L'ispettore generale
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L'umanità serva al potere
Un Genio assoluto.
Con ironia, garbo, acume e terribile verità. questo illuminato russo è riuscito a dipingere le fandezze di un popolo intero, che è poi lo specchio di una più vasta umanità che pare non avere confini ne limiti di tempo.
Infatti tra le caratteristiche peculiari dei grandi scrittori russi dell'ottocento e novecento c'era la incredibile peculiarità che i loro romanzi potevano essere riletti anche a distanza di decenni e epoche diverse, mantenendo sempre una caratteristica universale per quando riguarda l'agire umane, la motivazione che spinge le persone a vivere e stare al mondo.
Gran parte della psicanalisi deriva dallo studio degli scritti russi classici, tra cui Gogol, Cechov, Tolstoj, Dostoevskij, cioè gli illuminati che con la loro penna hanno lasciato capolavori immensi e imparegiabili.
Gogol diceva: ""Se si osserva attentamente e a lungo una storia buffa, essa diventa sempre più triste".
E' qui un idea del suo meraviglioso essere un artista della psiche umana, un gigante della ragione.
Egli usava l'ironia, sbeffeggiava l'ordine costituito, la burocrazia infernale che rendeva la vita dei cittadini (e rende ancora) un inferno fatto di scartoffie, carte, regole, reclami, denunce, leggi e perdite di tempo.
In una cittadina spersa nell'immensità del territorio Sovietico, sta per giungere un ispettore a controllare l'andamento delle cose pubbliche, la gente va nel panico, poichè nulla è come dovrebbe essere e per questo si decide di ingannare il nuovo venuto, che ahimè per uno scerzo del destino non è la persona che essi stanno aspettando con tanto timore.
Il potere piega le persone, le rende scaltre, serve, animali da riporto, le lega al collare e per uscirne senza danni sarebbero disposti a tutto.
Figure meschine, vuote, stralunate, con comportamenti al limite della decenza, asservite al potere, logorate dalla mancanza di fiducia verso chi governa e verso se stessi.
Ognuno arroccato a proteggere le proprie ricchezze e difendere il proprio status sociale, costi quel che costi.
Si compie il destino dell'uomo, della sua bramosia di potere, del suo desiderio di essere ricordato, della sua vana ricerca della felicità.
Nell'infernale vortice quotidiano fatto di desideri, frustrazioni, ripicche, cattiverie, pochi gesti d'amore spesse volte falsi e vuoti, gli uomini marchiano il proprio destino, castigano le proprie vite all'infelicità e alla sottomissione. Nulla è come sembra, tutto è destinato a marcire nel tempo.
Quando uno pensa di aver raggiunto la felicità, questa poco a poco si tramuta in tragedia, in scherzo del destino.
Leggere un romanzo russo è sempre stata per me un'esperienza illuminante, un passo verso la verità, buona o cattiva che essa sia.
Indicazioni utili
Quanti spunti avrebbe da noi, oggi
"L’ispettore generale" è la più conosciuta opera teatrale di Gogol’ – autore che per inciso noi consideriamo russo, ma che in realtà era ucraino, a dimostrazione della relatività e della inconsistenza di un “ordine mondiale” odierno che per certi versi ci sta riportando al medioevo – e in quanto tale è complicata da recensire senza abbandonarsi a sterili soggettività o cadere nel già detto.
Eppure la forza del testo è tale da lasciare (come per la gran parte dell’opera di questo grandissimo autore) nel lettore sensazioni indelebili, e da rappresentare un paradigma di critica sociale talmente universale da essere attualissimo, tanto più in una società decadente come quella italiana di questo inizio di millennio. Per questo ritengo giusto, anche attraverso queste mie poche ed indegne righe, richiamare l’attenzione sulla necessità di leggere questo testo o di andare a vederne una rappresentazione teatrale.
La storia è semplicissima. In una città di provincia dell’impero zarista si viene a sapere che sta per giungere un ispettore da Pietroburgo per controllare l’andamento della cosa pubblica. Subito il Sindaco e gli altri maggiorenti si riuniscono per decidere come parare il colpo, visto che naturalmente tutto va male a causa della loro corruzione e ingordigia. Quando poco dopo apprendono che in un albergo è sceso un giovane proveniente dalla capitale, nessuno dubita che sia il temuto ispettore, per cui lo vanno a trovare in delegazione per blandirlo e per ingraziarselo; il giovane, che in realtà è un funzionario di infimo livello che sta tornando dai suoi dopo avere perso tutti i soldi al gioco, all’inizio non capisce come mai venga così riverito, ma subito decide di trarre vantaggio dalla situazione. Conferma quindi le opinioni dei provinciali sul suo potere, sulla bella vita condotta a Pietroburgo, fa la corte alla moglie e alla figlia del sindaco, gli promette di farlo diventare generale, si fa prestare denaro da tutti. Naturalmente tutti esaudiscono i suoi desideri senza fiatare. Quando il gioco è portato troppo avanti e rischia di essere scoperto il giovane scappa con una scusa; mentre il Sindaco si vede già generale a Pietroburgo e comincia ad attirarsi l’invidia degli altri notabili della cittadina giunge la notizia che è arrivato il vero Ispettore generale. Con un colpo di genio teatrale Gogol’ chiude la commedia con una scena muta, sorta di crocifissione laica che immortala gli astanti nella loro sorpresa per essere stati gabbati.
La critica alla corruzione della società zarista dell’800 è tanto più feroce in quanto deriva dalla descrizione di un episodio marginale, perfettamente verosimile. L’autore stesso è pienamente consapevole che l’effetto comico e la capacità di far riflettere il pubblico sarà tanto più grande quanto meno si eccederà in atteggiamenti caricaturali: l’ottima edizione Garzanti che ho letto riporta parecchie appendici, tra cui l’"Avvertenza per coloro che desiderano recitare come si deve L’ispettore generale”, che Gogol’ apre proprio così: ”Soprattutto è necessario evitare di cadere nella caricatura. Non ci deve essere nulla di esagerato o di triviale. Neppure nei ruoli meno importanti”. Questa avvertenza mi induce a riflettere su come, invece, molte delle rappresentazioni teatrali che ho potuto vedere dal vivo (una) o in video puntino proprio sulla caricatura dei personaggi, dando al testo un sentore di farsa che non solo tradisce i dettami dell’autore, ma ne sminuisce la forza corrosiva.
Un elemento fondamentale del testo, che non a caso costituì una delle cause principali dell’accoglienza tiepida che ebbe al debutto, è che non ci sono personaggi positivi. Tutti i notabili della città operano solo per nascondere le loro malefatte, per passare indenni l’ispezione e continuare ad arricchirsi come prima: anzi, nella famiglia del Sindaco si coltiva l’illusione che proprio grazie alla capacità di corrompere il supposto ispettore il loro status sociale possa grandemente elevarsi. Chlestakov, il falso ispettore, a sua volta è un approfittatore di bassa lega, che non esita a sparare le panzane più grosse (tra l’altro si attribuisce la paternità de "Le nozze di Figaro") non appena si rende conto dell’ingenuità e del provincialismo di chi ha davanti.
Nella commedia ci sono ovviamente molti autentici colpi di genio, tra i quali mi piace citare i personaggi di Dobcinskij e Bobcinskij, che come dice la similitudine del nome sono uguali, rappresentando quindi la serialità anche corporea del piccolo possidente russo avido e pavido.
Dopo aver letto questa opera immortale mi sono domandato quanti spunti avrebbe un Gogol’ nella nostra Italia odierna, e quanto a questa nostra derelitta società manchi un autore della sua forza. Quindi, ho acceso la televisione.