La signora di Wildfell Hall
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Rosa d'inverno
Quando la giovane vedova Helen Graham si trasferisce con il suo bambino in una vecchia dimora di campagna abbandonata getta nello scompiglio la piccola comunità di Wildfell Hall. Misteriosa, riservata, poco incline a parlare di sé e a coltivare i rapporti sociali, Helen stenta a inserirsi nel nuovo ambiente, fatto di solidi coltivatori benestanti che giudicano con severità le sue stravaganze e si interrogano sul suo oscuro passato. Quando iniziano a circolare i primi pettegolezzi, la bella signora Graham ha già fatto breccia nel cuore di Gilbert Markam: dapprima indispettito dalla freddezza e dal riserbo della nuova arrivata, il giovane è infine conquistato da un’intelligenza, una forza interiore e un’intensità di sentimenti che la rendono ben diversa dalle signorine del vicinato. A lui Helen consegna il suo diario, affinchè apprenda dalle sue stesse parole la storia piena di dolore, ma anche di coraggio e di speranza, della signora di Wildfell Hall.
Pubblicato nel 1848, è solo il secondo romanzo di Anne Brontë eppure è già lontano anni luce dalla sua opera prima. Le capacità che in "Agnes Grey" erano ancora immature e bisognose di limatura qui si dispiegano in un talento puro e potente: la storia avvincente e ben costruita, la struttura “a scatole cinesi” in cui diversi narratori si incastrano uno dentro l’altro trascinando il lettore sempre più nel cuore della trama, lo stile avvolgente nella sua linearità, i dialoghi serrati e coinvolgenti, la sicurezza con cui Anne non tace gli aspetti più cupi e degradanti di un matrimonio fallito - suscitando scandalo nel mezzo dell’Ottocento - rendono quest’opera capace di competere a testa alta con i maggiori capolavori di Charlotte ed Emily Brontë.
Sugli splendidi personaggi che emergono da queste pagine, tutti ben delineati e caratterizzati – l’ingenuo e appassionato Gilbert, il seducente e libertino signor Huntingdon, la scaltra Annabella Wilmot, l’enigmatico signor Hargrave – spicca Helen Graham: all’inizio così fredda e scostante da rendersi poco simpatica anche al lettore oltre che alla piccola comunità di Wildfell Hall, infine lo conquisterà come conquista Gilbert, grazie alla forza e la tenacia di una giovane donna che ha attraversato l’inferno e ne è venuta fuori, al coraggio e alla passione con cui esprime sostiene le proprie idee, per quanto avversate dalla benpensante società vittoriana.
Chissà quante altre storie meravigliose e personaggi indimenticabili ci avrebbe regalato Anne Brontë se non fosse scomparsa nel 1849, soltanto un anno dopo la pubblicazione del suo secondo e ultimo romanzo.
“Questa rosa non profuma come un fiore estivo, ma ha resistito in condizioni che nessun altro fiore avrebbe sopportato: si è accontentata della fredda pioggia invernale per nutrirsi, e di un sole debole per scaldarsi; il vento non l’ha sciupata, né ha spezzato il suo stelo; il gelo non l’ha uccisa.”
Indicazioni utili
Embrione di suffragetta
Nei romanzi dell’Ottocento inglese speranze giovanili, sospiri romantici o trame speculative ruotano sempre intorno a quel momento fatidico in cui il tanto anelato o detestato giovane, più o meno affascinante, intelligente o virtuoso, finalmente chiede la mano dell’eroina di turno. E dopo, che succede?
Anne Brontë decide di andare oltre il giorno del coronamento del sogno d’amore ed entrare, con grande realismo, nella quotidianità del matrimonio. Quando le ingenue illusioni, coltivate a suon di sguardi e sospiri durante il corteggiamento, lasciano spazio alla realtà. Quando cade la cortina di fascino esteriore e brillante simpatia, rivelando l’egoismo, il vizio, l’autoindulgenza. E una donna finisce per ritrovarsi imprigionata in una vita coniugale infelice, di sopportazione, se non umiliazione, senza possibilità di scampo.
Davvero moderna e sorprendente, in un romanzo del 1848, la scelta di raccontare la condizione di minorità della donna nella società vittoriana, in cui la rispettabilità sociale e una certa libertà individuale potevano essere garantite solo attraverso la protezione del matrimonio. Ma la protagonista in questo caso non è solo una donna vittima delle convenzioni sociali, è anche una donna che non si rassegna, che si aggrappa con coraggio ai propri valori e alla propria forza interiore per andare avanti e combattere per una vita diversa.
Particolarmente originale, inoltre, la soluzione narrativa composta dall’innesto di un diario, in cui la protagonista dà voce alla propria condizione e alla propria sofferenza, all’interno di un romanzo epistolare in cui un giovane gentiluomo racconta di questa figura femminile, affascinante e misteriosa, con lo sguardo esterno che permea i sospetti, i pettegolezzi e i pensieri della società.
Come nel precedente lavoro, “Agnes Grey”, anche in questo caso l’elemento a mio avviso meno efficace della narrazione è la mancanza della componente emotiva. Nella protagonista osserviamo una dignità austera e inflessibile, in cui le passioni e le sofferenze sono sempre filtrate attraverso la ragione e la religione, perdendo forse un po’ di quell’umanità che avrebbe maggiormente coinvolto il lettore. Ciononostante, non posso fare a meno di riconoscere la straordinaria capacità dimostrata dall’autrice nel descrivere, con occhio impietoso e a tratti crudo, i vincoli che imprigionano la donna, i vizi e la pigrizia di certi uomini, le maliziose e pettegole trame di una società corrotta, ricordandoci però allo stesso tempo che, oltre a tutto questo, vi sono le scelte individuali con cui ognuno, anche una donna, può diventare artefice del proprio destino.