Narrativa straniera Classici L'imperatore di Portugallia
 

L'imperatore di Portugallia L'imperatore di Portugallia

L'imperatore di Portugallia

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Dal momento in cui la piccola Klara Gulla viene al mondo, il cuore del padre Jan comincia a battere. L’amore diventa la lente attraverso la quale vede la realtà e la trasfigura. Se la sua Klara Gulla, partita a cercar fortuna, non scrive e non torna, non è, come dicono voci maligne, perché è andata a finir male: il mistero che la circonda non può che nascondere un destino troppo straordinario per essere rivelato. Lontano, in una mitica Portugallia, dove non esistono il male e la miseria, la figlia è diventata imperatrice. E Jan, il contadino di Skrolycka, nelle sperdute valli delle Askedalar, comincerà a vivere da imperatore, con la follia di chi, cieco all’apparenza delle cose, si fa veggente e, misurando con il metro dell’assoluto, varca i confini dell’umano per entrare nel meraviglioso.



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L'imperatore di Portugallia 2020-06-19 08:44:36 68
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68 Opinione inserita da 68    19 Giugno, 2020
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Omnia vincit amor

Il potere di un amore talmente profondo da condurre alla pazzia, la purezza e gratuità del quale superano i confini del vivibile, un amore le cui parole esprimono la propria essenza e al cui cospetto non rimane nulla da espiare.
“ L’Imperatore di Portugallia “, fiaba e realtà, ci accompagna in un mondo di simboli, tradizioni, follia, sogno, concretezza, un paesaggio che ogni volta si dissolve e ritorna.
È l’amore di un padre burbero, inaridito da una vita senza gioia, un cuore che improvvisamente ricomincia a battere di sentimenti, il cuore di un essere umano.
Una doppia nascita, Klara Gulla, figlia adorata e prediletta e il cuore di un uomo nuovo dal momento in cui la bambina gli e’ stata messa tra le braccia, finora ostile e amaro verso tutto, compreso se stesso, ora pervaso di beatitudine e dolcezza.
Il padre di una bambina così straordinaria non può essere solo un povero bracciante, ha ...” un tesoro da mostrare “.... e ..” un fiore di cui fregiarsi “...., è ...” ricco con i ricchi e potente con i potenti “.... , Jan e Klara Gulla, tagliati della stessa stoffa, speculari, sempre insieme, in grado di leggersi dentro.
Diciassette anni di vita, gioie, orgoglio, passione, fino a quando Klara desiderera’ andare altrove, nel vasto mondo, sospinta dal dovere figliale di estinguere un debito famigliare.
Da questo istante per Jan tutto cambia, la tristezza incombe, il senso della vita viene meno, un padre senza difese e senza riparo che accoglie dolore e struggimento in un cuore che ha ripreso a battere.
È allora che rincorre l’ attesa sperando in un ritorno ogni volta rimandato, respingendo voci malevole e immotivate, inventando e riproducendo un reale immaginario, un microcosmo personalizzato, un po’ magico e un po’ tragicomico, nel quale esiste una principessa di un regno ( di Portugallia ) senza fame e povertà, abitato dalla pace perpetua e dalla serenità. E il padre di un imperatrice siffatta, così riccamente vestita, non può che diventare imperatore, Johannes di Portugallia.
Il confine tra reale insostenibile e follia sentimentale genera curiosità, ostilità, incredulità, scherno, compassione, una mistura di epicita’ e rappresentazione di se’, indossando un berretto di cuoio e un bastone imperiale, un imperatore che la gente vuole onorare.
Il proprio sogno folle lo priverà del lavoro, un sovrano detronizzato con il dono della divinazione e l’idea di incontrare qualcuno che assecondi la sua pazzia chiamandolo imperatore per sentire raccontare le sue fantasie.
Tradito nella forza del proprio amore e nel desiderio di protezione, annientato dall’ indifferenza di una fuga non annunciata, azzerando dimensione umana e voglia di vivere, la pazzia svelerà l’ autenticità di un sentimento al cospetto del quale restituire un amore del tutto gratuito e speculare.
Selma Lagerlof, prima donna insignita del premio Nobel nel 1909, scrisse questo romanzo qualche anno dopo ( 1914 ) ambientandolo nella seconda metà dell’ 800 all’ interno della provincia del Varmland, un territorio spoglio e selvaggio da lei ben conosciuto in un clima di passaggio dalla civiltà agricola a quella industriale.
E il mondo contadino, suddiviso in classi distinte, è rappresentato nei propri caratteri definenti, un microcosmo fondato sulla consuetudine dei rapporti bracciante-proprietario, mentre i signori vivono separatamente. Ed e’ rilevante, in questo contesto, l’ aspetto religioso, raffigurato nella figura del pastore, un sistema spirituale ed educativo di importanza primaria per la comunità.
Il tema di fondo del racconto, omnia vincit amor, qui rappresentato dalla centralità di un sentimento paterno totalizzante, rivive anche nell’ inserimento di vicende e personaggi collaterali di assoluta rilevanza.
Una scrittura lineare, semplificata, a metà tra il reale e il fiabesco, il naturale e il soprannaturale, un’ alternanza di sogno e di particolari contingenti che restituiscono un’ armoniosa presenza in una ricchezza assoluta di forma e contenuti.

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L'imperatore di Portugallia 2018-03-06 18:54:42 viducoli
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viducoli Opinione inserita da viducoli    06 Marzo, 2018
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Il realismo fiabesco di un romanzo consolatorio

***Attenzione: anticipazioni sulla trama ***

'L’imperatore di Portugallia' è il primo romanzo di Selma Lagerlöf che leggo, e non essendo, a detta di molti critici, il suo capolavoro, può darsi che la sua lettura non sia sufficiente per articolare complessivamente un giudizio sull’autrice. Tuttavia pare che questo romanzo sia pienamente ascrivibile alla poetica della scrittrice svedese; se così fosse mi sento di affermare sin da subito che Selma Lagerlöf rappresenta, nel panorama della letteratura europea del primo ‘900, una autrice minore, se non secondaria.
'L’imperatore di Portugallia' viene pubblicato nel 1914, cinque anni dopo l’attribuzione all’autrice del premio Nobel per la letteratura, prima donna a riceverlo. Questa data assume quasi un valore simbolico, essendo l’anno della deflagrazione del primo conflitto mondiale. Da almeno un ventennio le varie forme di espressione artistica stanno subendo una sorta di irreversibile rivoluzione, dovuta alla consapevolezza della crisi di valori e della crescente ingiustizia sociale che caratterizzano lo sviluppo della società industriale. L’ottimismo di facciata della Belle Époque in un progresso tecnologico e morale che avrebbe condotto inevitabilmente l’umanità verso la felicità, che trovava la sua espressione teorica nel determinismo positivista, aveva ormai da tempo lasciato spazio ad una visione angosciosa ed angosciante della società, nella quale prevalevano elementi disgregatori e la coscienza dell’alienazione come cifra dell’esistenza. Il movimento operaio, la prospettiva di una trasformazione radicale della società in senso egualitario era vissuto dalla società borghese come un incubo in grado di demolire i privilegi della classe dominate, e gli stessi socialisti (almeno i più avvertiti tra di loro) erano consci delle difficoltà e dei sacrifici che la rivoluzione avrebbe comportato. Il capitalismo delle grandi potenze si era evoluto in imperialismo, e venti di guerra per il dominio delle risorse africane ed asiatiche erano all’ordine del giorno. La nascita della psicanalisi fornisce nuovi strumenti per la conoscenza del comportamento umano e delle pulsioni profonde che lo condizionano, evidenziando il ruolo primario della sessualità, grande tabu della società ottocentesca.
L’arte, la grande arte, interpreta questa coscienza della crisi a vari livelli in tutte le forme della sua espressione. In pittura movimenti come l’espressionismo tedesco e il cubismo rappresentano una autentica rottura con ciò che li precede, tentando di visualizzare l’angoscia esistenziale dell’uomo moderno e la poliedricità della realtà in cui è immerso. La composizione musicale esplora nuove regioni del suono, cercando di rendere i ritmi della società industriale e le sue intrinseche dissonanze. La letteratura abbandona sia il naturalismo positivistico sia il decadentismo estetista 'fin de siècle' per esprimere, anche attraverso l’uso di inusitate tecniche narrative, la crisi dei valori e la disumanizzazione della società.
I grandi scrittori e poeti del primo novecento affrontano la crisi di petto, alcuni riconoscendone ed evidenziandone i tratti costitutivi a livello sociale, altri scavando in profondità l’effetto che essa produce sulla vita di gruppi di uomini o di singoli personaggi; alcuni si limitano all’analisi della crisi, altri indicano, nelle loro pagine, possibili strade per il suo superamento. Ciò che li accomuna è che essi comunque scrivono della crisi e nella crisi, non la nascondono, anzi ne fanno l’elemento essenziale della loro opera. È per questo, al di là della loro capacità di scrittura, della forma che essa concretamente assume, che a mio avviso possiamo definirli grandi, perché interpretano – ciascuno a modo suo – il tempo in cui vivono.
Anche all’inizio del ‘900 c’erano ovviamente altre tipologie di scrittori: quelli che scrivevano rifacendosi all’800, al romanticismo, al naturalismo, o semplicemente non si rifacevano a nulla ma scrivevano per guadagnarsi da vivere assecondando – o contribuendo a formare – il gusto del pubblico della nascente industria culturale. Di essi non ci è rimasto molto: quando ancora oggi ci imbattiamo in uno di questi scrittori è perché ha creato qualche personaggio che è entrato nell’immaginario collettivo oppure perché, a volte, l’inadeguatezza di contenuti è in qualche modo compensata da una particolare abilità nella forma della scrittura.
Tra questi due estremi si colloca però a mio avviso anche una 'terra di mezzo letteraria' composta dagli scrittori che, trovandosi di fronte alla crisi valoriale del primo ‘900, in qualche modo cercano di negarla, o di superarla, proponendo il recupero di una qualche forma di società o di rapporti sociali arcaici, ancestrali, ricercando in piccoli eden passati ed idealizzati o in prospettive palingenetiche la negazione dell’angoscia esistenziale e sociale proposta dal presente. Questi scrittori, tra i quali ve ne sono anche di eccellenti, sono pienamente immersi nella crisi, ma invece di affrontarla nei loro scritti cercano di esorcizzarla, facendo ricorso ai valori che l’evoluzione sociale generatrice della crisi ha spazzato via oppure immaginando una capacità autorigeneratrice dell’umanità che da sola sarà in grado di portarla verso un futuro migliore.
Per quello che emerge dalla sua lettura ritengo di poter affermare che 'L’imperatore di Portugallia' possa essere considerato uno dei romanzi paradigmatici di questo atteggiamento intellettuale.
Al fine di giustificare questa affermazione, che per la mia sensibilità nei confronti della letteratura assume una accezione negativa, è necessario riassumere la trama del romanzo.
Jan Andersson di Skrolycka è un non più giovane bracciante che vive nelle Askedalar, remote valli della Svezia centrale. Ha sposato da non molti anni Kattrinna, e con lei vive in una casetta isolata che ha costruito grazie ad una concessione del padrone.
Quando alla coppia nasce una figlia Jan si accende di amore per lei: la chiama Klara Fina Gulleborg (Chiara, Bella e d’oro, detta Klara Gulla) e ne segue con trepidazione la crescita, descritta in brevi capitoli del libro che riguardano il battesimo, la vaccinazione, la scarlattina, i primi successi a scuola, insomma l’infanzia della piccola, cui il padre dedica tutto l’amore di cui è capace idealizzandola come un essere perfetto.
Quando la ragazza è diciassettenne, ed è ormai una vera bellezza, accade un grave imprevisto. Il genero del buon padrone di Jan, nel frattempo morto in un incidente sul lavoro, mette in discussione la proprietà della casa e del terreno del bracciante, non essendovi documenti che la provino, e pretende, per non far sloggiare la famiglia, il pagamento di duecento scudi entro pochi mesi, somma del tutto al di fuori delle possibilità di Jan.
Klara, che da tempo sogna di uscire dall’ambiente isolato delle Askedalar, si offre per andare a servizio a Stoccolma, dove con un po’ di fortuna potrebbe guadagnare la somma necessaria. Il padre finisce per dare il suo doloroso consenso quando si rende conto dei desideri della figlia: così la ragazzina un giorno viene accompagnata al molo del grande lago da cui parte il traghetto che porta a Stoccolma. Dopo qualche settimana giunge una sua lettera nella quale dice di essersi infine sistemata ed entro il termine previsto la somma necessaria giunge alla famiglia tramite un deputato locale.
In seguito Klara non fa più avere notizie, ma da allusioni di giovani che sono stati a Stoccolma si viene a sapere che è una prostituta.
Jan si rifiuta di accettare questa realtà, e la sua mente sconvolta si rifugia in un mondo immaginario nel quale Klara è l’imperatrice di Portugallia, una terra in cui non ci sono miseria e ingiustizia, di cui lui è l’imperatore in esilio, in attesa del ritorno di Klara che porterà i genitori con sé nel suo regno.
La pazzia di Jan, che si orna di un alto cappello, di un bastone e di alcune onorificenze di carta, ne fa ovviamente lo zimbello della comunità, anche se egli è circondato da un qualche alone di rispetto perché ha la capacità di vedere il futuro, capacità che viene riconosciuta quando predice la tragica morte del suo nuovo padrone, non senza colpe nella morte del suocero.
Per anni Jan si reca sul pontile dove attracca il traghetto, certo del ritorno di Klara, finché dopo quindici anni, un giorno in cui Jan non c’è, la figlia torna davvero. È segnata dalla vita, ma ora ha un impiego rispettabile e vuole portare con sé i genitori. Quando però si rende conto della pazzia del padre non accetta che questa sia stata generata dal suo amore per lei e lo maltratta, sino a progettare di andarsene con la madre, abbandonandolo. Kattrinna si piega a malincuore alla decisione della figlia ed un giorno, mandato Jan lontano per una commissione, prendono il traghetto. Mentre questo si stacca dal molo vedono Jan che giunge trafelato e si butta in acqua. Tornate indietro, le due donne apprendono che il corpo di Jan non è riemerso. Klara affitta una casetta nei pressi del pontile e per mesi ogni giorno si reca al lago sperando nel ritrovamento del cadavere del padre: è convinta che solo dopo che sarà sepolto potrà liberarsi del suo ricordo e del senso di colpa nei suoi confronti.
Quando viene a sapere che la madre sta morendo va ad assisterla, incontrando un amico che le narra come avesse incontrato Jan il giorno della partenza, e lo avesse accompagnato con il carro al molo: Jan gli aveva detto di aver sentito che Klara era in pericolo e che qualcuno gliela stesse portando via. Klara Gulla può quindi liberarsi del senso di colpa, perché il padre non si era suicidato, ma si era buttato in acqua convinto di poterla sottrarre al pericolo: illuminata da questo episodio capisce anche l’immenso amore che il padre aveva per lei.
Katrinna muore e quando il feretro, accompagnato da poche persone, giunge fuori della chiesa, trova tutta la comunità, che sta accompagnando un’altra bara: il corpo di Jan è stato ritrovato e tutti vogliono rendergli l’onore che merita. Sulla bara di Jan vengono posti il cappello e il bastone imperiali e i due vengono seppelliti insieme.
Una storia commovente, quindi, piena di un sentimento religioso di amore, pietà e comprensione per gli umili che trae le sue origini, oltre che dalla figura intellettuale dell’autrice, anche dal suo attaccamento alla terra delle origini, il Värmland, regione della Svezia centrale fatta di foreste, laghi e piccole comunità contadine. Una storia che va analizzata attentamente per cercare di andare oltre i sentimenti che provoca e cercare di comprenderne le basi strutturali e ideologiche.
Centrale a mio avviso a questo proposito è l’ambientazione. La piccola comunità rurale delle Askedalar è il mondo idealizzato in cui si svolge questa fiaba per adulti. È un mondo in cui esistono delle differenze sociali, dove ci sono i ricchi e i poveri, ma dove tutti in fondo cooperano per il bene comune: il pastore, il sacrestano, i buoni vecchi padroni di Jan, tutti sono portatori di valori positivi e di solidarietà umana. Al massimo ci può essere qualche piccola invidia, qualche fraintendimento subito ricomposto. Nel romanzo c’è solo un personaggio negativo: il giovane padrone che – essendo genero del vecchio Erik di Falla non appartiene alla famiglia e, sembra di capire, neppure alla comunità – non esita a favorire la morte del suocero per accaparrarsi la proprietà, cadendo vittima della giustizia non umana, ma divina. Il male, la disgregazione dei valori, è al di fuori di questo mondo, e la giovane Klara Gulla ne sarà subito vittima, cadendo in una condizione che – nella rigida concezione luterana di Selma Lagerlöf – rappresentava non solo il paradigma della degradazione morale, ma anche la conseguenza inevitabile della ricerca della modernità e dell’apparenza, se è vero che tutto nasce da un vestito rosso e dal suo venditore. Il 'piccolo mondo antico' quindi come rifugio consolatorio rispetto alla violenza e alle tentazioni del mondo moderno, che non a caso non appare mai nel racconto ma è solo evocato indirettamente. Un piccolo mondo antico le cui immutabili regole, perturbate dall’irruzione della modernità, si ricompongono nella redenzione finale, e che è capace di riconoscere la grandezza dell’amore anche quando si traveste da pazzia. Proprio il tema della pazzia di Jan e come questo viene trattato costituisce, a mio avviso, l’elemento di maggior interesse di questo romanzo, forse l’unico che gli conferisca un appiglio per farcelo sentire in sintonia con i tempi in cui fu scritto. Le migliori pagine sono infatti secondo me quelle in cui l’autrice descrive lo iato che esiste tra il pensiero dell’imperatore Jan, la sua interpretazione dei fatti, e la loro realtà, pagine che denotano una acuta capacità di analisi psicologica del personaggio.
Negli stessi anni in cui Selma Lagerlöf scriveva i suoi romanzi quelle terre esprimevano il genio di August Strindberg, e poco più a ovest si stava spegnendo Henrik Ibsen. Senza ricorrere a grandi scrittori di altre parti d’Europa credo che il semplice confronto con questi due scandinavi sia piuttosto impietoso per questa sorta di realismo fiabesco della scrittrice svedese, almeno per quanto emerge da questo romanzo.

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L'imperatore di Portugallia 2017-11-18 10:41:21 franceschita
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franceschita Opinione inserita da franceschita    18 Novembre, 2017
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Una fiaba antica

SPOILER
Selma Lagerlöf è stata la prima donna a vincere un Nobel per la letteratura, e devo dire che ero molto curiosa di leggere qualcosa di suo.
Dovete sapere che attualmente abito in Svezia, e lei è proprio del Värmland, la regione in cui abito. Quindi ne ho sentito molto parlare e le aspettative erano alte.
Le ha rispettate? Possiamo dire si, ma con qualche riserva.
L'imperatore di Portugallia è un libro molto semplice, con uno stile estremamente lineare e scorrevole. Una sorta di fiaba moderna adatta sia per piccoli che per grandi. Si è in Svezia, in un tipico villaggio scandinavo, in tempi in cui la Svezia era ben ben lontana dalla quella ricca e benestante che conosciamo oggi. Niente riscaldamenti, niente importazione dal resto del mondo di cibo e frutta tramite i container. Insomma, la Svezia di per sè è brulla, difficile e Selma lo sa. L'ambientazione di fatto è fatta molto bene e riesce a catapultarti davvero in quegli anni lontani, il che è davvero interessante da vedere soprattutto per coloro che hanno la classica "visione anni 80" di qusto paese. Quello che Selma crea è un bellissimo ritratto. La semplicità è una caratteristica tipica della Svezia e Selma rispetta tale canone. La storia è molto patetica (in senso buono), dove al centro di tutto c'è questo padre innamorato della figlia, tanto da finire nella follia. La trama è carina e piacevole - anche se non sono una fan di questo genere "bucolico". Riesce a stare nel fiabesco riuscendo a mantenere tratti di realisticità. Ciò che mi ha lasciata perplessa è il finale. Il comportamento della figlia è illogico sia quando vuole lasciare il villaggio con la madre sia il successivo ravvedimento, e la morte per annegamento del protagonista l'ho trovata forzata. Non sono nessuno per giudicare ma tale escamotage non incontra i miei gusti letterari. Per il resto l'ho apprezzato molto e lo consiglio assolutamente.

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L'imperatore di Portugallia 2017-02-04 08:41:20 lapis
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lapis Opinione inserita da lapis    04 Febbraio, 2017
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La fantasia fa battere il cuore

Leggere questo romanzo significa innanzitutto arricchirsi emotivamente. La sopraffina penna di Selma Lagerlof ci regala una storia che si avvolge delicatamente, con parole limpide e atmosfere fiabesche, intorno a un sentimento vero, immenso e incondizionato. L’amore di un padre per la propria figlia.

I boschi del Nord, i paesaggi contadini, la purezza della neve assecondano la malinconia e la tenerezza di una storia in cui tutto è semplice. Semplice è la vita quotidiana dei braccianti che conducono un’esistenza di fatica, di freddo e di miserie, senza possedere nulla se non l’onestà e la dignità di un animo puro. Semplice è il manifestarsi dell’amore, improvviso e inatteso, quando Jan Andersson prende in braccio per la prima volta la sua piccola Klara Gulla e sente nascere il proprio cuore. Semplice è l’inconsolabile e straziante dolore di un padre che, non ricevendo più notizie della figlia, ormai giovane donna partita per la città in cerca di lavoro e fortuna, non sapendosi spiegare il perché di quest’abbandono e non volendo credere alle voci che insinuano un triste destino, si crea una verità diversa per non accettare ciò che i suoi occhi non sopporterebbero. Nella sua fantasia Klara è diventata imperatrice del meraviglioso regno di Portugallia e lui, ogni giorno, con il suo scettro di legno e le sue stelle di cartapesta, aspetta al molo il battello che riporterà a casa la regina.

La fantasia permette di inventare un mondo diverso, di fortuna e magia, quando quello che ci circonda sembra non offrire alcuna speranza. Eppure quella che sembra ottusa follia si rivela essere una lucida saggezza capace di vedere oltre la realtà delle cose, offrendo, grazie alla profondità dei sentimenti, una possibilità di redenzione.

La narrazione scorre fluida e placida, come un fiume cristallino, tra piccoli accadimenti di vita e di campagna, che si svolgono in una dimensione senza tempo in bilico tra fiaba e realtà. Sembra non raccontarci nulla più di modesti episodi, non addentrarsi introspettivamente nelle pieghe dei personaggi, non parlare esplicitamente di sentimenti. Invece ci rendiamo conto che le parole dicono molto più del loro mero significato. Parlano la voce della poesia, delle emozioni, della commozione e sono capaci di risuonare nel cuore per molto tempo dopo aver chiuso l’ultima pagina.

“E Jan Andersson si ritrovò lì a tenere tra le mani una piccola cosa calda e tenera avvolta in un grande scialle […]. E nello stesso istante capì cos’era stato a far battere il suo cuore. E non soltanto questo: cominciò anche a intuire cosa gli era mancato per tutta la vita. Perché chi non sente battere il cuore nel dolore o nella gioia non può di certo essere considerato un vero essere umano”.

Una cosa è certa. “L'Imperatore di Portugallia” è un romanzo che fa battere il cuore.

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L'imperatore di Portugallia 2016-02-14 10:02:09 Natalizia Dagostino
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Natalizia Dagostino Opinione inserita da Natalizia Dagostino    14 Febbraio, 2016
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Genitorialità e Amore

Selma Lagerlöf, premio Nobel per la letteratura e prima donna nominata fra gli Accademici di Svezia, nasce nel 1858 nel mondo arcaico, fiabesco e spirituale al confine fra Svezia e Norvegia, fra odore di boschi e di contadini rudi che dolcemente suonano il violino.

Gli alberi-troll dagli occhietti maligni che ritirano i loro artigli con la melodia dei canti di Natale, costituiscono lo scenario della storia straziante e gentile sull’amore complicato in famiglia. Ogni capitolo breve è una pennellata sapiente fra privato e sociale, fra immaginazione e realtà, fra desiderio e morte.

Incontro padroni stupidi e disumani e lavoratori sofferenti e profetici e incontro Jan, duro e affaticato contadino di Skrolycka, che scopre e vive la felicità nella paternità, nell’appartenenza e nell’attaccamento alla piccola Klara Fina Gulleborg, nome magnifco che richiama la luce, il calore, la preziosità del sole.

“Ma ora, che aveva una figlioletta così straordinaria, Jan non era più soltanto un povero bracciante. Ora aveva un tesoro da mostrare e un fiore di cui fregiarsi. Era ricco con i ricchi e potente con i potenti.”p.45
“Non è solo il giorno in cui è nata Klara Gulla, è anche il giorno in cui è nato il mio cuore.” p.32

Ma, giovane e bellissima giovinetta, per quindici lunghi anni, Klara abbandona la casa paterna, senza dare notizie di sé. Per Jan diviene impossibile lasciar andare la figlia, luce e ragione della propria vita. Nelle relazioni fra genitori e figli, la distanza marca l’autonomia e la realizzazione libera e compiuta dell’amore. Jan non ce la fa, trasforma in delirio il bisogno di possederla e si protegge dal dolore trasfigurando la realtà.

Nella fantasia amorosa di suo padre, Klara, invece che una prostituta, appare come la discreta e straordinaria imperatrice di Portugallia, paese immaginario. L’amore che non preveda anche la libertà diviene un inganno che trasforma il padre in un folle.

Ma Jan ci convince che la protezione di sé si può esercitare anche smettendo di curare la follia. Il padre, la made e, al suo ritorno, la figlia si lasciano attraversare dalle fantasie, leggendole e assumendole come una difesa e come la forma dell’amore ostinato che continua a credere, consapevole e profetico, alla felicità della propria carne. A dispetto degli avvenimenti, delle calunnie, a dispetto della sua stessa vita, Jan si fa strumento di coscienza e di redenzione.

La storia imperdibile, narrata dalla scrittrice sapiente, sensibile e paziente, continua ad ispirare le vite di madri, di padri, di figli e di figlie, redime e rilancia prospettive e riflessioni sulle complesse relazioni familiari.

“Jan non è matto. Il signore gli ha posto uno schermo davanti agli occhi, perché non veda quello che non sopporterebbe di vedere. E di questo non si può che essere riconoscenti.”p.230

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L'imperatore di Portugallia 2015-11-15 10:23:53 Emilio Berra TO
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Emilio Berra  TO Opinione inserita da Emilio Berra TO    15 Novembre, 2015
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I prodigi dell'amore

La svedese Selma Lagerlof è una scrittrice grandissima. E' stata la prima donna ad essere insignita del Premio Nobel per la Letteratura. "L'imperatore di Portugallia" è successivo all'alto riconoscimento ricevuto, ed è un libro imperdibile, un monumento all'amore paterno, o meglio all'amore in assoluto e ai suoi prodigi.
Il rude Jan sperimenta per la prima volta l'amore, uno stato di grazia, quando prende in braccio la neonata figlia : "non avrebbe mai immaginato che ci si potesse estasiare a voler bene a qualcuno".

L'ambientazione è il tipico paesaggio rurale svedese al confine con la Norvegia, fatto di alture, boschi e limpide acque lacustri, proprio i luoghi natii dell'autrice, che qui vengono rappresentati in tutta la loro suggestione : l'inverno innevato percorso da slitte, la chiesetta e le case sparse nella campagna, il lago col battello che conduce lontano...
L'atmosfera è fiabesca : miti nordici, leggende, significati reconditi...
La narrazione, inoltre, è come pervasa di misticismo e saggezza, ricca di simboli, alcuni dei quali rimandano alle Sacre Scritture e contribuiscono a conferire al testo un livello autenticamente semplice ed elevato e ad offrire un senso cosmico al messaggio poetico, come talvolta accade nei momenti più alti della produzione letteraria di Alda Merini.

Quando la figlia ormai diciottenne si allontana e il padre intuisce che qualcosa non va, allora il rifugio diventa per lui una sapiente follia, il regno fantastico di Porugallia : "quando uno abita nelle Valli della Nostalgia non si accontenta più delle cose terrene, ma è costretto ad andare in cerca delle stelle".
L'anziana moglie ne è consapevole : "Jan non è matto. (...) Il Signore gli ha posto uno schermo davanti agli occhi, così che non veda quello che non sopporterebbe di vedere. E di questo non si può che essere riconoscenti". Il lettore procede nella storia fra incanto e stupore per giungere a un finale meraviglioso ed emblematico.

La scrittrice, che ha rappresentato così bene l'amore genitoriale, non è mai stata madre. E' stata però figlia molto amata di un padre che è morto dopo che si era allontanata, contro il volere di lui, per raggiungere Stoccolma. Rimase convinta di avergli abbreviato la vita. Nel discorso per il Nobel lo ricordò in modo toccante. Successivamente scrisse il romanzo di cui ci occupiamo.
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L'imperatore di Portugallia 2015-06-21 05:16:51 siti
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siti Opinione inserita da siti    21 Giugno, 2015
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Unico cibo: l'amore

“È bello fare banchetti nella fantasia (...) Hanno un sapore migliore di quelli reali.”

Realtà e fantasia sono i protagonisti di questo scritto. Quanto la dimensione del reale è ostica, tanto la visione onirica, demistificatrice e fantastica ne aiuta l’accettazione.
Jan, un pover’ uomo già avanti negli anni, sposa Katrinna; è alle dipendenze di ricchi signori e vive di un duro lavoro in una terra sospesa anch’essa tra realismo e fantastico: le valli delle Askedalar nel Varmeland, regione centrale della Svezia trapuntata da laghi, circondata dai boschi, sospesa tra cielo e terra ma soprattutto isolata e con una forte tradizione orale che anima di fantastico ogni paura.
Il romanzo è la sua storia: nasce come uomo il giorno che il caso inaspettatamente le regala una figlia che subito ha il potere di elevarlo alla condizione di uomo buono. La sua piccola è eccezionale e tutta la prima parte del romanzo è tesa a descriverne il suo essere e il suo ascendente nei confronti del padre. Il binomio padre- figlia aiuta a percepire la potenza dell’amore: nobile sentimento che permette di superare le difficoltà della vita, di perdonare le cattiverie altrui, di soprassedere ai torti perché intimamente in pace con se stessi e con il mondo. La piccola Klara Gulla è armonia e pace per l’attempata coppia genitoriale e vive pian piano non tanto di una sua autonoma rappresentazione quanto, e questo il lettore lo scopre progressivamente, di tutte le proiezioni che l’amore dei genitori sa e può produrre. La sua volontaria lontananza dai luoghi natii e il suo aspettato quanto mai irrealizzato rientro, concorrono a dare una svolta alla precedente parte. La seconda vede dunque scivolare il nostro buon garzone in una dimensione fantastica, onirica, magica e meravigliosa che solo la pazzia può condensare: Jan diventa imperatore per stare al passo con il frutto della sua fantasia. Trasfigura se stesso per oggettivare l’irreale e il fantastico che danno l’unica spiegazione possibile a ciò che gli sta accadendo. Della figlia si dice tutto il male del mondo, il padre deve compiere il necessario adattamento: è divenuta imperatrice e presto tornerà.

Il romanzo vive di un implicito respiro fiabesco, lo stile è dunque avvolgente e delicato mentre rappresenta un territorio lontano e selvaggio, l’asservimento del debole, l’ordine delle cose governato dalla natura o da pochi ricchi potenti, delicati equilibri che si rompono con emancipazioni giunte da luoghi lontani. La dimensione religiosa è pervasiva e contribuisce a comprendere il tutto, dai troll all’aldilà.
Scritto della maturità della maestrina del Varmeland già insignita del Nobel, rappresentazione di uno spaccato di vita di fine ottocento, richiama vissuti personali anch’essi accarezzati e trasfigurati e ha il potere di far ripensare ad uno dei legami più forti nel corso della nostra esistenza, nel bene e nel male, quello con i nostri genitori. Profondamente scossa e commossa dalle ultime pagine ne consiglio caldamente la lettura: non potrà che farvi bene.

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Deledda
Pirandello
Rigoni Stern
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L'imperatore di Portugallia 2015-06-04 15:10:59 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    04 Giugno, 2015
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Rapporto padre-figlia

Diverso dal Meraviglioso viaggio e dalla saga di Ghosta Berling, non per lo stile, non per l'organizzazione della storia ma per la profonda, insolita malinconia delle vicende. La nostalgia, la difficoltà nei rapporti umani ha una parte importante e anche il male. Il libro è diviso in una prima parte che assomiglia molto alle saghe sopra citate per il tipo di vicende narrate, ma seguono altre tre parti via via sempre più tristi. Si sfiora quasi il punto di non ritorno. Certo, Selma non lascerebbe mai finire un suo romanzo senza dargli un risvolto positivo e costruttivo ma negli altri il male non riusciva mai a penetrare così in profondità nelle vicende. I dispiacere erano ombre fuggevoli su un cuore buono. In questo caso la cattiveria riesce a intaccare in profondità questa vita anche se solo questa. In Portugallia tutto resta incontaminato. Un libro bello, molto bello per la sua carica di intensa malinconia, di struggimento. Per il fatto che le cose buone si afferrano ma forse con un tantino di ritardo che le rende non inefficaci ma che certamente dona loro un retrogusto amaro.

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L'imperatore di Portugallia 2015-04-30 05:38:43 pierpaolo valfrè
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pierpaolo valfrè Opinione inserita da pierpaolo valfrè    30 Aprile, 2015
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C'era una volta, nelle lontane terre del nord ...

L’imperatore di Portugallia è un romanzo scritto nel 1914 da Selma Lagerlöf (1858-1940), importante scrittrice svedese che vinse il premio Nobel nel 1909.
Jan, un povero bracciante che vive con la moglie Kattrinna in un luogo sperduto della Scandinavia, diventato inaspettatamente padre, si scopre un fortissimo attaccamento alla sua unica figlia, Klara Gulla.
Sul tema di questo grande amore, si sviluppa una storia apparentemente semplice e tuttavia precisa, nitida, intensa e ricca di emotività.
La forza dell’amore paterno, così grande e potente, diventa follia, cecità, chiaroveggenza, trasfigura una realtà troppo brutta per essere sopportata e la trasforma in sogno e poesia.
Capitoletti brevi, personaggi appena stilizzati, atmosfera fiabesca (siamo nella terra dei Troll) caratterizzano questo interessante e godibile romanzo, ma si avverte anche un profumo di nordica severità luterana, qualche nota agrodolce di moralismo didascalico alla De Amicis (in fondo il libro è stato scritto in un’epoca che non aveva ancora conosciuto due guerre mondiali e la frantumazione dei valori compiuta dal “secolo breve”) e, volendo esagerare, una pallida eco di un Re Lear, meno grandiosamente tragico, più tenero e mansueto, eppure a suo modo indimenticabile.
Ad avvolgere tutto ci sono le forze della natura, i boschi, il freddo e la luce delle terre del nord.

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A chi piacciono le storie scritte con stile d'altri tempi, a chi ha nostalgia del maestro Perboni o della maestra di una volta, a chi non dispiacciono le atmosfere magiche e a chi, dopo tanti cuor di mamma, vuole conoscere un grandissimo "cuor di papà".
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