Il tallone di ferro
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Quasi un trattato sul capitalismo
"Il tallone di ferro" mi è sembrata una storia piuttosto anomala, considerate anche le mie precedenti letture su questo autore. Pur presentandosi come una specie di distopico in cui l'entità tirannica è rappresentata proprio dal Tallone di ferro, il romanzo si presenta più come una lunga riflessione su capitalismo e socialismo, portata avanti principalmente dai dialoghi che Ernest Everhard (protagonista di questa storia) porta avanti con vari esponenti della società prettamente capitalistica in cui si ritrova a vivere. Leader del proletariato dalla cultura sconfinata e dalla spiccata intelligenza, si insinuerà nel contesto dei potenti facendosi portavoce del popolo e della sua voglia di rivalsa.
Soprattutto nella prima parte, dunque, questo romanzo si presenta come una lunga analisi politica e sociale del contesto in cui sono immersi i protagonisti; un racconto in cui sono dipinte le loro diverse reazioni, che riveleranno il loro vero carattere.
L'ingresso in scena del Tallone di Ferro (che a quanto sembra è rappresentato dalle grande associazioni, da tutta quella serie di trust che si alleeranno tra loro per la conquista completa del potere e fagocitando tutto il resto) avviene in maniera graduale, instillando nel lettore un'inquietudine che cresce sempre di più col procedere della lettura, fino ad avvolgerlo completamente e infine catapultandolo nella nuova realtà di cui sarà padrone.
Parlando della trama, dunque, occorre precisare che non ci troviamo davanti a un distopico in cui l'entità tirannica è già entrata in gioco e al potere, bensì a un racconto che ci spiega come quest'entità ha cominciato a formarsi e a impadronirsene; come una sorta di "prequel" che ci spiegasse come il Grande Fratello o una società come quella di Fahrenheit 451 abbia potuto formarsi.
Per tre quarti, la storia non presenta quasi alcun tipo di azione: gli eventi si susseguono, ma misteriosamente e sullo sfondo, perché in primo piano ci vengono presentati i punti di vista delle varie fazioni che si preparano alla guerra civile e al sovvertimento di una società che comincia a mostrare segni concreti di cedimento. L'ultima parte è quella in cui comincia l'azione, unico momento in cui vengono messe da parte le elucubrazioni politiche e i monologhi per lasciare spazio alla reazione del "popolo dell'abisso", che di quelle parole non se ne fa nulla, ma che a causa di esse si trova nella più completa miseria; una miseria che, alla lunga, non può portare ad altra conclusione se non alla violenza atta a sfuggire a una vita che non gli ha lasciato più nulla.
"È meno terribile veder morire uomini forti, che sentire un vile implorare per aver salva la vita."