La follia di Almayer
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Uno splendido esordio
Ogni volta che si legge Conrad si rimane colpiti dalla perfezione stilistica della sua prosa. La sua impronta classica, il suo romanticismo tipicamente ottocentesco, sono il segno distintivo di uno scrittore che già nel suo romanzo di esordio, all'età di 38 anni, riesce a farci vivere una storia densa di contenuti e piacevolissima da leggere. La lotta quotidiana alla ricerca della ricchezza e del benessere, l'amore verso la figlia Nina, le speranze, le paure, le illusioni, l'angoscia e infine la follia, sono messe in scena in maniera davvero magistrale L'atmosfera del romanzo, primo libro della trilogia malese, insieme con "Un reietto delle isole" e "Il salvataggio", è davvero suggestiva, con la tipica ambientazione conosciuta dall'autore nel periodo dei suoi viaggi nelle Indie orientali, nella fattispecie una località sperduta nel Borneo, dove la maestosa dimora di Kaspar Almayer fa da centro nevralgico dell'intera vicenda. Uno sguardo eloquente sull'insensatezza del colonialismo, un lucido ritratto di un uomo disperato, rimasto solo, in preda ad un tormento interiore che lo distrugge giorno per giorno fino al prevedibile epilogo.
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La follia del vivere
Primo romanzo di Conrad, discontinuo nello stile, ricco di aggettivi e di una certa prolissità descrittiva ma efficace e originale nella struttura narrativa affatto lineare e affidata a complessi flashback. Vive le sue pagine più belle nel finale quando è in scena la definitiva caduta di Almayer, unico bianco a vivere nelle coste del Borneo; in realtà tutto il romanzo è teso a rappresentarne la disfatta, lenta e inesorabile, inevitabile in terra straniera, vinto egli prima dalla natura selvaggia, poi dai falliti vincoli umani, ma in sostanza dai suoi sogni di ricchezza o forse solo di affermazione umana. È una figura tragica la sua, olandese di genia, incontra ancora giovane un cercatore di tesori che instilla in lui la follia della ricchezza: ci sarebbe un fiume nella giungla più profonda che garantirebbe l’agognato successo. In realtà Lingard altro non fa che imbrigliarlo in una relazione amorosa impossibile, concedendogli in sposa la sua figlia adottiva di origine malese, scampata a morte certa in uno scontro con i conquistatori stranieri. È altra figura complessa e tragica la sua, folle, costretta a vincoli impossibili, sanguigna, in eterna ribellione. I due hanno una figlia, Nina, è del suo avvenire preoccupato il padre, è l’emblema della disfatta dell’unione dei due mondi; è una affascinante meticcia, educata al pensiero bianco, in balia di due universi opposti l’un l’altro, anch’ella schiacciata da due realtà e da esse non pienamente accettata. Il suo amore per Dain, oppositore del dominio olandese, le apre la via per una affermazione personale e per una felicità possibile anche se monca perché deturpata, abbruttita, limitata dall’opposizione paterna. Un padre che ama follemente la sua bambina, che ancora ambisce al tesoro, che fa costruire addirittura nuovi locali a ridosso della sua banchina desolata sperando in nuovi pionieri anglosassoni, è la sua follia, quella di cui tutti parlano, ciò che lo ha reso popolare nei discorsi tra marinai, è lì che ha attinto il giovane Conrad per elevarlo a icona della tragicità del vivere umano. Il romanzo, seppur interessato da evidenti e contraddittori limiti ideologici, è altro ancora a dimostrazione della sua complessità, riflette non solo una visione personale della vita ma anche uno stile in divenire fatto di compassionevole narrare la miseria umana e specchio di un tempo di conquista, di ferocia, di sopraffazione.