La fossa La fossa

La fossa

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La fossa che dà il titolo al romanzo è il quartiere a luci rosse nei sobborghi di Kiev dove, alla fine del 1800 sorgevano trenta e più case di tolleranza, diverse nel prezzo, nella scelta delle donne più o meno belle, nei vestiti più o meno eleganti, nello sfoggio delle acconciature e nel lusso delle camere, un quartiere tutto compreso entro due strade, la Grande e la Piccola Jamaskaja, occupate esclusivamente da entrambi i lati da questi locali. La vicenda narrata da Kuprin è la storia di una di queste case, la casa di second'ordine di Anna Markova, una di quelle in cui si pagano due rubli per una visita.



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La fossa 2015-03-17 05:53:45 viducoli
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viducoli Opinione inserita da viducoli    17 Marzo, 2015
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molto, ma non tutto, è cambiato da allora

La fossa è un quartiere della grande città meridionale di K*; è in questo quartiere che Aleksandr Kuprin, scrittore russo poco noto del primo novecento, ambienta il suo romanzo più noto, pubblicato nel 1915.
La fossa, però, è un quartiere particolare, quello che oggi definiremmo un quartiere a luci rosse: là si trovano le case di tolleranza (che effettivamente espongono, di sera, delle lanterne rosse), rigidamente suddivise in case di lusso, di second’ordine e popolari, con prezzi e qualità del servizio diversi.
Kuprin ci racconta la storia di una di queste case, quella gestita da Anna Markovna – una casa di second’ordine, da due rubli – delle ragazze che vi lavorano e della varia umanità che la frequenta. Ci narra con estremo realismo la condizione umana e sociale delle prostitute, le regole che una società ipocrita si era data da un lato per garantire l’importante funzione “sociale” svolta dalle case e dall’altro per assicurare l’emarginazione e l’isolamento dal resto del corpo sociale di chi vi opera.
Parti importanti del romanzo sono quindi dedicate alla descrizione della vita che si svolge nella casa, al ruolo che nell’azienda svolgono i vari personaggi, dalla proprietaria all’economa al portiere, ai meccanismi con cui le ragazze vengono sfruttate, al rapporto della casa con le autorità (spesso corrotte), alle tipologie dei clienti. Sono queste le parti corali del romanzo, nelle quali La fossa assume quasi i toni di un’inchiesta e della denuncia di una realtà ufficialmente ignorata.
Quasi a fare da contraltare a queste parti d’insieme, il romanzo focalizza la sua attenzione sulle storie di due ragazze che vivono nella casa di Anna Markovna: Ženia e Ljuba. Come detto nel commento in quarta di copertina della mia edizione BUR, si tratta di storie emblematiche, ciascuna delle quali vuole mettere in evidenza il dramma esistenziale e sociale che comporta essere prostitute, e ciascuna delle quali vuole dirci che da tale condizione non vi è redenzione, vuoi perché troppo grande è il fardello di umiliazione e di annichilimento della personalità che esercitare tale professione nel contesto delle case comporta, vuoi perché l’ipocrisia di cui la società è intrisa respinge ogni tentativo di riscatto.
La storia di Ženia è la più drammatica. Lei è di fatto la leader delle ragazze, è la più bella e la più richiesta dai clienti. E’ apparentemente cinica e crudele, e non perde occasione per ricordare alle altre la loro vera condizione, la futilità dei loro sogni di una vita piccolo-borghese, basata sulla speranza che un giorno qualcuno si innamori di loro e le porti a vivere fuori dalla casa, come amanti ufficiali e mantenute. Ženia non si fa illusioni, sa che per la società è e resterà sempre la donna pubblica, e matura l’idea della vendetta sulla vita e sull’ipocrisia degli uomini. Quando scopre di essere ammalata di sifilide, lo tiene nascosto e moltiplica la sua disponibilità così da contagiare quanti più clienti possibile. Si ferma però davanti ad un ingenuo ragazzino alle prime esperienze, e questo episodio la convince che l’unica via d’uscita dalla sua condizione sia il suicidio. Credo che queste pagine, e quelle relative alla reazione delle ragazze, dei padroni della casa e delle autorità siano le più belle, intense e dense di significato del libro.
Ljuba è vittima del buonismo ideologico di chi si crede rivoluzionario ma è unicamente un piccolo-borghese. Lo studente Lichonin, animato da nobili ideali di redenzione della società, la fa uscire dalla casa e la porta a vivere con sé. In realtà non ama Liuba, ma sé stesso e l’idea di compiere un’azione eroica e coerente con le sue idee. Naturalmente si stancherà presto e a Ljuba non resterà altra scelta che tornare, sconfitta, nella casa.
Un’altra ragazza la cui storia è seguita con attenzione particolare dall’autore è quella di Tamara, che in qualche modo è l’alter ego positivo di Ženia: diviene economa della casa ed architetta un audace furto ai danni di un vecchio cliente di cui si finge innamorata. Finirà comunque in galera denunciata dal complice e amante.
Il libro si chiude con il dramma finale: l’intero quartiere è percorso da una sorta di pogrom e tutte le case vengono saccheggiate e devastate da una folla inferocita. La stessa società che ha sempre utilizzato i servizi delle case per incanalare e regolamentare le pulsioni del sesso ora distrugge i luoghi del piacere a pagamento. Le autorità ordinano di chiudere tutto e cambiano persino il nome al quartiere. Kuprin ci dice però che da quella catarsi nacque la prostituta da marciapiede, a testimonianza della insopprimibilità di tale ruolo in una società che perpetua sé stessa e i suoi bisogni.
La fossa è indubbiamente un bel libro, nel quale la lucidità dell’analisi, la capacità di trattare un argomento così complesso nelle sue varie sfaccettature e senza eccessivi paternalismi compensa anche alcune pecche, come una certa schematicità di alcuni personaggi.
Kuprin, non bisogna dimenticarlo, scrive il romanzo all’inizio del ‘900, in una Russia che seppure pervasa nei grandi centri urbani dalle tensioni rivoluzionarie rimaneva uno degli stati più arretrati d’Europa: la storia, però, ha il grande valore di essere universale, e potrebbe essere ambientata anche – per esempio – nell’Italia dell’immediato dopoguerra.
A mio avviso il grande pregio del libro è infatti quello di mostrarci il nesso inscindibile che esiste tra la società, la sua organizzazione, e la prostituzione organizzata come business, basata sullo sfruttamento della donna; allo stesso tempo il romanzo ci mostra con nettezza il patto di ipocrisia stretto tra la società e la prostituzione, patto che è vigente ancora oggi, sia pure in forme più sfaccettate, nella nostra società apparentemente libera da ogni tabù sessuale: ci sei, mi sei necessaria, ma devi rimanere nascosta, sei troppo disturbante per essere parte organica dell’organizzazione sociale.
Certo, molto è cambiato dai tempi raccontati ne la fossa, ma se guardiamo alle posizioni politiche di alcuni movimenti di casa nostra, alla mentalità di molti buoni padri di famiglia dell’Italia del XXI secolo ritroveremo tanti motivi per leggere questo libro e per riflettere sui suoi contenuti.

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I grandi russi dell'800
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