La scala a chiocciola
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Ricetta per cucinare un giallo classico
A quanto pare, Ethel Lina White non ha eredi, se Mondadori dichiara in apertura de “La scala a chiocciola” (reperito usato su Amazon) un’avvertenza : “L’editore ha ricercato con ogni mezzo i titolari dei diritti di edizione e traduzione senza riuscire a reperirli”.
L’opera ha ispirato l’omonimo film di tensione del 1946 diretto da Robert Siodmak e si candida a incarnare tutti i canoni del thriller classico. Al punto che, dopo averlo letto e prendendolo a paradigma, mi sento di formulare la seguente ricetta.
1) Scegliete un luogo isolato (“Summit si ergeva in un angolo remoto, nel punto d’incontro tra tre contee, al confine tra l’Inghilterra e il Galles”), preferibilmente minaccioso nell’aspetto (“Summit era un alto edificio di pietra grigia in stile tardo-vittoriano, inspiegabilmente stonato tra quella natura selvaggia”).
2) Dotate il luogo medesimo di una pessima nomea (“Sì, trovare delle cameriere che rimanessero ha creato sempre dei problemi. Il posto è troppo isolato, tanto per cominciare, e poi si è subito fatto una cattiva reputazione”) mitizzandone la fama con antefatti sanguinosi (“… hanno trovato una cameriera annegata bel pozzo”; “Poi c’è stato l’omicidio… Una sguattera, poveraccia, trovata cadavere in casa con la gola tagliata da un orecchio all’altro”).
3) Imbastite la ripresa dei delitti (“…gli omicidi. Erano stati quattro, sicuramente opera di un maniaco che sceglieva come vittime delle ragazze”) ventilando un filo conduttore tra gli stessi (“Non avete notato che l’assassino sceglie come sue vittime solo ragazze che si guadagnano da vivere?”).
4) A questo punto i tempi sono maturi per modellare la vittima ideale: Helen, ragazza alla pari: “Le piaceva l’idea di essere quotidianamente a contatto con due scapoli e un vedovo… Quei poveri vittoriani, che in ogni uomo vedevano un potenziale marito, di sicuro avrebbero trovato molteplici spunti di interesse per i loro romanzi”
5) Rinchiudete la vittima designata nel luogo chiuso e isolato con un numero – anch’esso chiuso - di persone, alcune delle quali visibilmente candidate a recitare il ruolo dell’assassino. Come la vecchia Lady Warren (“Il suo sorriso era quello di un coccodrillo che attende la preda e non la manca mai”), che si finge inferma ma è dotata di rivoltella e di ottima mira. O l’infermiera “odiosa come pochi” e mascolina (“Se quella è una signora, io sono Greta Garbo”) al punto che potrebbe avere la forza di strangolare le malcapitate di turno.
6) Adesso potete dare il via al count down: “In questa casa c’erano nove persone. Ne sono rimaste due… Significa che ormai lui è a un passo da voi”.
7) Per rendere il tutto più efficace, create un’adeguata atmosfera: un temporale fragoroso, rumori sinistri, ombre di rami stampate sulle finestre, il divieto di aprire a chicchesia…
8) Mi stavo dimenticando gli ingredienti essenziali: elementi architettonici gotici, come la scala a chiocciola del titolo (“Una spirale di ripidi gradini interrotta, a ogni piano, da un minuscolo pianerottolo sul quale si apriva la porta che dava sulla scala principale”) e un interrato-labirinto (“Nel corridoio delle cantine… lo chiamiamo il sentiero della morte”) ove si trovano dispensa, deposito degli attrezzi, magazzino, ripostiglio per stivali e altre stanze di servizio. “… In un passaggio più stretto e buio c’erano i locali adibiti a deposito di legna e di carbone”. Chi più ne ha, più ne metta!
9) Naturalmente poi ci dovrà essere il coup de théatre finale: l’assassino dovrà essere lui/lei… incredibile!
10) E infine lo stile: sarà classicheggiante (“La mente di una persona giovane è mobile come il re nel gioco degli scacchi: può sempre spostarsi in avanti dopo aver fatto un balzo indietro”), allusivo (“Ma continuò a tenere la testa alta, come se stesse andando al patibolo sorretta dal favore del popolo”) e velenoso al tempo stesso (“Aveva sentito parlare di una teoria secondo la quale la paura dei serpenti produce nell’organismo umano dell’acido formico che attira i rettili verso le vittime e, al tempo stesso, li eccita”).
Io, questo romanzo, l’ho trovato adorabile.
Bruno Elpis