le motivazioni di alcune azioni dei personaggi, ma inauditamente (credo che inaudito sia il termine chiave per marchiare questo autore) omette totalmente la descrizione di due momenti chiave del romanzo: l’incontro tra Kate e Merton in cui lei gli si concede a fronte della promessa di lui di sposare Milly (perché Kate agisce così? Leggete il romanzo!) e l’ultimo incontro tra Milly e Merton, che determinerà tutto ciò che accade nell’ultima parte del romanzo.
Se nel primo caso possiamo sospettare che il silenzio di James sia dettato da una pudicizia tardo-vittoriana dovuta anche alla personale sessuofobia dell’autore, apparentemente inspiegabile è l’omissione dell’incontro Milly – Merton, che poteva essere risolto dall’autore in un semplice, per quanto drammatico, colloquio.
A mio avviso questa doppia omissione può segnalare la volontà di James di stabilire un parallelo profondo tra i due momenti: in entrambi i casi si tratta di incontri in cui la passione di uno dei due protagonisti è utilizzata dall’altro per i propri fini: non ci sono (inequivocabilmente nel primo caso, in maniera più ambigua nell’altro) due sentimenti simili che si incontrano, ma in qualche modo un personaggio si serve del sentimento dell’altro. Un’altra possibilità è che anche l’incontro con Milly sia andato ben al di là di un semplice colloquio, e che tra i due sia accaduto qualcosa di simile a quanto avvenuto in precedenza tra Kate e lo stesso Merton: da qui la necessità dell’autocensura. In ogni caso, qualunque siano state le motivazioni di James, resta il coraggio letterario di elidere gli snodi cruciali, le scene madri del romanzo.
Sono tantissime le cose che James non ci dice, e che dobbiamo immaginarci noi lettori. Ne cito alcune. Merton è davvero innamorato di Milly? Quale avvenimento ha portato alla rovina il padre di Kate? Quale è il contenuto vero della lettera di Milly a Merton? C’è una relazione sentimentale tra Milly e Susan? A seconda delle risposte che noi diamo a questi interrogativi (e a moltissimi altri che ci si presentano alla lettura) possiamo immaginare scenari diversi, variare la nostra percezione della storia, e la grandezza di James è anche quella di non darci soluzioni preconfezionate, perché credo che qualunque strada prendessimo arriveremmo sempre a ritenere i personaggi credibili e il finale inevitabile.
Questo peculiare aspetto della scrittura di James fa riflettere circa il suo rapporto con il pubblico, che come noto non fu felice: secondo me anche questo modo aperto di scrivere, questo lasciare al lettore ampi gradi di libertà interpretativa segnala quanto James volesse essere scrittore di successo: solo che ha usato le armi sbagliate: già ai suoi tempi, e tanto più oggi, chi ti fa pensare non è ben visto, chi mette alla prova le tue capacità critiche viene giudicato male. Sta qui, secondo me, la chiave di lettura dei molti giudizi rinvenibili sulle comunità di lettori che parlano di “lentezza”, “testo datato”, addirittura di “seghe mentali” per i libri del nostro. Con un pizzico di cattiveria si potrebbe dire che questi giudizi rappresentano la controprova della grandezza dell’autore.
Se James è maestro del non detto è altrettanto vero che ne Le ali della colomba di cose ce ne dice molte, sapendole cercare con accuratezza.
Innanzitutto contrappone la freschezza e la spontaneità dei due personaggi americani (Susan e soprattutto Milly) alla complessità, al formalismo, alla rigidità ed in alcuni casi alla doppiezza dei personaggi europei, segnalando implicitamente una divaricazione sociale e culturale rispetto alla quale prende decisamente posizione. Milly sarà vittima di questa differenza e la sua morte (ops!) sarà dovuta proprio all’impossibilità di continuare a volare con la sua gioia di vivere: le ali della colomba vengono tarpate da chi le si rivolge con il sorriso e l’adulazione.
A ben vedere c’è anche una denuncia precisa del potere del denaro: Milly è corteggiata perché è ricchissima: il suo denaro fa gola a Lord Mark, che le si dichiara invano e, respinto, non esita a vendicarsi, ed è anche la molla che fa scattare la macchinazione – francamente diabolica – di Kate, cui Merton si sottomette. Ancora il denaro sarà la causa dell’epilogo della storia, nel quale Merton subisce la vendetta postuma di Milly e Kate rivela sino in fondo la sua incapacità di accettare un amore che le farebbe scendere gradini nella scala sociale ed economica.
Oggi Le ali della colomba sembra reperibile solo come e-book, peraltro nella stessa traduzione da me letta, che risale agli anni ’60. Sarebbe forse ora che qualcuno si decidesse a ristampare questo bellissimo romanzo, magari con una nuova traduzione, contribuendo ad esaltare la straordinaria modernità di questo autore anche attraverso un aggiornamento della lingua usata per proporcelo (segnalo per tutti l’uso del termine “intervista” per “colloquio”).
Indicazioni utili
Ford Madox Ford
I classici inglesi dell'800
Grandi turbamenti
Ancora una volta sono rimasta stupita dalla mia ignoranza: ammetto che in tutta la mia carriera di lettrice e di studente non ho mai sentito nominare nemmeno una volta il nome di James. Mi sono sentita un pozzo di stupidità e non voglio celare che il primo pensiero rivolto all'autore e al libro è stato: "ah, se non lo hai mai sentito un motivo ci sarà...". Poi un po' alla volta, con l'aiuto delle lezioni e con una piccola ricerchina in internet, ho visto che in realtà non è James lo sconosciuto: a lui sono riconducibili opere come Daisy Miller, Gli Ambasciatori, Ritratto di Signora e Il Giro di Vite, titoli già più noti. Così per un po', mi sono data semplicemente della stupida... Mi rimaneva però il dubbio del perché avevo fatto fatica a trovare informazioni su questo romanzo. E il pensiero del "un motivo ci sarà" è tornato a galla. Scoprendo poi che il libro in Italia è andato fuori produzione (potete reperirlo solo in biblioteche o in formato e-book), ho cominciato a solidificare la mia convinzione. Aprendo il libro ho avuto conferma.
Non ho mai letto altri libri di James ma su questo ho le idee chiare. E' un libro molto difficile da leggere per la comunità di lettori del XXI secolo (o forse a me mancano le giuste basi culturali per apprezzarlo). Sta di fatto, che se non si hanno nozioni specifiche in ambito artistico (pittura rinascimentale e del '700), della lingua francese, della Rivoluzione francese e di un'indescrivibile numero di piccole altre informazioni culturali, difficilmente si apprezza lo spessore di questo libro. Nozioni che all'inizio del '900 erano del tutto conosciute, forse per noi e per me un po' meno.
Certamente non ha una trama consistente, l'ho trovata un po' banale con temi ripescati dal Romanticismo e dalla letteratura gotica: una ricca ereditiera americana, malata, alla ricerca dell'amore ma raggirata per mettere le mani sopra il suo patrimonio. Più e più volte si fa notare che non è la trama in sé che rende questo libro un capolavoro, bensì come è espressa; la maestria dovrebbe stare proprio qui. Sinceramente non apprezzo i libri pre-modernisti, in un certo senso sono ancora legati al Realismo/Naturalismo, periodo letterario che, personalmente, non ispira le mie simpatie. E purtroppo questo libro è pieno di riferimenti alla letteratura naturalista.
Nonostante abbia cominciato ad apprezzare i romanzi in lingua originale, questo è particolarmente duro da leggere in inglese: su di una stessa riga ci sono almeno venti parole misconosciute e una serie di "it" che non ti fanno capire chi sia il soggetto della frase. Dopo il primo centinaio di pagine così, mi sono catapultata sulla traduzione in formato e-book. Con la speranza che almeno in italiano iniziasse a piacermi, ho continuato a vedere il romanzo come un'accozzaglia di dialoghi su temi inutili, campati dal nulla che non portano a niente. E comunque non è che la difficoltà di comprendere il filo logico di questo enunciato cambi... Anche in italiano una fatica immane per leggere due pagine, capire chi è il soggetto di cosa, qual'è il succo di questo dialogo, dove arriveremo...
Personalmente ve lo sconsiglio, non lo leggerei pure io se non fosse strettamente necessario. E' un libro che non ti dà un attimo di pace perché ogni singolo gesto, ogni singola parola ha un peso estremo all'interno del romanzo. Amo le letture impegnative ma credo che la lettura dovrebbe essere anche piacere. Un impegno piacevole, ecco. Se si passa il tempo solamente a pensare quale dannato significato ha ogni singolo elemento, il piacere si perde e subentra solo un gran mal di testa...