Narrativa straniera Classici La casa bianca
 

La casa bianca La casa bianca

La casa bianca

Letteratura straniera

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Elegante residenza di campagna sull'isola di Als, la casa bianca è la cornice in cui la famiglia del pastore Fritz Hvide trascorre le sue giornate di aristocratico ozio, tra gli spensierati ricevimenti in giardino e i pettegolezzi. Un paradiso perduto di innocenza nella Danimarca decadente di fine Ottocento, che sta cambiando volto sotto i colpi del progresso e delle sconfitte in guerra. Anima della casa è Stella, la moglie del pastore, donna sensibile e sentimentale innamorata della musica e della poesia, soffocata dall'austerità imposta da Fritz. E lei a irradiare grazia e dolcezza, a difendere spazi di sogno e libertà, a incantare gli ospiti e la servitù con struggenti canzoni d'amore. Ma la sua è una "gioia dagli occhi tristi", un'euforia disperata, un'inguaribile malinconia per lo scarto tra desiderio e costrizione, che contamina ogni sprazzo di luce.



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La casa bianca 2016-01-11 07:44:17 Emilio Berra TO
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Emilio Berra  TO Opinione inserita da Emilio Berra TO    11 Gennaio, 2016
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Tutto su sua madre

Herman Bang, una vera celebrità letteraria della Danimarca, è considerato insieme ad Oscar Wilde il più grande scrittore dell'Estetismo nordico.
A differenza degli altri Grandi del Decadentismo, quali G. D'Annunzio, Huismans e lo stesso Wilde che hanno fatto della loro poetica quasi un'ideologia, Bang presenta una scrittura lieve, avulsa da fardelli ideologici o autocompiacimento.
"La casa bianca", pubblicato nel 1898, è un libro di stampo autobiografico e di stile Belle-Epoque.

Personaggio centrale è la figura della madre, giovane donna dal temperamento artistico, musicalmente e vocalmente dotata, spesso china sui "tasti arpeggianti" del pianoforte. Pare voler soffocare la propria visione pessimistica della vita tramite una brezza di follia che aleggia in ogni pagina.
Lo scenario è una bellissima dimora col grande parco e i dintorni, colti in momenti suggestivi, magari quando "i campi silenziosi dormivano" e "mute navigavano le stelle sopra di loro".
La contemplazione della natura, secondo la madre "bella cornice" al dolore esistenziale, offre sovente immagini splendidamente rese dalla penna di uno scrittore capace di cogliere il fascino ovunque si trovi. Persino le passeggiate crepuscolari o notturne nel piccolo cimitero del villaggio diventano lievi pennellate nel terso affresco che è questo romanzo, tanto che si è parlato di stile impressionista proprio come accostamento alla pittura francese dell'epoca. A mio avviso, talune atmosfere possono anche richiamare il floreale Liberty, ma come attenuato da uno spirito un po' gozzaniano, anche se qui non ci sono "le buone cose di pessimo gusto", perché tutto è della massima raffinatezza.
Ciò contribuisce a quella leggiadria senza posa o affettazione che fa di questo libro una lettura molto gradevole, riverberata ma non abbagliata dallo splendore della scrittura.

Oggi la protagonista potrebbe essere analizzata come un interessante caso depressivo-maniacale. Ma, quando è stato scritto il libro, i testi famosi di Freud non erano ancora stati nemmeno pubblicati. Lei, pertanto, con le sue danze volteggia nelle pagine semplicemente come personalità affascinante e imprevedibile, certo un po' particolare, comunque ancora del tutto libera dalle interpretazioni cliniche. Una figura, poi, filtrata dalla memoria figliale, fatta per muoversi, se non ci fosse l'ombra di qualche cupezza, in una "vita coi lampadari sempre accesi".

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