La steppa
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La mia steppa
In russo "stiep".
Ho letto questo breve racconto da ragazzo e fortuna a voluto che fidanzandomi con una splendida ragazza russa, qualche anno dopo, in treno da Mosca ad Astrakan sul mar Caspio, ho potuto godermi appunto gli sconfinati, spazi immensi della steppa. Circa 30 ore di treno nel nulla assoluto o quasi, con qualche fermata per rifocillarsi in stazioni fuori dal mondo.
Una cosa che notavo guardando fuori dal finestrino, del treno in corsa era la sorprendente aderenza del racconto di Cechov con il paesaggio che mi si palesava difronte.
Campi infiniti, piatti o con in lontananza alcuni tetti scoscesi di isbe russe.
Il sole implacabile a picco su una terra riarsa e dove spesse volte sembrava di essere in un paesaggio lunare.
Il buon Cechov, ama soffermarsi sulla natura che è ovunque durante il viaggio del protagonista. Una natura muta e immutabile del tempo.
Indifferente ai drammi umani. Ecco un attinenza con quel mio viaggio è proprio questa sensazione che si prova vagando per quegli spazi immensi: ci si sente come delle formichine, degli esseri privi di qualunque possibilità di reazione o di determinazione nei confronti di una natura incontaminata e senza fine.
Il mio sguardo vagava nell'immensità delle distese aride russe e mi pareva quasi di essere il ragazzino del romanzo che all'improvviso come in sogno vede il suo destino come un granello di sabbia rispetto all'immensità del creato e del tempo.
Ogni volta che riprendo in mano questo romanzo, non posso che provare un leggero velo di malinconia a ricordare i giorni felici con la mia bella ragazza russa, che mai scorderò e che mi ha regalato la possibilità di vedere quanto possa essere grandiosa e meravigliosa Madre Natura.
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Un viaggio reale ma anche simbolico
"Ma ecco, alla fine, quando il sole incominciò a calare, la steppa, i colli e l'aria non sopportarono più l'oppressione, ed esaurita la pazienza, tormentati sino all'ultimo, tentarono di gettare via il giogo. Di là dai colli, inattesa, comparve una nuvola grigio-cenerina ricciuta. Essa scambiò occhiate colla steppa, come per dire «io sono pronta», e diventò cupa. Improvvisamente nell'aria ferma si ruppe qualche cosa, con violenza passò il vento e con rumore e fischi turbinò per la steppa. Immediatamente l'erba e la stoppia dell'anno prima si ribellarono, sulla via una nuvola di polvere s'attorcigliò a spirale, irruppe di corsa e, trascinando con sé le paglie, le cicale e le piume, come una nera colonna rotante si alzò verso il cielo e offuscò il sole." Lasciate da parte i personaggi e le loro storie per immergervi in una lettura nella quale conta soltanto l'ambientazione. Cechov ribalta quella che è la normale struttura di un romanzo in cui uomini, donne, bambini sono al centro dell'attenzione e il paesaggio è mera scenografia, mettendo quest'ultimo sul piedistallo e relegando il resto a ruoli di secondaria importanza. Protagonista indiscussa dell'opera del grande scrittore russo, come si può dedurre già dal titolo, è infatti la steppa. Un orizzonte lontanissimo racchiude un paesaggio immensamente ampio in cui lo sguardo umano si perde. La natura regna incontrastata, distese infinite di erba intervallata da piccoli arbusti e qualche raro alberello, animali di diverse specie che si affacciano di tanto in tanto, intenti a seguire il proprio istinto. All'improvviso, inaspettato, appare un piccolo specchio d'acqua, o un fiumiciattolo. Il sole picchia forte ma in un attimo il cielo può rabbuiarsi e improvvisi arrivano i tuoni a preannunciare un violento acquazzone. Oltre a descrivere in maniera affascinante un ambiente che spesso e a ragione, nell'immaginario collettivo, è legato ad immagini poco amene, l'autore fa in modo di trasformare la steppa in un vero e proprio essere vivente, in cui i vari suoni si uniscono in una sola voce, le piante si fondono in un unico corpo attraversato, come fosse il sangue che scorre nelle vene, da animali, uomini, corsi d'acqua. In questo contesto, a far da pretesto alle magnifiche descrizioni, seguiamo il viaggio del giovane Iegorusca, un ragazzino orfano di padre che la madre manda lontano da casa a studiare, con la materna, amorevole speranza di fargli avere un avvenire sereno. Lo accompagnano lo zio Ivan Ivanic, avaro mercante con la testa persa sempre e solo negli affari, e padre Cristoforo, pacifico e affabile vecchietto sempre pronto ad avere una buona parola per tutti. Durante il cammino, il giovane incontrerà personaggi di ogni risma che scateneranno in lui diverse emozioni. Mercanti, tavernieri, conducenti, vagabondi, pastori, cacciatori. Un'accozzaglia di gente che più che vivere tenta di sopravvivere agli stenti, alla fatica, alla noia, affidandosi ai ricordi e spesso trovandosi costretta ad inventarli, in un mondo ostile, arido, indifferente di cui la steppa sembra una vera e propria allegoria. Ma i sentimenti che più animano Iegorusca per tutta la durata del viaggio sono la nostalgia per la vecchia vita e la paura e l'incertezza per quella a venire, che torturano il suo animo portandolo spesso alle lacrime e segnando questo suo cammino che, oltre ad essere reale, fisico, è anche un percorso simbolico nel lungo, impervio, inesorabile viaggio che è la vita. "Quando fu sulla porta della corte, Ivan Ivanic e il padre Cristoforo, agitando l'uno il bastone curvo, l'altro il bastone da prete, svoltavano già la cantonata. Iegorusca sentì che con quelle persone per lui svaniva per sempre, come fumo, tutto ciò che finora era stata la sua vita passata; e cadde accasciato sopra un sedile e con lacrime amare salutò la nuova ignota vita che adesso incominciava per lui... Come sarà quella vita?"