Il sosia Il sosia

Il sosia

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Storia di uno sdoppiamento psichico che conduce il protagonista alla follia, Il sosia affronta un tema caratteristico dell'opera di Dostoevskij: la scissione dell'io, lo scontro tra un io impacciato, tormentato, goffo, eternamente perseguitato e un io sfrontato, aggressivo, covo dell'inespressa “bassezza” che si annida nel profondo. Il racconto si svolge in quattro giornate, con un crescendo di angoscia e frenesia che culmina nella centuplicazione dei sosia davanti allo sguardo ottenebrato del protagonista.



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Il sosia 2021-01-15 18:23:56 siti
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siti Opinione inserita da siti    15 Gennaio, 2021
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Golja contro Golja

Romanzo breve o racconto lungo appartenente alla primissima produzione del grande scrittore russo, composto un anno dopo” Povera gente”, il suo debutto letterario, che non gode però della stessa fortuna anche se, a ben vedere, rappresenta per la prima volta uno dei temi portanti di tutta la sua produzione, quello dello sdoppiamento della personalità. Embrionale in questa prova è anche l’interesse dall’autore, sempre dimostrato poi , verso la realtà sociale e, già netta, la sua vivida capacità di rappresentare la stratificazione sociale. A voler insistere, è notevole pure la tecnica di rappresentazione dei pensieri del protagonista e la capacità di gestire la voce narrante; se ricordiamo che si tratta, in fin dei conti, di un giovane scrittore alla sua seconda prova letteraria e ancora non profondamente segnato dalle successive vicende biografiche le quali tanta materia di ispirazione gli fornirono poi.
A leggerlo oggi, “Il sosia”, risulta una lettura non agevole, intrappolata la trama in un susseguirsi di albe e tramonti che scandiscono quattro giornate del protagonista Goljadkin, “il nostro eroe” , il quale - tutto sommato- altro non fa che cercare di intrufolarsi in casa delle donna che ama ma che appartiene ad un rango sociale che non prevede la sua presenza: tutto è per lui negazione. Nessuno lo riceve, nessuno lo nota, il suo è un anonimato che vive infine il paradosso, improvviso, di essere duplicato in un altro essere vivente in tutto e per tutto uguale a lui. Inizialmente, seppur stupito per l’incontro inaspettato e fonte di grande tensione emotiva, il povero Goljadkin accetta il suo sosia , lo accoglie e lo riceve perfino in casa, ma già dal mattino dopo il suo doppio lo surclassa, lo sminuisce, arrivando a sostituirsi a lui pure in ufficio e in ogni luogo della vita sociale dove Goljadkin avrebbe ambito manifestarsi, senza riuscirci. Il sosia sarà protagonista assoluto però, ben accetto da tutti, l’esatto contrario della sua matrice.
Non è semplice la lettura perché è un dato di fatto che tale rappresentazione scenica non può essere reale, tutto è creato nella mente malata del protagonista, eppure il lettore è portato a leggere la vicenda e a viverla come se i protagonisti fossero scenicamente due. Più volte mi è capitato di soffermarmi a pensare i singoli episodi mettendo in scena solo il Goljadkin senior , ma, credetemi, non è stato semplice, Il Goljadkin junior si riaffacciava prepotentemente nella scena, la faceva tutta sua, soffocava il nostro eroe e lo annientava lentamente …

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Il sosia 2020-03-19 15:38:16 La Lettrice Raffinata
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La Lettrice Raffinata Opinione inserita da La Lettrice Raffinata    19 Marzo, 2020
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In cui la doppiezza umana diventa personaggio

"Il sosia" è una versione embrionale di un thriller psicologico in cui il lettore assiste in diretta ed in prima persona alla rapida deriva del protagonista nella follia totale. Secondo romanzo di Dostoevskij, questo titolo fu fortemente criticato all'epoca della sua pubblicazione, anche dallo stesso autore; i vari tentativi di riscriverlo negli anni successivi, il cambio del sottotitolo ed il riavvicinarsi di Dostoevskij al tema del doppio in sue opere più mature, portano però a pensare che sia stato comunque un romanzo decisivo per il suo percorso letterario.
La trama si riduce ad una manciata di giorni e segue il consigliere titolare Jakòv Petrovic' Goljadkin (da me ribattezzato per praticità Golia), etichettato come mentalmente sprovveduto già dal suo cognome, che si trova ad essere affiancato da un enigmatico individuo del tutto simile a lui per aspetto, storia personale e -addirittura!- nome proprio.
Il secondo Golia differisce dal protagonista per un solo tratto: il suo carattere, che è l'esatto antipodo del timido consigliere, e viene anzi definito nel testo come

«[...] birichino, saltellante, leccapiedi, ridanciano, svelto di lingua e di piede [...]»

Questo uomo sembra deciso a sostituire l'eroe, sia sul posto di lavoro (prendendosi il merito per un incartamento del primo Golia), sia tra i suoi conoscenti allacciando con facilità rapporti nella società pietroburghese.
A dispetto di una narrazione intenzionalmente ingannevole, il lettore capisce da alcuni piccoli indizi come il secondo Golia non possa essere reale. Lo stesso protagonista a tratti si trova a porsi delle domande sulla presenza di questo rivale, determinato a prendere il suo posto,

«"Mi ha sostituito, il briccone", pensò Goljadkin, [...] "Ma gli altri non lo vedono? Pare che nessuno se ne accorga..." »

Golia è un protagonista sfaccettato, e risulterebbe anche interessante se la sua storia fosse narrata in modo maggiormente distaccato, mostrando anche il punto di vista di qualche altro personaggio. Fin dalle prime pagine, il lettore è invece in balia del suo caos mentale -anticipazione dell'imminente sdoppiamento- che lo porta a cambiare idea di continuo,

«Ma, appena Goljadkin ebbe udito i passi di qualcuno che saliva le scale, di colpo abbandonò il nuovo proponimento [...]»

Anche le manie di persecuzione sempre più pressanti non si possono cogliere al meglio,

«Aveva l'impressione che tutti quelli che si trovavano in quel momento in casa di Olsùfij Ivànovic', ecco, lo stessero ora osservando da tutte le finestre.»

il lettore deve infatti ribaltare ogni volta il ragionamento o l'azione di Golia, così da vedere la situazione per come realmente è, anziché leggerne il riflesso distorto dalla psicosi del protagonista. Tutto ciò rende difficile interpretare anche il carattere e le azioni degli altri personaggi, perché al lettore non sono mai presentati in modo genuino e diretto.
Pur trattandosi di un romanzo abbastanza breve, la storia procedere lenta ed appesantita da molte ripetizioni. Solo nella parte finale sono presenti alcune scene dal ritmo maggiormente incalzante.
Molto peculiare è la narrazione che, pur essendo ufficialmente in terza persona, diventa ben presto una "quasi prima persona", come la definisce Vittorio Strada nell'introduzione al romanzo. Il narratore infatti, lungi dall'essere oggettivo spettatore, si dimostra a più riprese pronto a patteggiare per l'eroe; si può poi notare come la tendenza alla ripetizione nelle battute di Golia sia ripresa anche nella narrazione,

«[...] tuttavia guardava ora Krestjàn Ivànovic' con inquietudine, con grande inquietudine, con estrema inquietudine.»

che risulta inoltre inframezzata dai pensieri e dalle riflessioni del protagonista, tanto da essere -come anticipato qualche riga fa- ingannevole per il lettore, che non riesce a scindere tra reale e frutto della follia di Golia.


NB: Libro letto nell'edizione BUR Rizzoli

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Il sosia 2017-03-26 18:50:32 viducoli
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viducoli Opinione inserita da viducoli    26 Marzo, 2017
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Oltre Gogol’, il vero punto di partenza di D.

'Il sosia' è un romanzo giovanile di Dostoeskij: apparve nel 1846, quando l’autore era venticinquenne e si era conquistato da poco tempo una certa fama, sia tra il pubblico sia presso i circoli letterari progressisti, con il suo primo racconto, Povera gente, giudicato come l’opera di un nuovo Gogol’, pienamente inserito nel filone della scuola naturale teorizzata da Vissarion Grigor’evi? Belinskij, il grande filosofo e critico letterario sostenitore della necessità del realismo in letteratura. Dostoevskij all’epoca professava idee progressiste, era amico di Belinskij e degli autori raccolti attorno a lui, manifestava interesse per il socialismo nascente nell’Europa occidentale.
Quando apparve 'Il sosia', tuttavia, Belinskij lo stroncò, accusandolo di essere prolisso e confuso, e soprattutto del fatto che nel romanzo predominerebbe un’atmosfera fantastica in luogo della descrizione realistica della condizione degli umili: ”Il fantastico, ai giorni nostri, può trovare il suo posto soltanto nei manicomi e non in letteratura, e di esso si devono occupare i medici, e non i poeti.” Altri critici, all’opposto, ritennero il romanzo di fatto copiato da Gogol’, ed Il sosia non ebbe una buona accoglienza neppure tra il pubblico.
L’accoglienza della critica del tempo ci serve oggi per segnalare come questa opera seconda di Dostoevskij sia di fatto la prima in cui l’autore cerca una sua strada narrativa originale, che si distacchi dal cliché della scuola naturale e nella quale introdurre quella capacità di analisi della psicologia dell’individuo che caratterizzerà la sua produzione posteriore. In altri termini, proprio gli elementi che la critica del tempo indicò come più problematici sono quelli che fanno oggi de Il sosia un tassello importante della produzione letteraria di Dostoevskij e in un certo senso ne certificano la modernità.
Prima di addentrarci nella vicenda narrata, è ancora necessario sottolineare che l’edizione definitiva del romanzo è del 1866: a distanza di 20 anni dalla prima edizione, Dostoevskij ritornò infatti su Il sosia in occasione della pubblicazione di un volume delle sue opere, intervenendo sulla sua prolissità conclamata con numerosi tagli e cambiando il sottotitolo da Le avventure del signor Goljadkin in Poema pietroburghese. Questo fatto segnala che Dostoevskij, nel pieno della maturità (nel 1866 esce Delitto e castigo), attribuisce una precisa importanza a questo suo romanzo giovanile, tanto da depurarlo degli elementi che ritiene non adeguati rispetto alla sua attuale sensibilità e da conferirgli, attraverso il cambiamento del sottotitolo, un diverso collocamento prospettico, più corale rispetto alla vicenda di un singolo personaggio. È questa edizione definitiva che viene proposta nell’edizione Feltrinelli da me letta: seppure arricchito da una ottima prefazione di Olga Belkina, questo volume sconta quindi il peccato originale di non permettere al lettore di conoscere la prima stesura, e quindi di non consentirgli un incontro con il vero giovane Dostoevskij.
A dispetto del sottotitolo definitivo, la vicenda ha come protagonista assoluto il Signor Jakov Petrovi? Goljadkin. Egli è un modesto impiegato dell’amministrazione statale, che vive a Pietroburgo in un piccolo e squallido appartamento con il suo domestico Petruška. Lo incontriamo un mattino mentre si prepara ad uscire di casa per recarsi ad un pranzo dato da un suo superiore in pensione, e suo antico protettore, in occasione del compleanno della figlia. Goljadkin ne è invaghito (o meglio, vorrebbe sposarla), ma sospetta di avere un rivale in un giovane, nipote di un altro suo superiore, che sta facendo carriera nell’amministrazione. Da subito appaiono gli elementi caratteristici della personalità di Goljadkin: è insicuro, si esprime in modo prolisso e confuso, ritiene di essere una persona retta ed onesta che si mette la maschera solo a carnevale ed è convinto di essere circondato da nemici che tramano per rovinarlo. Nel corso del racconto si scoprirà ciò che è facilmente intuibile da subito, cioè che Goljadkin è in realtà un personaggio meschino, che maltratta il domestico mentre è untuosamente deferente con i superiori, ma anche che questa meschinità è in buona parte indotta dalla scarsissima considerazione che gli altri hanno di lui. Lentamente ma inesorabilmente apparirà sempre più chiaro il suo stato di confusione mentale, che inizia ad emergere dal colloquio con il suo medico, dal quale si reca subito dopo essere uscito di casa in ghingheri, su di una carrozza noleggiata che attira l’attenzione di alcuni giovani colleghi d’ufficio e di un suo superiore.
Quando, dopo alcune altre avventure, giunge nella casa dove si svolge il pranzo, non viene fatto entrare: ritenendo ciò inspiegabile, entra di soppiatto dalla scala di servizio e viene buttato fuori senza troppi complimenti dal maggiordomo. Mentre, distrutto e facendo ragionamenti sconnessi, torna correndo verso casa nella fredda e fangosa notte di Pietroburgo, incrocia un altro passante, che in breve si rivela essere il suo sosia. Questi entra come nulla fosse a casa sua, ed il mattino seguente Goljadkin lo trova in ufficio, venendo a sapere che è stato appena assunto, che proviene dalla sua stessa città ed ha il suo stesso nome. Mentre Goljadkin è sconvolto dalla cosa, i suoi colleghi, che pure hanno notato una certa somiglianza tra i due, non ritengono vi sia nulla di straordinario nella vicenda.
All’uscita dall’ufficio Goliadkin-junior (così lo chiama spesso l’autore) chiede aiuto al nostro eroe, non sapendo dove andare a dormire essendo da poco arrivato in città. Goljadkin lo invita a casa sua per la notte, gli offre la cena e i due mentre bevono abbondantemente si fanno confidenze reciproche e giurano di essere amici.
Già la mattina successiva in ufficio, però, Goljadkin si rende conto che il suo sosia ha un diverso atteggiamento: lo evita e giunge a rubargli una pratica per fare bella figura al suo posto con il direttore. È l’inizio di una serie di avventure che vedono Goljadkin-junior entrare nelle grazie di colleghi e superiori, facendo fare al vero Goljadkin una serie di figure meschine. Invano il nostro eroe cercherà di spiegare ai suoi superiori ciò che sta accadendo: il suo stato di confusione mentale aumenta sempre più, e questi ultimi, che già ne avevano come detto scarsissima stima, si convincono che è un mentecatto: il dramma di questo piccolo uomo si compie così inevitabilmente, e la società lo espelle definitivamente dal suo corpo.
L’elemento portante del romanzo è, come ovvio, quello del doppio. Il tema del doppio in letteratura non era nuovo ai tempi del giovane Dostoevskij, essendo stato usato sin dall’antichità: in genere, però, sin dal Sosia originale, nell’Anfitrione di Plauto, le due facce del doppio servono a separare visivamente aspetti contrastanti della personalità, a rendere conto della sfaccettatura del carattere umano. Ciò è ancora più vero se si pensa ad alcuni dei più celebri doppi della letteratura moderna, quali le figure del Dr Jekyll e Mr Hyde oppure Dorian Gray ed il suo ritratto, oppure ancora le due metà del Visconte dimezzato di Calvino. Nel caso del romanzo di Dostoevskij, ciò non è vero od almeno, secondo la mia interpretazione, è vero solo in parte. Entrambe le personalità di Goliadkin sono infatti fortemente sfaccettate, entrambe sono un mix inscindibile di aspetti positivi (pochi) e meschinità, si assomigliano molto anche come carattere, e se c’è una differenza tra i due è essenzialmente data dal fatto che Goljadkin-junior riesce nelle cose (rapporti sociali, successo professionale, considerazione altrui) a cui Goljadkin aspira maggiormente. Il punto centrale è però che vi riesce utilizzando gli stessi metodi che utilizzerebbe il vero Goljadkin, se ne fosse capace, se avesse la necessaria lucidità mentale. Il sosia è quindi una proiezione della mente malata di Goljadkin, anche se Dostoevskij si diverte a seminare il racconto di indizi che ci inducono a pensare a volte all’esistenza fisica del sosia, altre volte al suo essere solo il parto della fantasia del protagonista. Il sosia è quindi ciò che Goljadkin vorrebbe essere, ma questo suo voler essere diverso non riguarda alcun connotato morale della sua personalità, riguarda solo la coscienza della propria incapacità ed irresolutezza. Dostoevskij questo tratto della personalità di Goljadkin lo sottolinea quasi ossessivamente: in ogni situazione in cui deve prendere una decisione o deve giudicare un fatto od una persona, durante i lunghi e sconnessi monologhi interiori che ci trasmettono i suoi pensieri, Goljadkin oscilla costantemente tra una tesi e il suo opposto, senza mai prendere una posizione netta, e quando agisce si pente immediatamente di ciò che ha fatto, rendendo inefficace la sua azione con un comportamento non coerente. Al contrario, Goljadkin-junior è deciso, coerente e conseguente, e l’odio/amore di Goljadkin nei suoi confronti è dettato proprio dal fatto che quest’ultimo riconosce in lui ciò che vorrebbe essere ma non riesce ad essere.
L’introduzione del doppio, di questo tipo di doppio tutto sommato inusitato, è a mio avviso l’elemento che sgancia il romanzo dal solco della scuola naturale di stampo gogoliano e lo proietta in un universo narrativo che, seppure in nuce, è prettamente dostoevskijano. Al proposito ci ricorda Olga Belkina che quando Dostoevskij lesse a Belinskij i primi quattro capitoli del romanzo, il critico ne fu entusiasta, salvo poi cambiare radicalmente idea all’uscita dell’intero romanzo. Leggendo questi primi capitoli si è infatti portati a pensare, sia per l’ambientazione sia per il tono generale del racconto, che Goljadkin sia un personaggio gogoliano, un umile le cui disgrazie e la cui inadeguatezza derivano in buona sostanza dalle prevaricazioni della società in cui vive. È proprio con l’entrata in scena del sosia nel quinto capitolo che ci rendiamo conto che non è del tutto così, che Goljadkin non è schiacciato dalla società, dal suo essere un piccolo impiegato vessato dai suoi superiori, quanto piuttosto un personaggio schiacciato dalla sua incapacità, in quanto idiota, di adeguarsi al grado di conformismo, alla cattiveria che la società richiede a chi ne voglia far parte. Questa inadeguatezza, che egli vede in tutta la sua gravità dal momento in cui il suo sosia gli mostra come dovrebbe fare, se solo ne fosse capace, lo porta alla pazzia. In altri termini Dostoevskij a mio avviso ribalta il paradigma teorico della scuola naturale: l’umile non è vittima della società perché questa impedisce l’espressione delle sue virtù, ma perché non riesce ad adeguarsi al grado di cinismo ed anche all’esteriorità che richiede. Nel suo primo colloquio con il medico, Goljadkin esprime, come al solito confusamente, questo concetto, laddove dice che nell’alta società bisogna ”saper lustrare il parquet con gli stivali" e si pretendono "i motti di spirito… e i complimenti sdolcinati”: il dramma di Goljadkin è che, malgrado ciò che afferma più volte, lustrare il parquet con gli stivali è la sua massima aspirazione esistenziale.
Questa visione già pienamente dostoevskijana dell’individuo e del suo rapporto con la società è accompagnata da una capacità di trasmettere al lettore la psicologia del protagonista che prefigura i tratti più notevoli e originali della letteratura matura dell’autore. Soprattutto, come detto, l’ampio uso di monologhi interiori, che cresce all’aumentare della confusione mentale del protagonista, il divenire sempre più sconnesso e frammentato dei suoi pensieri, la criticata prolissità che si rivela lo specchio del progressivo distacco dalla realtà di una mente malata, sono altrettanti elementi a mio avviso della modernità del testo, cui fa da sfondo una Pietroburgo fredda, caliginosa, umida, fangosa e oscura, altro elemento importante per la resa dell’atmosfera complessiva della triste storia del Signor Goljadkin.
'Il sosia' rappresenta quindi a mio avviso il vero punto di partenza della letteratura di Dostoevskij ed un romanzo di cerniera tra due epoche ben distinte della grande letteratura russa del XIX secolo. Il giovane autore attraverserà fasi drammatiche ed approderà a lidi ideali affatto diversi da quelli che lo ispirarono nella scrittura di questo romanzo, ma alcuni dei paletti da lui qui posti costituiranno il recinto entro il quale pascoleranno i grandi romanzi della maturità. Si può quindi oggi tranquillamente dire che sbagliava Belinskij criticando 'Il sosia' per il suo essere fantastico: Dostoevskij iniziava invece allora a percepire una realtà diversa ma non meno vera di quella tipicamente 'naturale' di Belinskij.

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Povera Gente di Dostoevskij e gli altri romanzi del nostro.
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Il sosia 2015-11-08 14:00:10 sonia fascendini
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sonia fascendini Opinione inserita da sonia fascendini    08 Novembre, 2015
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Due, dieci, cento Goljadkin

Un impiegato di Pietroburgo, già con qualche problema psichiatrrco, ma poco incline a seguire le indicazioni del suo medico viene umiliato durante la festa di compleanno della sua amata. Cacciato in malomodo non capisce quale sia la sua colpa. Così si inventa un perfetto sosia, del tutto uguale a lui nell'aspetto e nel nome. E' diverso da lui invece per il carattere. Frizzante, intraprendente, abile affabulatore, quando è necessario burlone e spiritoso. Diventa però anche il feroce persecutore del nostro eroe, che nel giro di quattro giorni perde definitivament il controllo di sè. O forse grazie al suo doppio sarà finalmente curato.
Il nostro doppio, quell'omino cattivo che fa le cose che noi vorremmo, ma non abbiamo il coraggio di fare è un tema sempre intrigante. Dostoevskij qui lo porta al'estremo.I discorsi deliranti, che il protagonista fa tra di sè, i progetti che pianifica per sconfiggere il suo menico sono certamente delle estremizzazioni di una mente malata. In realtà penso però che questo racconto avrebbe potuto essere inserito anche al giorno d'oggi. Gli episodi di cronaca di persone che uccidno per sciocchezze, girano nude per strada, danno in escandescenze senza motivo in luoghi pubblici potrebbero anche essere spiegate come tentativi di difesa da un doppione cattivo e dispettoso.
Questo fa parte di uno dei libri dell'autore russo certamente profondi ma anche abbastanza complessi da seguire. ritengo che merti di esere affrontato, ma con calma, magari a tappe, altrimenti si corre il rischio di perdersi nei meandri della mente del protagonista.
Interessante il confronto con "povera gente" pubblicato pochi mesi prima del "sosia", ma tanto diverso sia nel tema sia nello stile letterario.

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A chi apprezza tutta le serie del sottosuolo
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Il sosia 2015-06-22 18:15:41 silvia71
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silvia71 Opinione inserita da silvia71    22 Giugno, 2015
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Il sosia

"Il sosia" è uno dei romanzi più complessi di Dostoevskij.
Il personaggio si sdoppia portando alla luce un alter ego bisbetico, invadente e maligno che spunta tra le pagine in sordina per poi prendere il sopravvento su ogni concetto di logica e razionalità.
La lettura è una strada in salita, costellata da burroni profondi dove non filtra la luce della ragione.
I pensieri del protagonista si inanellano e si torcono su se stessi fino a divenire un labirinto asfissiante per chi legge.
Dopo il primo tratto narrativo è d'obbligo chiedersi quale fosse l'intento originario dello scrittore e se il risultato rispecchi le aspettative iniziali dello stesso.
Questione ardua da definire, perché si stenta a capire se l'eccessiva natura contorta del costrutto narrativo sia una scelta consapevole o se la rappresentazione dello sdoppiamento di personalità del protagonista sia sfuggito di mano.

L'argomento da trattare non è affatto semplice, come tanta parte di altra letteratura ha dimostrato nei tempi, motivo per cui è comunque interessante avvicinarsi alla lettura del romanzo per capire l'approccio del russo al tema.

Trovo preziosa e degna di nota una chiave di lettura all'opera di Dostoevskij suggerita da Stefan Zweig nel suo saggio sull'autore, in cui mette in luce le affinità degli stati d'animo dell'autore russo, condizionati anche dalla sua patologia neurologica e dalle problematiche personali, con le opere partorite, evidenziando come momenti di lucidità e di annebbiamento potessero riflettersi sugli spunti narrativi.
Sia che si tratti di opera volutamente cervellotica sia che manchi involontariamente di linearità narrativa sia che rispecchi uno stato d'animo tormentato di chi scrive, rimane un romanzo da conoscere.

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Il sosia 2013-05-11 03:29:46 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    11 Mag, 2013
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Il doppio secondo la prospettiva Nevskij

Jakov Petrovic’ Goljadkin è consigliere. Lavora al dipartimento e conduce una vita da burocrate, troppo seria e timorata. Al punto che gli si consiglia di “non evitare la vita allegra; frequentare gli spettacoli e il club e in ogni caso non essere nemico della bottiglia. Non vi giova restarvene in casa…”. Tutto ciò fino a che, dopo una delusione d’amore, s’imbatte … in se stesso. In una fase della vita nella quale si rende conto che “non soltanto anelava a fuggire da se medesimo, ma addirittura ad annientarsi, a non esistere più, a polverizzarsi”. In una Pietroburgo ove “il vento urlava nelle strade desolate, sollevando al di sopra delle catene del ponte l’acqua scura della Fontanka e sfiorando minaccioso i sottili lampioni del lungofiume, che a loro volta rispondevano ai suoi ululati con scricchiolii acuti e penetranti…”

Inizialmente il sosia è poco più che una sensazione: “aveva l’impressione che qualcuno … fosse lì ritto accanto a lui, al suo fianco, appoggiato come lui al parapetto del lungofiume…” Poi diventa una consapevolezza: “L’amico della notte non era altri che lui stesso, Goljadkin, un altro Goljadkin in tutto identico a lui; era, in una parola, ciò che si chiama il proprio sosia, sotto tutti i rapporti…” E, mantenendo una valenza psicologica (“Colui che ora stava seduto dirimpetto a Goljadkin era il terrore … la vergogna … l’ossessione di ieri … era in una parola lo stesso Goljadkin”) l’entità aliena fa sentire Goljadkin come “un uomo alle cui spalle un monello si è divertito a puntargli contro uno specchip ustorio”.
Poi la presenza del sosia si fa sempre più ingombrante, acquisisce vita propria e viene percepita anche dagli altri, a partire dal domestico Petruska. Da quel momento, accanto a “Goliadkin uno” e in antitesi con la sua natura mite e rispettosa, “Goliadkin due” provoca la sua controfigura, si misura con lui, lo tradisce: dispettoso, arrivista e “leccazampe”, perfino insolente.

Con il tema del doppio Dostoevskij anticipa tutti: Freud (che nel doppio ravviserà un elemento atto a scatenare il perturbante), la letteratura psico-sociologica che descriverà nevrosi, alienazioni e reificazioni di ogni genere, la letteratura di tensione che, sull’archetipo dei gemelli, quante storie ha imbastito? Si pensi, per esempio, al tema dell’abisso, che ne “Il sosia” viene così rappresentato: “La sua condizione in quel momento rassomigliava alla condizione dell’uomo ritto su un precipizio spaventoso, mentre la terra si apre sotto di lui e già frana, già si muove, sussulta per l’ultima volta, crolla, lo trascina nell’abisso; e intanto l’infelice non ha più né la forza né la fermezza d’animo di balzare indietro, di distogliere gli occhi dal baratro spalancato; l’abisso lo attrae ed egli finalmente vi si slancia, affrettando egli stesso il momento della sua rovina”.

Romanzo riuscito? Difficile dirlo. Io l’ho trovato molto interessante, ma la lettura non è stata per niente facile.
Certamente il tema della follia è trattato in modo originale: Dostoevskij sembra quasi che si collochi all’interno, nel gorgo dei misteri della mente, e produce un’opera ove linguaggio e costruzione delle frasi rispecchiano convulsione e sbalzi della malattia in progresso.
Lo stesso Dostoevskij ripose molte aspettative in questo suo secondo romanzo, dopo il successo di “Povera gente”. Più tardi, al culmine del successo, dichiarò di non aver mai sviluppato un’idea più seria di quella posta alla base del “Sosia”, anche se l’attuazione di quell’idea - così affermò l'autore stesso - non gli riuscì.

Bruno Elpis

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... Follia o La psichiatra.
Ma il genere è tutt'altro.
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Il sosia 2013-03-27 17:18:48 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    27 Marzo, 2013
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Progressiva alienazione

È una fredda mattina d’autunno a Pietroburgo. Il consigliere titolare Jàkov Petròvic Goljàdkin è alle prese con un difficile risveglio in cui non riesce a distinguere tra sogno e realtà. Ci mette un po’ a riprendersi ma si alza dal letto con la migliore predisposizione d’animo. Lui è puro, mondo e netto da ogni macchia, schietto, amorevole e cordiale. E’ fiero di non essere un intrigante, se ne sta per conto suo e non prova che sprezzo per i nemici. Oggi per il nostro eroe è un giorno speciale: ha affittato una carrozza per l'intera giornata, ha a disposizione un cospicuo mazzetto di banconote e vanta un importante invito in casa del suo benefattore, il consigliere di stato Olsùfij Ivànovic Berendèev, per festeggiare il compleanno della figlia di questi, Klàra Olsùf’evna, di cui è innamorato. Ma le cose non vanno per il verso giusto, i suoi nemici gli stanno giocando un brutto tiro. Berendèev si rifiuta di riceverlo, lui entra comunque ma tutti gli si mostrano ostili, viene sbattuto fuori, corre a casa in preda al panico e nel delirio si imbatte in una strana persona, un individuo singolare che da questo momento in poi trasformerà radicalmente la sua esistenza. Cos'ha di particolare costui? Il suo nome è Jàkov, il suo patronimico Petròvic, il suo cognome Goljàdkin, proviene dalla sua stessa città, viene assunto nel suo stesso ufficio e per giunta gli somiglia in maniera strabiliante, come fosse il suo gemello, come fosse la sua stessa immagine riflessa in uno specchio, come un perfetto sosia. Tra i due nasce subito un’amicizia che pare sincera. Goljàdkin Junior sembra una persona a modo, educata, cortese, timida, fa quasi tenerezza. Jàkov Petròvic lo accoglie in casa sua, generoso e prodigo di affetto. Ma dopo poco il sosia comincia a mostrare un altro carattere, rivelandosi un vero e proprio antagonista nei confronti del nostro eroe, umiliandolo, coprendolo di ridicolo davanti a colleghi, superiori e conoscenti e riuscendo lì dove lui ha fallito: fare carriera e farsi ben volere da persone importanti e potenti. Dostoevskij ci guida in questo incredibile viaggio attraverso la progressiva alienazione della mente del protagonista, raccontando con grottesca ironia, stile poetico e una magistrale analisi psicologica il suo delirio e lo sdoppiamento della sua personalità. Il sosia infatti non è che l’incarnazione stessa della malattia mentale e della mania di persecuzione di Jàkov Petròvic, che crea nella sua mente un vero e proprio alter ego che possiede tutti i difetti, tutti gli aspetti negativi che egli ha sempre riscontrato e aspramente criticato negli altri, negli intriganti, nei suoi nemici, nelle persone che usano i mezzi più infimi pur di farsi strada. La sua pazzia sembra nascere dall’insoddisfazione, dalla frustrazione, dal desiderio di essere migliore che si scontra con la consapevolezza di essere invece una persona insignificante. Il protagonista peggiora di pagina in pagina, confonde l’immaginazione con la realtà, cambia continuamente opinioni e atteggiamenti, non riesce a comprendere né la sua situazione né gli effetti delle sue azioni. Tutto ciò non può che portarlo a sprofondare definitivamente nel baratro della follia. In questo romanzo l’autore tratta il tema a lui tanto caro della difficile condizione dell’uomo, qui schiacciato da un sistema burocratico che lo relega ai margini della società e che ne frantuma i sogni e le aspirazioni, portandolo ad odiare non solo chi gli sta intorno ma perfino se stesso. Ma sotto quest’aspetto la Russia zarista del diciannovesimo secolo non sembra poi troppo differente dall’odierna società occidentale, né sembra essere migliorata più di tanto la situazione degli individui che anche oggi vedono troppo spesso frustrate le proprie ambizioni e diverse volte constatano tristemente di possedere loro stessi i difetti che tanto aborrano negli altri.

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Il sosia 2012-12-08 12:12:29 Marta93
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3.8
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
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Marta93 Opinione inserita da Marta93    08 Dicembre, 2012
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Due sosia in conflitto

Come segnalato dalla copertina stessa, Il Sosia è inserito propriamente nella sezione dei classici moderni, ovvero una serie di racconti scritti in epoche passate (per Il Sosia si parla di 1846) ma con temi e circostanze che ricalcano pienamente anche situazioni attuali.
Il tema principale, ovvero la doppia personalità del protagonista Goljadkin, diviso in ciò che lui è, ovvero timido e impacciato, e ciò che invece vorrebbe essere, cioè scaltro e ambizioso, può essere riferito anche alla società attuale (come probabilmente a ogni società passata) e a ogni individuo stesso.
La situazione di Goljadkin è portata all’esasperazione: viene a crearsi un nuovo individuo, uguale per ogni aspetto fisico al cosiddetto “Goljadkin numero uno”, ma opposto nel comportamento e nelle attitudini e per di più nemico e ostacolo del protagonista. Questa proiezione mentale lo porta a distruggere il proprio mondo reale: Goljadkin perde la reputazione di bravo cittadino, seppur sempre stato piuttosto particolare, venendo invece considerato inaffidabile, pericoloso e bugiardo. Perde il posto di lavoro, ogni contatto con la buona società e persino il domestico Petruska.
Il racconto è composto per la maggior parte da dialoghi e dai pensieri di Goljadkin, il quale si sforza di trovare una soluzione al problema del suo doppio, ma conclude sempre con l’arrendersi e sperare che la situazione vada per il meglio o si sistemi senza nessun particolare stratagemma. Il Protagonista si sforza di prevedere gli avvenimenti, di valutare ogni opzione dei suoi piani quasi mai messi in pratica nel modo corretto e sembra che passi gran parte del racconto ad arrovellarsi invece di agire.
Anche i dialoghi indicano la sostanziale differenza tra i due sosia in conflitto: il numero uno spesso balbetta, ha difficoltà a seguire il filo del suo stesso discorso, tende a ripetere innumerevoli volte il nome del suo interlocutore in segno di rispetto e inferiorità. Il secondo invece è carismatico, eloquente e, seppur servizievole, sicuro di sé e determinato.
Lo stile è semplice, non vi sono parole eccessivamente ricercate ma, spesso, soprattutto nelle sequenze riflessive, manca di scorrevolezza, forse a sottolineare la confusione mentale di Goljadkin stesso.
Il finale è piuttosto enigmatico: non viene svelato chiaramente se l’esistenza del sosia sia reale o solo immaginata da Goljadkin stesso, ma, siccome sembra essere poi portato in manicomio, credo che il suo fastidioso doppio sia solo frutto della sua immaginazione e paranoia. La mancanza del tradizionale lieto fine sembra lasciare il discorso incompleto: il protagonista ha sofferto e passato numerose difficoltà senza un capovolgimento finale, senza una ricompensa o per lo meno un ritorno alla situazione iniziale.
L’amarezza e l’insoddisfazione che accompagnano Goljadkin da inizio libro rimangono fino e, soprattutto, all’ultima pagina, trasmettendosi al lettore, che probabilmente sperava in un finale meno crudele per lo sfortunato eroe pietroburghese.

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