L'abbazia di Northanger
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I misteri dell'abbazia (fantasma)
Senza neppure riflettere, assegnerei il massimo della valutazione ad ogni opera di Jane Austen. Per fortuna, prima di commentare un libro ho la buona abitudine di leggerlo; nel caso specifico, andrò oltre la mia ammirazione incondizionata per l’autrice e metterò in luce da subito gli aspetti del romanzo che meno ho gradito.
C’è poco da fare: “L’abbazia di Northanger” è invecchiato male! Mi riferisco in particolare alla pungente satira al romanzo gotico in generale e a “I misteri di Udolpho” di Ann Radcliffe in particolare, che all’epoca era l’equivalente contemporaneo di un best seller internazionale. Per meglio comprendere la mia osservazione, pensate ad un fenomeno letterario-trash dei nostri giorni, come “Cinquanta sfumature di grigio”; se oggi qualcuno lo deridesse in un romanzo o ci scrivesse un intera parodia, i lettori potrebbero trovarla divertente, mentre la stessa operazione tra un centinaio d’anni non riscuoterebbe il minimo successo, perché in pochi ricorderebbero l’”opera” in questione. Almeno spero.
Un altro problema risiede nel titolo stesso del romanzo, perché l’abbazia compare solo nell’ultimo terzo del volume e non viene neppure nominata prima di una buona metà dello stesso. La storia è invece ambientata principalmente nella rinomata Bath, città notoriamente detestata dall’autrice ma che allora era fulcro della vita sociale nel periodo estivo. È dunque con viva gioia che la giovane Catherine Morland, quarta di ben dieci fratelli, accetta l’invito dei signori Allen, una coppia di benestanti vicini, ad accompagnarli nell’abituale soggiorno presso la località termale. Qui la protagonista conoscerà gli altri personaggi principali, fra i quali subito si distingue Henry Tinley, affascinante e sagace gentiluomo che in una sola serata conquista il cuore di lei.
Per una buona parte del romanzo, la storia d’amore tra i due viene intralciata dall’interferenza dei fratelli Thorpe, famiglia di estrazione ancor più umile dei Morland, ma a differenza di questi disposti a tutto pur di farsi strada nel bel mondo: Isabella si proclama fin dai primi capitoli amica di Catherine e non tenta certo di celare le sue mire sul fratello di lei, James, che crede un buon partito; John si convince invece di poter ottenere senza alcuno sforzo la mano della protagonista, erroneamente ritenuta l’erede degli Allen.
I personaggi sono certamente uno dei punti forti del romanzo. Catherine si può considerare il prototipo per altre protagoniste austeniane, come Marianne di “Ragione e sentimento” con cui ha in comune l’ingenuità a tratti eccessiva, ma nella seconda metà del volume la ragazza dimostra un carattere ben più deciso e, soprattutto, la capacità di imparare dai propri sbagli, un po’ come Emma, protagonista dell’omonimo romanzo. Uno dei temi centrali della narrazione è appunto la crescita emotiva della giovane, che dovrà capire a proprie spese quanto possano rivelarsi meschine alcune persone. Da lettori è poi impossibile provare empatia per la sua passione letteraria, perché capita a tutti di immergersi a tal punto in una storia da crederla reale.
Henry ricorda invece Fitzwilliam Darcy per l’acume e la visione disincantata della vita, ma risulta ben più gradevole e alla mano del suo omologo in “Orgoglio e pregiudizio”; a mio avviso, il giovane è il più riuscito tra gli eroi tratteggiati dalla Austen, perché a dispetto delle frecciatine rivolte a Catherine si dimostra sempre gentile ed è evidente come il suo intento non sia quello di offenderla bensì di farla riflettere.
Come negli altri suoi lavori, la Austen non lesina stoccate ai personaggi secondari, che sono tese a mostrare il vero volto della società, celato dietro ad una facciata di educazione e perbenismo. Unici ad essere risparmiati sono le famiglie Morland e la dolce Eleanor, personaggio in parte solo abbozzato sul quale verrà più tardi modellata Georgiana Darcy.
A questo punto è d’obbligo far luce sulla genesi editoriale di questo romanzo. Benché sia stato pubblicato postumo, “L’abbazia di Northanger” è la prima opera completata da Jane Austen, e questo aiuta a capire perché lo stile sembri ancora acerbo. In quanto satira dell’”Udolpho”, l’editore non volle pubblicare il volume, in un bizzarro caso di auto-censura atta ad evitare uno scontro contro quello che era il caso editoriale del momento.
La narrazione è molto evocativa, a tratti quasi poetica; inoltro l’autrice si rivolge più volte al lettore in modo diretto, definendosi la biografa di Catherine, e creando con lui una complicità naturale, come tra due amici che spettegolano dei loro conoscenti.
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Contro-eroina
Romanzo anticonformista come è lo stile di Jane Austen in cui si diverte a scrivere un controromanzo classico con una contro-eroina che fa sorridere in diversissimi punti. Solletica direttamente il lettore anticipando che tratterà la storia di una ragazza che proverà ad essere una eroina ma che è lontana dalle classiche sembianze non solo fisiche di una tipica eroina dei romanzi dell’epoca: “Nessuno, che avesse conosciuto Catherine Morland al tempo della sua infanzia avrebbe veduto in lei una futura eroina”. Questo è l’incipit del romanzo che chiarisce subito che siamo di fronte ad una ironica rappresentazione. La nostra Catherine mi ricorda un po’ una primitiva Bridget Jones , consapevole di non essere sufficientemente avvenente tanto da stupirsi quando riceve particolari attenzioni soprattutto dall’altro sesso. Si addentrerà nelle tradizioni di Bath le cui giornate scorrono tra balli, serate a teatro e poco più, scandite da incontri più o meno interessanti; è divertente come le prime sere non conoscendo nessuno insieme alla signora Allen , sua accompagnatrice, le due donne si lamentano di non avere interlocutori e mi diverte pensarle avvolte nei loro tanto ricercati vestiti che hanno impiegato molto tempo a scegliere sole in un angolo sperando di essere invitate ad un ballo o anche solo coinvolte in una qualche conversazione.
La nostra non eroina affronterà una serie di eventi che dimostreranno tutta la sua ingenuità, verrà condotta in false credenze e falsi miti, conoscerà la falsa amicizia e verrà ingannata ma troverà anche affetto e, seppur lieve, amore; diciamo che per una ragazza che non aveva conosciuto altro che la propria campagna si può parlare di un’avventura emozionante.
Romanzo nel romanzo, la Austen non ci fa mai dimenticare di stare leggendo una storia frutto della fantasia della sua stessa autrice intervenendo in prima persona durante il racconto sottolinenando alle volte cosa dovremmo aspettarci da una “giusta” eroina in quello specifico frangente, per poi venire ironicamente contraddetti dai fatti. Un artificio sicuramente vincente , un trattato contro le ipocrisie di cui era impregnata la società del tempo che ha reso la nostra Austen poi cosi unica nella storia della letteratura e così avanguardista.
Romanzo sano, positivo, correttamente superficiale nei temi trattati e non particolarmente avvincente, il che è chiaramente legato alla natura della storia in sè che non è centrale come invece è l’ironica e critica rappresentazione delle dinamiche della società.
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Un'eroina un pò così
Apri un libro di Jane Austen e ti immagini qualcosa di ampolloso, pieno di sospiri e di dialoghi pesanti. Questo invece inizia in modo del tutto diverso. Le prime pagine sono ironiche nella descrizione di Catherine Morland. Una ragazzotta di buona famiglia, che conosce poco il mondo ed è molto influenzata da romanzetti del mistero. La stessa Austen ci anticipa che questa ragazza non ha nessuna delle caratteristiche necessarie ad essere un'eroina, ed in effetti per i nostri tempi non lo è. Questa ingenua sedicenne, si trova comunque catapultata nel bel mondo e nel giro di qualche mese si trova ad affrontare tradimenti, ambiguità ed umiliazioni ed ad uscirne con dignità. Viste le difficoltà che anche oggi affrontano gli adolescenti forse ha ragione la Austen e dell'eroico c'è anche in una vicenda di questo tipo.
Il brio iniziale del volume, lascia a tratti spazio alla pesantezza tipica dei romanzi di quest'epoca, ma è comunque facilmente leggibile.
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L’abbazia di Northanger – Jane Austen
È il romanzo che fin’ora preferisco della Austen. È diverso dagli altri, ha uno stile più fresco, un ritmo più veloce. La scrittrice a volte chiacchiera con il lettore o si rivolge a lui. Parla della protagonista etichettandola come eroina, scherzando a volte su cosa a lei non capitasse che di solito alle eroine dovrebbe capitare.
La storia narra le vicende di Catherine, giovane donna che entra in società, conosce persone nuove e impara a distinguere gli amici veri da quelli falsi. Si assiste alla crescita interiore della ragazza, a come cominci a vedere in modo più vivido come sono realmente le persone che la circondano.
Bello, consigliato a chiunque, soprattutto per un primo approccio con la Austen.
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Northanger Abbey
Jane Austen ci presenta un'antieroina piuttosto singolare.
Non la tipica inetta tutta cervello "alla Svevo", che disprezza tutto e tutti e addita la società con sarcasmo e cinismo bensì un'inetta un po' fuori dall'ordinario. Graziosa, vivace, sincera ma soprattutto tanto, tanto ingenua.
Catherine, l'impacciata ed emotiva protagonista è completamente immersa in un mondo di fantasie infantili, di amori tormentati, castelli misteriosi, segreti sconvolgenti. E questa sua morbosa fantasia la spinge a scambiare l'immaginazione con la realtà. La storia non è un granché avvincente, la trama non presenta grandi colpi di scena eppure a mio parere la Austen con questo romanzo ha saputo regalarci un perfetto e impietoso quadro di una società fasulla, viziata e arrogante. Ma se da un lato vi sono alcuni personaggi eccessivi nella loro negatività, come le false amicizie di cui la protagonista si circonda, dall'altro vi sono anche i personaggi positivi, moralmente elevati, non privi di una certa ironia che sono pronti a salvarla dal mondo frivolo in cui Catherine si ritrova.
Jane Austen ancora una volta scrive con uno stile parodistico e impertinente, mostrando i valori a cui tiene di più, la famiglia e le amicizie sincere e rappresentando la facilità del farsi abbindolare dai falsi sorrisi e dalle false promesse.
Un libro in cui tutti ci possiamo riconoscere, che a mio parere merita di essere letto!
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Ragione e... Ragione
"L'abbazia di Northanger" si apre con una brevissima introduzione dell'autrice sulle vicissitudini editoriali del suo piccolo manoscritto. Il libro venne infatti terminato nel 1803, acquistato immediatamante da un editore, ma pubblicato solo tredici anni più avanti. L'autrice ci vuole quindi rendere partecipi delle sue lecite perplessità sulla vicenda e lo fa in tono neutro, compassato. Il dubbio però sulla sua vera posizione , forse un po' critica, ci rimane. In effetti l'ipotesi non è smentita nel prosieguo della lettura, poiché di una sottile vena critica il romanzo è permeato fin dalle prime pagine. Quello che l'autrice ci vuole offrire è uno spaccato delle incogruenze, della superfacialità e dell'ipocrisia dell'epoca. Si ha quasi l'impressione di assistere ad un'opera teatrale: una commedia nella quale si muovono personaggi di cui l'ingerenza narrante Austiniana ci induce a burlarci . Il lettore non può quindi fare a meno di percepire un vero distacco da una storia nella quale agiscono e parlano donne e uomini volutamente e ferocemente stereotipati.
Non possiamo e non dobbiamo affezionarvici.
Il ritratto della piccola nobiltà dell'epoca che ne esce è terribile: individui totalmente ripiegati su stessi, ciechi a tutto tranne che ai propri sentimenti. Si salvano in pochi o forse non si salva nessuno.
Incomunicabilità, vanità e affettazione sono probabilmente i veri protagonisti di questa parodia di un mondo che si nutre di inezie e sopravvive di ipocrisia.
Il peso di un punto di vista così estremo viene però addolcito dai toni morbidi e ironici dell'autrice, che punzecchia e critica, ma lo fa con una dose generosa di inconfondibile e autentica eleganza.
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Oltre duecento anni e neanche una ruga
Delizioso e avvincente Romanzo, dove la protagonista Chaterine ha letto troppi romanzi dell’orrore e si crede un’eroina medievale, dove le ragazze trascorrono il tempo a sfilare e a procurarsi un marito riccone, dove i ragazzi fanno finta di studiare ma in realtà spillano continuamente quattrini ai genitori, dove ci si mette insieme dopo due occhiate e qualche danza, e ci si lascia appena si trova qualcosa di meglio, dove i genitori non capiscono i figli e i figli trovano vecchi e saccenti i genitori…
Cosa è cambiato dal 1798 ad oggi? Praticamente nulla.
Se ancora non lo avete letto, non perdetevi questo piccolo classico (personalmente, lo preferisco persino a Ragione e Sentimento): la Austen resta ineguagliabile, da leggere e rileggere, senza mai stancarsi, con il suo finto buonismo e la sua acutezza mascherata dietro veli e crinoline.
Permane solo il dubbio, come dice il finale, se “la tendenza di quest’opera sia raccomandare la tirannia dei genitori o ricompensare la disobbedienza dei figli”.