La signora Dalloway
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What is this terror? what is this ecstasy?
Vergognosa ammissione: è il mio primo libro, la mia prima Virginia Woolf. Mi è piaciuto, l’ho trovato un piccolo gioiello della letteratura . Un concentrato di pensieri, di flussi di coscienza quasi ininterrotti, scanditi dagli orologi e...dall’orologio per eccellenza, il Big Ben. Il concentrato di una sola giornata di metà giugno.
Scorrevolissima e piacevole la lettura, soprattutto quando ci si abitua allo stile narrativo. Splendida l’apertura, luminosa, vitale proprio come la protagonista, la signora Clarissa Dalloway, che proprio per festeggiare la vita, ha organizzato un ricevimento a casa sua, cui ha invitato la crème della società londinese.
Eccola: è una creatura vivace ed energica, nonostante abbia superato i cinquant’anni, che si affretta per le strade di Londra a comprare i fiori per la serata. È mattina, la frizzante aria le ricorda quando viveva a Bourton e spalancava le persiane, salutando il nuovo giorno. Dalla prima pagina partono subito i ricordi e i flashback: i corteggiamenti del fidanzato, Peter Walsh che l’accusava di essere rigida e fredda, i loro litigi e la partenza di lui per l’India, dove avrebbe trovato un’esotica amante, mentre Clarissa avrebbe sposato il più pacato, ma soprattutto ricco, Richard Dalloway.
Ci troviamo immersi nel traffico di una Londra del primo Novecento, reale, concreta con le sue strade, tutte rigorosamente nominate (Bond Street, St.James Street, Piccadilly e Trafalgar Square, etc.) e la voce narrante, onnisciente ed esterna alla storia ci fa imbattere nel secondo personaggio del libro, il deuteragonista, il doppio di Clarissa Dalloway, il giovane reduce di guerra, Septimus Warren Smith (e già il nome Warren, ricorda ‘war’, la guerra), che non si è ancora ripreso dallo shock di aver visto morire il suo commilitone. Si alterneranno i flussi di coscienza di Clarissa (io cui nome richiama già la luminosità, la luce) a quelli dell’inaspettato Peter Walsh tornata dall’India, a quelli di tutti gli altri personaggi, anche secondari. Sono i flussi di coscienza a delineare le azioni e la trama.
Interessante il contrasto Clarissa/Septimus, l’una rappresenta la voglia di vivere, la luminosità, l’apertura, l’altro il suicidio/le tenebre/la chiusura verso “la natura umana”, che sotto le spoglie di psichiatri e medici vogliono tormentarlo, secondo lui, e allontanarlo dalla moglie Lucrezia, di origini italiane.
L’una troppo rigida, forse vuota, l’altro troppo folle, avranno una terribile illuminazione, terrore o estasi?di più non dirò.
Il Tempo , la Memoria, i Ricordi involontari sono le tematiche ricorrenti di tutto il breve romanzo, che, non a caso, aveva come titolo originario “Le ore”. I rintocchi del Big Ben, a seguire altri orologi invadono letteralmente il salotto di Clarissa interrompendo il suo flusso di pensieri e talvolta sovrastano le conversazioni . Un tempo molto elastico, ora dilatato, ora sospeso, come nella scena dell’incidente di un reale inglese al centro di Londra, ora veloce. In Clarissa Dalloway la scrittrice infonde i suoi pensieri e le sue meditazioni sulla morte, sull’amore , sulla religione.
“Amore e religione! pensò Clarissa (...) che cose odiose, odiose!(..)Le cose più crudeli del mondo, e le vide, sì l’amore e la religione, due figure goffe, invasate e prepotenti, ipocrite, furtive, gelose, infinitamente crudeli e senza scrupoli (...). Aveva mai cercato di convertire qualcuno, lei? Non voleva al contrario che ognuno restasse se stesso? (...) Anche l’amore distrugge. Tutto ciò che era bello, tutto ciò che era vero, finiva”.
Da una prima lettura, la signora Dalloway può apparire, come appare in effetti a molte persone nella storia, vuota, falsa, poco profonda. Confesso di averla trovata poco simpatica, troppo leggera. Ma nel finale...
Vi consiglio l’edizione Feltrinelli per la cura del testo e l’interessante prefazione di Nadia Fusini che ripercorre la formazione del romanzo atttaverso le pagine del diario della Woolf.
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Luce e ombra
Sembra ci sia un sottile, accurato gioco col tempo alla base di questo romanzo ormai quasi centenario: un intenso presente che si volta abbondantemente al passato, seppur proteso in modo dirompente (e inevitabile) verso il futuro. Clarissa Dalloway, al centro di una storia che si sviluppa nel corso di un'unica lunghissima giornata, ma anche di una vita intera, è la protagonista da cui prende il titolo l'opera; tuttavia, attorno a lei gravitano tanti altri personaggi, ognuno con la propria personale vicenda, che “invadono” gran parte della scena.
Queste pagine, ben presto, si rivelano dense di un flusso di coscienza incessante che travolge senza tregua il lettore attraverso pensieri, sentimenti, emozioni quasi trasmessi da una figura all'altra, mentre la solarità e la leggerezza di Mrs. Dalloway finiscono per contrapporsi alla tenebrosa gravità di Septimus Warren Smith, il quale, già nel nome, dà l'impressione di trascinare con sé gli echi mai spenti del primo conflitto mondiale che stridono con l'ordinaria e frenetica quotidianità delle strade londinesi. Personaggio visibilmente tormentato, egli deciderà di porre fine alla propria esistenza schiacciata dal peso dei ricordi degli orrori bellici, passo fatale che, nonostante la diversa modalità, avrebbe compiuto la stessa scrittrice poco meno di vent'anni dopo.
Purtroppo, non sono riuscita ad apprezzare fino in fondo questo romanzo, eppure era da tempo che desideravo leggere di nuovo qualcosa di Virginia Woolf, di cui in passato mi erano piaciute altre due opere (“Orlando” e “Una stanza tutta per sé”). Non me ne vogliano gli entusiasti lettori de “La signora Dalloway”, so che il libro in questione viene da molti considerato un capolavoro: in generale, ho trovato la lettura pesante e fatto fatica, a momenti, a portarla avanti; inoltre, con tutti quei ricordi e pensieri che si affastellano il testo rischia di creare un po' di confusione. Sicuramente, si tratta di un mio limite. Fra tutti, e più che la protagonista femminile, chi cattura maggiormente l'attenzione è in definitiva proprio Septimus, “quel relitto disperso ai confini del mondo, quel reietto, che volgeva lo sguardo lontano dalle regioni abitate, e giaceva, come un marinaio annegato, sulla riva del mondo”: luce e ombra che procedono in parallelo, per poi incontrarsi d'improvviso sul finire di quell'intensa giornata.
Mi riservo, comunque, di leggere in futuro altri titoli della Woolf. Eventuali suggerimenti sono ben accetti, grazie!
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IL TEMPO RITROVATO DI MRS. DALLOWAY
"Era incredibile che ci fosse la morte! – che deve finire; che nessuno al mondo saprà quanto lei avesse amato ogni cosa; quanto, ogni momento."
Tre sono i numi tutelari di Virginia Woolf: James Joyce, Thomas S. Eliot e Marcel Proust. Al primo rimanda il modo (usato ne “La signora Dalloway” con la tecnica simil-cinematografica del piano-sequenza) con cui la scrittrice interseca le traiettorie dei vari personaggi (dai protagonisti principali – Clarissa Dalloway, Septimus Warren Smith, Peter Walsh – fino a quelli che restano ai margini della storia – la signorina Kilman, lady Bruton, ecc.), seguendo senza alcuno stacco percepibile ora l’uno ora l’altro, in un tempo che oscilla tra l’oggettivo e implacabile scorrere delle ore (il titolo originale del romanzo doveva essere proprio “The hours”) e il soggettivo e frastagliato stream of consciousness; e rimanda altresì la scelta di far svolgere la vicenda nell’arco di una sola giornata, in una estrema concentrazione spazio-temporale. All’autore de “La terra desolata” la accomuna invece la capacità di conferire a momenti banali e insignificanti una valenza quasi cosmica e di trasfigurare in chiave mitica i personaggi secondari incontrati casualmente dai protagonisti nel loro deambulare (la bambinaia che diventa una visione notturna che appare a un viaggiatore in un bosco, la mendicante che assurge ad archetipo di una donna antica di milioni di anni, ecc.).
Il riferimento più importante è comunque quello di Proust, se non altro perché “La signora Dalloway” è prima di ogni altra cosa un romanzo sul tempo, declinato nelle sue coordinate di presente, passato e futuro che coesistono e si sovrappongono a vicenda. E’ a causa di questa continua commistione temporale (il “qui e ora” che si alterna senza soluzione di continuità ai flash back) che nel romanzo è sempre presente un sentimento ambivalente, ossimorico, percepibile fin dall’inizio, in una delle prime espressioni di Clarissa (“Che gioia! Che terrore!”). Sulle impressioni di apertura alla vita, di disponibilità al futuro e a ciò che esso è in grado di riservarci aleggia infatti la presenza della morte, del lutto. Clarissa percepisce la caducità delle cose e trova profondamente ingiusto che il suo mondo interiore debba scomparire senza che nessuno abbia la possibilità di conoscerlo; ma Clarissa – se così si può dire – sa elaborare il lutto, perfino il suicidio di Septimus di cui lei – grazie a un profondo senso di compassione – si sente oscuramente responsabile. Il fatto è che lei – donna tutta sensibilità – vive dell’attimo presente, ma è altresì conscia che la bellezza del momento potrà essere tale solo retrospettivamente, guardando indietro nel passato. E’ per questo che il ricevimento di Clarissa (vero centro focale del libro), pur essendo riuscito al di là di ogni più ottimistica aspettativa, provoca nella protagonista una delusione, come di qualcosa che non abbia potuto realizzarsi: il motivo è che il presente è sempre deludente, in quanto le sue risonanze intime potranno prodursi solo in un tempo successivo, quando lo sguardo della memoria potrà posarsi su quel giorno e scoprirvi con nostalgia la bellezza in esso nascosta e allora – mentre era vissuto – incapace di essere espresso. E’ questo il senso dell’apparizione inattesa di Peter Walsh e di Sally Seton, i vecchi amici di gioventù persi per strada col passare degli anni: essi sembrano venuti apposta lì alla festa – resuscitati dal passato di Bourton – per sancire la supremazia del passato sul presente, o meglio la necessità del tempo per poter comprendere il presente (che non è più presente ma, appunto, ormai passato). Questa doverosa accettazione e sublimazione del passato che contraddistingue Clarissa la distingue nettamente da Septimus, suo doppio negativo, il quale invece dal passato è annientato; ed è distrutto non tanto dalla guerra in sé, bensì dalla sua scoperta – contraria a quella di Clarissa – di non essere più capace di sentire qualcosa. La vera morte è quindi l’insensibilità, mentre la sopravvivenza è garantita dalla certezza che “quello che si sente è l’unica cosa che valeva la pena di dire”, mentre “l’intelligenza [l’erudizione shakespeariana di Septimus] era una sciocchezza”, e quello che si sente è tanto più importante in quanto arricchito dagli echi e dai riverberi del proprio passato riconciliato. Come per Proust, anche in questo caso si può ben parlare di “tempo ritrovato”.
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....Perché, ecco , lei era la’....
….” Perché ecco, lei era la’ “…
In una giornata di giugno del 1923 Clarissa Dalloway esce di casa, come sempre, ma per lei non è una giornata qualunque. Sta organizzando una festa, la sua festa, la sera stessa, con tanti invitati illustri.
E’ una donna graziosa, lieve e vivace, amante della vita, di Londra e di quel momento di giugno, una perfetta padrona di casa con un unico dono, quello di conoscere le persone quasi per istinto, non agendo mai semplicemente, ma sempre e soltanto per dare agli altri una precisa impressione.
Ecco un primo dilemma ed una ineccepibile verità, la sua profondità e diversità, rincorre il pensiero di ricominciare da capo, di essere invisibile, di passare inosservata, in quella … “ rigogliosa boscaglia “… che è la sua anima insieme a quel mostro bruto che subito dopo la sua malattia ha il potere di farsi dolore fisico e sabotare le gioie dell’ amicizia e la soddisfazione del benessere materiale, il semplice sentirsi amata ed abbellire la propria casa.
C’’ è una precisa immagine di se’, una donna di 52 anni, invecchiata ma non ancora vecchia, dall’ incarnato roseo, c’è la percezione che gli altri hanno di lei, dai più considerata un punto fermo, una donna che spesso ha dato conforto ad anime solitarie ed a qualche vita oscura.
C’ è una società invitata alla sua festa che vive di apparenza e consuetudine e che segue un’ onda del tutto personale e superficiale, considerandola puerile, snob, una donna ne’ seria ne’ buona, una fiera di vanità e di inganni.
C’è un flusso di coscienza, che fruga tra le proprie reminiscenze, un presente dal quale estraniarsi per tornare ad un tempo lontano, quando la propria vita è stata indirizzata verso la sicurezza coniugale del matrimonio con Richard rifiutando le lusinghe dell’ inconsistenza innamorata di Peter.
C’è un mondo insondabile, intimo, celato, persino a coloro che la conoscono e la amano più profondamente, ed un poco anche a se stessa.
Ogni giudizio si mostra mendace perché lei è semplicemente una amante della vita e riunisce le persone, come una offerta, possedendo quel dono.
In un presente di fatti ( l’ organizzazione della festa ) ed in un passato di reminiscenze, il proprio sentire si accosta a chi neppure sfiora ( fisicamente ), un reduce colpito dal trauma della guerra ( Septimus ) in una sofferenza e comunanza condivisa e tollerata, persino nell’ apparente atrocità di un gesto disperato ma comprensibile ( il proprio suicidio).
La festa ha inizio, e Clarissa, come sempre, in quel preciso istante, è una perfetta padrona di casa, stringe mani, dispensa sorrisi, tutto è stato fatto e costruito per quella serata.
Possiede un dono straordinario, del tutto femminile, il crearsi un mondo suo particolare ovunque si trovi. Entra in una stanza, …” si ferma sulla soglia della porta, circondata da tanta gente, ed è sempre lei a colpire; non è una donna fatale, nemmeno bella, senza nulla di originale, ne’ dice nulla di particolarmente intelligente. Eppure e la’’; ecco, e’ la “….
C’ è in lei … “ un soffio di tenerezza, una inesprimibile dignità, una squisita cordialità”… : come se, giunta sul limitare delle cose, ella …” si congedasse dal mondo intero, augurandogli ogni bene ”….
In una vita in cui ha ordito intrighi, rubacchiato, non è mai stata un carattere puro ed ha desiderato il successo, l’ amicizia ed infinite altre cose, per quanto pare incredibile
…” mai s’ era sentita tanto felice, nulla era abbastanza lento, nulla durava abbastanza a lungo. Ritrovare alla fine la vita al levar del sole, al declinare del giorno o, dopo essersi perduta per i meandri della vita ”…
Un romanzo colmo di voci, e di intimità, un flusso ininterrotto spazio-temporale che origina dalla essenzialità della trama per guidarci in universi paralleli, intrecci possibili, ipotesi e verità inoppugnabili, che possiede già respiro poetico, soavità e vicinanza al successivo capolavoro “ Gita al faro ”.
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Nella porzione istantanea di vita
La signora Dalloway è uscita presto stamattina e ha portato con sé tutta la sua vita: una cinquantina d’anni. C’è con lei al risveglio il paesaggio della giovinezza e con esso si accompagna il ricordo di Peter: non erano fatti l’uno per l’altra.
La signora Dalloway fra le strade di Londra incrocia altre esistenze, esse in realtà già la circondano benché lei non le percepisca. Lei è partecipe solo della sua interiorità: un suono, un gesto, un innocuo elemento visivo riescono a innescare il ricordo. Il presente, il suo affaccendarsi per la buona riuscita del ricevimento in programma per la sera, non sono un diversivo sufficiente.
Peter torna ed è sua la scena, in un gioco di scatole cinesi scopriamo ora i suoi pensieri, sempre con la tecnica del flusso di coscienza. Seguono poi altri personaggi e con essi emerge la rappresentazione sociologica della vita londinese, delle sue classi sociali, della differenza tra i primi e gli ultimi. Ai margini spicca la figura di Septimus, è un reduce della prima guerra mondiale ma soffre di importanti turbe ed è sposato con Lucrezia che tenta di avviarlo alla terapia psicologica. Si apre un’altra scatolina e si entra nella porzione istantanea di vita di un altro personaggio e nei suoi pensieri. Entriamo via via nel mondo interiore di vari personaggi che assurgono, momentaneamente al ruolo di protagonista. Tutti poi convergono, dopo pagine magistrali che restituiscono il pensiero distorto, malato, allucinato di Septimus e con lui stiamo fino al gesto estremo la cui eco si insinua nella festa di casa Dalloway. Clarissa ne è raggiunta, colpita, disturbata, eppure quel suicidio non è tanto alieno dal suo sentire, dal suo essere. È un elemento disturbante, è presente, giace sepolto tra gli starti di esteriorità, di vivacità, di apparenza, è elemento da convertire per non essere travolta. È il sentire della vita: la giovinezza trascorsa e oggi ritrovata, fra i tanti estranei, nei suoi intimi amici Sally e Peter, è la sua maturità, è la sua accettazione dell’avvio alla vecchiaia. È una profonda inquietudine. La signora Dalloway congeda gli ospiti, suggella la sua vita, sprigiona ancora un fascino irresistibile.
Propedeutico al capolavoro “Gita al faro”, vive di un impressionismo lirico capace di sopperire ad un’assenza reale di eventi, ma in fondo cos'è la trama senza l’ordito?
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La strada di Swann
Il vuoto dell'esistenza
La donna entra nella piccola camera. Nell'odore ancora denso di tabacco gli schiamazzi e le risate della festa si dissolvono in una eco lontana. La notizia di quel suicidio, nella sua sconcertante e ordinaria banalità, l'ha colpita. Il perché di una tale azione ferma per un istante il suo vorticoso andare di feste e ricevimenti. La sacerdotessa della mondanità si ferma e guarda fuori dalla finestra. Come mai non ha mai scambiato una parola con l'anziana signora della casa di fronte?
Ecco. Per la prima volta tutta la sua vita assume un senso. Gli errori, le stupidaggini, le rinunce, i rimorsi di 53 anni di esistenza si fanno sentire tutti insieme non come un macigno ma con una chiarezza allucinante. Hanno finalmente un senso. Il suo incessante e frenetico movimento non diviene altro che un brancolare nella fitta nebbia di Westminster fino agli ultimi rintocchi del Big Ben. I minuti, le ore, i giorni scorrono come sabbia tra le dita ma noi continuiamo a rimandare, a illuderci di essere padroni di chi in realtà ci domina. Perché abbiamo paura del nostro destino? Perché disprezziamo quella che resta l'unica nostra certezza? Non siamo altro che polvere e ombra che danza fino all'abbraccio della morte. Quel suicidio non è un atto di follia ma è estremo atto di coraggio e di abnegazione verso i flutti del tempo. Forte di questa verità, forte di questa riconquistata fiducia, la donna si alza e torna alla sua festa. Così Clarissa Dalloway tornò alla sua vita di tutti i giorni.
“La signora Dalloway disse che i fiori li avrebbe comprati lei”. Con questa semplice frase si apre una delle più lunghe ed affascinanti giornate della letteratura mondiale: il 13 giugno 1923. Armata di cappotto, alle 10 la rispettabilissima Mrs Dalloway lascia l'elegante dimora a Westminster per recarsi al fioraio di Bond Street. Un cielo terso velato da una tremola foschia accompagna questa conosciuta dama dell'alta società londinese che ha donato tutta se stessa nella scalata dello status sociale.
Mentre i passi avanzano per lo scivoloso marciapiede, tempo e spazio cominciano a confondersi, a dilatarsi nei sentieri tortuosi della memoria in cui riaffiorano le trame dei ricordi, delle amicizie di gioventù, delle esitazioni e dei sacrifici che l'hanno portata a essere una donna agiata e terribilmente sola. Così mentre il pensiero si invola lontano, la cara Mrs Dalloway non si accorge dei tanti volti che le passano accanto. Storie di successo, di povertà, di dolore, di mediocrità la sfiorano e tra di esse emerge quella di Septimus Warren Smith, giovane poeta reduce dalla Grande guerra affetto da allucinazioni da “schell shock” (trauma da esplosione). Due individui apparentemente inconciliabili ma incredibilmente affini: entrambi soli, entrambi dotati della capacità di comprendere la realtà dietro il fenomeno...
Da una trama evanescente che procede per intermittenze Virginia Woolf ha creato un'opera estremamente complessa, dai svariati piani di lettura.
Autobiografico: l'amata casa al mare di Clarissa a Bourton è l'amata casa al mare di Virginia in Cornovaglia e il male di vivere di Septimus è il male di vivere di Virginia.
Filosofico-esistenziale: La signora Dalloway è un romanzo sull'ambiguità di spazio e tempo, è una riflessione sull'irrealtà del reale che, nella sua irrequietezza, travolge l'uomo nella tempesta dei fenomeni e lo annega nella frenetiche onde della gioia e della sofferenza.
Storico-sociale: Virginia Woolf demolisce pezzo per pezzo la società inglese del primo dopoguerra, una waste land attraversata da ipocrisie e crudeltà.
Stilistico: l'autrice dà vita ad un'opera lirica, malinconica da leggere con le lenti dell'emozione e del sentimento, non della razionalità. Bisogna lasciarsi andare allo scorrere morbido e delicato di ricordi,immagini e allegorie e al susseguirsi dei preziosi cammei che rendono la narrazione unica. Il flusso di coscienza diviene il polo catalizzatore di un caleidoscopio di vite, intrecciate da fili sottili, impercettibili come le volute di un aereo o il correre di una bambina a Regent's Park. Buona lettura!
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Altri tempi, altra scrittura
Respiri aria d'altri tempi leggendo le pagine di questo classico. Emergono in maniera preponderante le descrizioni di paesaggi e le analisi di sentimenti e si crea un'atmosfera tutta particolare, rilassante, conciliante. Forse un pò troppo, perchè alla fine ti colpisce solo lo stile, ricercato, ricco, ma perdi le fila della storia, che ti porta ad annoiarti decisamente un pò troppo. E se i caratteri umani e le manchevolezze dell'anima sono il centro di questi ritratti, non sono così sicura che il personaggio che dà il titolo al libro sia, alla fine della lettura, quello che effettivamente ti rimane più impresso. Caratteristica la scelta di portare sia la protagonista che i personaggi secondari, a turno, in primo piano oppure sullo sfondo e la scelta di utilizzare la tecnica del monologo interiore.
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TRA LE CAMPANE DEL BIG BEN
Leggendo questo romanzo ho avuto la gradita occasione di trascorrere un’intera giornata con una piacevolissima Signora Clarissa Dalloway , tutta presa ad organizzare una grandiosa festa che avverrà in serata e accoglierà l’alta società londinese.
In un unico giorno Mrs. Dalloway vede intrecciarsi nella sua vita le esistenze di tanti altri personaggi, conosceremo così Peter Walsh, (ex) spasimante durante il periodo della gioventù, che ritorna a Londra dopo un lungo viaggio in India; Sally un’amica d’infanzia della protagonista; Mr. Dalloway marito amabile e devoto al proprio lavoro e alla propria famiglia, Elisabeth, figlia di Mrs. e Mr. Dolloway, una giovane donna che proprio come un fiore sta sbocciando, Semptimus Warren Smith, reduce di guerra, che incrocerà solo lo sguardo di Clarissa per le strade di Londra, ma anche lui per via indiretta parteciperà questo evento.
Clarissa Dalloway, vera e unica protagonista di questo romanzo, è una donna sulla cinquantina che avverte dolorosamente il passare del tempo e della vita, lo scorrere degli anni sembra, ma solo superficialmente, averle appesantito lo spirito e il corpo, ma l’incontro con tutte queste persone le permette di riflettere sulla fugacità della vita e grazie a questo acquisisce la consapevolezza di quanto sia necessario apprezzarne appieno ogni attimo. Le festa dunque dovrà essere sì l’esaltazione di se stessa ma, circondata dai suoi cari, sarà soprattutto un omaggio all’esaltazione della vita.
Il ritmo di questo romanzo, gradevolmente scandito dai rintocchi del Big Ben, è serrato e non permette distrazioni, attraverso i suoi personaggi sembra che l’autrice ci riveli i suoi pensieri e le sue riflessioni nell’attimo stesso in cui li genera, ed è proprio questa immediatezza e questa originalità che me la rende cara e unica. Grazie alla narrazione arguta e sensibile di una grandissima Virginia Woolf la disperazione e le visioni allucinatorie di Septimus Warren Smith sono profondamente vere, la fragilità (prima) e la forza (poi) di Mrs. Dalloway la rendono un personaggio vivo e reale, nel suo vestito verde (…chissà perché nella mia immaginazione è un bel verde smeraldo!?!) Mrs. Dalloway ci appare bellissima, ma non perché rispecchia i canoni estetici del periodo bensì per quella bellezza che trova la sua origine nel fascino di chi è pieno di vita.
Una volta entrati nel turbinio degli eventi e dei pensieri dei personaggi che compongono questo romanzo è facile accompagnarli fino alla fine per riconoscere di possedere il dono di esistere.
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La solitudine dei tempi moderni
Segue l'unità di tempo e luogo aristotelica essendo ambientato a Londra in un mercoledì di giugno del 1923 ma è uno dei romanzi più rappresentativi del modernismo e del cosiddetto "flusso di coscienza".Due i protagonisti diametralmente diversi l'uno dall'altro: da una parte la signora Dalloway, alto borghese annoiata e di mezz'età alle prese con i suoi ricordi e i rimpianti e dall'altra Septimus Smith incontrato dalla signora in un negozio di fiori insieme a sua moglie, reduce di guerra con disturbi psichici. Le vite dei due si incrociano e si intersecano mentre i loro pensieri vengono sviscerati con la tecnica del monologo interiore adottata anche da Joyce, altro grande autore modernista. La Woolf definisce la metodologia di riportare alla luce i pensieri dei suoi personaggi ( metodo tra l'altro direttamente ascrivibile alla psicanalisi e di conseguenza al pensiero freudiano) "moments of being" cioè momenti di essenza, tecnica che si ritrova anche nel francese Proust o nell'italiano Svevo.
Primo grande capolavoro della scrittrice, il romanzo contiene molti simboli e allegorie a comiciare dal cognome del protagonista maschile, Smith che simboleggia l'uomo comune trattandosi probabilmente del cognome più diffuso di lingua inglese.La di lui consorte si chiama Lucrezia ed è italiana.Il nome della donna richiama il Rinascimento,periodo in cui le arti e la poesia ( tanto amate da Smith) maggiormente si diffusero. L'affetto soffocato e ambiguo che la signora Dalloway nutre per l'amica Sally, che pure non vede da tempo è invece di chiara matrice autobiografica e potrebbe accennare alla relazione esistente tra la scrittrice e Vita Sackville West. A tratti forse un po' ridondante e noioso, è sicuramente consigliabile una sua lettura in lingua originale poiché a parte qualche difficoltà dovuta a termini poco noti o desueti, lo stile autentico della scrittrice inglese è scorrevole e di facile comprensione anche per chi ha una conoscenza media dell'inglese.
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Mrs. Dalloway
Ho trovato parecchio difficile la lettura di questo libro.
Ritengo che prima di leggerlo andrebbe studiata l'analisi e tutta la simbologia che lo caratterizza altrimenti la lettura risulterebbe inutile e anche superficiale.
La trama è piuttosto povera, una donna di nome Clarissa esce di casa per comprare dei fiori. Fin qui tutto tranquillo, ma la tranquillità e la banalità apparente cela un mondo estremamente complesso, un mondo che necessita di essere giudicato e compreso. Il mondo di questa donna che offre una facciata impeccabile, un'ottima figura dell'alta società britannica, una perfetta padrona di casa moglie e organizzatrice di eventi. Eppure lei non è così. La sua serenità è solo il coperchio di tutta una serie di sentimenti e ricordi che la bombardano, continuamente. Dentro di lei vi è l'insicurezza, il rimpianto, la nostalgia pungente. L'altro personaggio è un folle, un reduce di guerra. Un outsider. Egli incarna tutta l'angoscia dell'uomo moderno intaccato dalla guerra. Allucinato, pazzo eppure sensibile, attento. Un uomo che nessuno comprende, neppure quei facoltosi medici, che sputano sentenze inconsistenti e del tutto inutili. Fanno da sfondo e non solo una grandissima varietà di personaggi interessanti che con i loro pensieri e le loro azioni porteranno avanti il romanzo. Il libro appare leggero, fresco e poco interessante. Eppure non è affatto superficiale, è lo specchio della società moderna, con i suoi difetti più marcati. L'aspetto principale è sicuramente lo scandirsi del tempo, incessante e nemico. Il tempo che imbruttisce e invecchia i personaggi, che li smaschera e li porta a riflettere su ciò che sono diventati.
Merita di essere letto ma soprattutto compreso.