Il sogno di un uomo ridicolo
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Un sogno
Quando ci si pone davanti a questo Gigante dell'umanità e come quando si è davanti a un opera del Caravaggio o di Michelangelo. Non si può che arricchirsi e credere che da qualche parte un Dio abbia dato la nascita a certi geni per spingere l'uomo verso la bellezza, la grandezza, dargli un segno del proprio genio.
E' come una melodia di Mozart, un opera di Beethoven, colpiscono dirette, invado tutto l'essere, trascinano verso la bellezza, il sublime. Si ha la sensazione che il tempo si arresti e che queste opere siano veramente immortali, attraversino secoli epoche popoli, ma il messaggio è sempre lo stesso: solo l'arte ci può salvare.
Le opere di questo immenso scrittore (a mio avviso il più grande insieme al buon Tolstoj) sia che brevi, sia che siano mattoni che incutono timore, hanno una caratteristica pazzesca: dalla prima riga della narrazione fino alla sua conclusione, portano il lettore nella mente dei personaggi, gli fanno sentire i luoghi in cui si svolgono le scene, come se le vivesse direttamente, ne avvertisse il senso delle cose, come se case, abitazioni, immense steppe si materializzino tra le mura della propria casa.
L'uomo fondamentalmente per Fedor è ridicolo. Ciò che fa è destinato al fallimento, alla sconfitta.
Questo perchè la realtà che lo circonda è pregna di violenza, sopraffazione, vanità, idiozia, povertà e laddove si materializza la ricchezza materiale essa è messa alla berlina dalla stoltezza del ricco, dalla sua sete di sottomettere il prossimo per puro gioco personale, per diletto.
Non si salva nessuno.
In questo breve racconto il protagonista è già dalle prima fredde, spietate pagine destinante a soccombere a se stesso e al proprio essere un essere ridicolo per se stesso e per gli altri.
Il suicidio come mezzo per spegnere l'incubo in cui è sprofondata la sua vita.
Ma poi quando tutto sembra volgere al peggio, scorgere un barlume di salvezza, rappresentato da un essere puro che forse potrà dare un nuovo significato a quello che rimane della sua vita.
C'è sempre una via di salvezza basta riuscire a scorgerla, anche se per gli esseri ridicoli spesso è impossibile intravedere un'aurora tra le tenebre.
Il testo è del 1877, ma sfido chiunque a dire che sentimenti, persone, pensieri, azioni, debolezze non siano le stesse dell'uomo moderno. Come se l'umanità abbia dei tratti unici e peculiari che attraversano i tempi e si ripresentano sempre senza confini di luoghi, culture, epoche. La grandezza di questo autore è proprio questa: l'analisi chirurgica della psiche umana.....precursore della psicanalisi e lo stesso Freud abbia elaborato le proprie maggiori teorie proprio dallo studio del Genio russo (come per esempio nel testo "Dostoevskij e il Parricidio").
Indicazioni utili
Delitto e castigo
Fratelli Karamazov
L'idiota
L'eterno Marito
I demoni
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il ridicolo senza riso
ANTICIPAZIONE TRAMA
Non il sogno, non la coscienza, non il caso fortuito sono le cause che determinano il cambio di rotta di un uomo privo di nome, di un “uomo ridicolo”. Tutto quello che apprendiamo inizialmente dal personaggio di questo racconto quasi fiabesco è la sua ridicolaggine, la fredda inettitudine e la reclusione a cui si è auto- rassegnato cinicamente. È un uomo ridicolo e indifferente. “D’un tratto sentii che mi sarebbe stato indifferente che esistesse il mondo o che non ci fosse nulla in nessun posto. Io presi a sentire ed avvertire con tutto il mio essere che in mio dominio non c’era nulla.”
È un’indifferenza fatale quella del nostro uomo ridicolo, che lo spinge a ritenere il suicidio come l’ extrema ratio e come fuga definitiva dal nulla e dall'ineluttabilità dell’indifferenza del mondo. Ma tutto d’un tratto l’indifferenza viene percossa e salvata dal dolore; il dolore è l’unico capace di riesumare dal sonno dell’indifferenza. Nel mondo visionario e onirico di Dostoevskij, ci viene raccontata la vita di un’umanità perduta, senza macchia, senza vergogna e inconsapevole della bellezza della menzogna umana. Dopo l’arrivo dell’uomo ridicolo le anime caste vengono pervertite dall'indifferenza dell’uomo. Un’indifferenza che genera menzogna, che a sua volta genera crudeltà.
Quando L’uomo ridicolo si sveglia, di fronte al cambio di paradigma, da un mondo integro e inviolato, allo stesso a cui egli era abituato, rinuncia al suicidio e si eleva a rivelatore della verità.
Dostoevskij ha una scrittura magnetica, il tormento che affligge il personaggio è il tormento collettivo; la scienza, l’università, la cultura, il bisogno di cultura, di lettura, di apprensione, ad un tratto diventa indifferente e, quasi soporifero. Ecco dunque che l'autore sembra domandarci come ci si salva da quest’indifferenza, anticipandone la risposta. è un racconto reazionario e volutamente saggio, a tratti evangelico.
Indicazioni utili
Il sogno di un cattivo maestro
** ATTENZIONE - ANTICIPAZIONE DELLA TRAMA **
Il sogno di un uomo ridicolo è un vero e proprio manifesto esistenziale e politico, attraverso il quale un Dostoevskij che ha alle spalle quasi tutti i suoi grandi romanzi (il racconto è del 1877) ci spiega la sua visione del mondo e le motivazioni del suo essere scrittore.
Il breve racconto, scritto come al solito in prima persona, narra di un uomo ridicolo che, essendo giunto alla totale indifferenza nei confronti della vita e degli altri, essendosi rinchiuso sempre più in se stesso, decide, osservando una stella in una fredda sera pietroburghese di novembre, di rientrare a casa e di uccidersi con una rivoltella comprata qualche tempo prima proprio per quello scopo. Mentre rientra a casa, una bambina in lacrime lo accosta chiedendo aiuto per la mamma: il protagonista, preso dalla sua decisione di farla finita, la scaccia. Questo episodio tuttavia lo colpisce, e mentre siede sulla poltrona di casa con accanto la rivoltella, inizia a riflettere sul fatto che la sua indifferenza non è totale, che per quella bambina ha provato dolore e vergogna per la sua reazione. E’ ancora deciso ad uccidersi, ma qualcosa in lui e nelle sue certezze si sta incrinando, e finisce per addormentarsi.
Nel sonno sogna di spararsi (al cuore e non alla testa, metafora importante) e di essere cosciente della sua sepoltura, dalla quale viene tratto da un essere angelico che lo porta in un lontano pianeta che è la copia della terra. Qui vivono uomini perfettamente incoscienti e felici, in piena armonia con sé stessi e con la natura: un vero e proprio Eden nel quale non c’è conoscenza data dalla scienza, c’è amore ma non sensualità. Inevitabilmente, però, l’arrivo del protagonista porta il germe della contaminazione con la storia dell’uomo, ed anche in quella società sino ad allora inconsapevolmente felice sorge la sensualità, che genera il desiderio, l’invidia, le divisioni in gruppi, la scienza, le religioni. Scoppiano le guerre in nome della giustizia, e tanto più ci si allontana dallo stato primigenio tanto più si costruiscono sovrastrutture per cercare di ritornarvi; in una parola quel mondo si trasforma rapidamente nel nostro mondo, dove – come dice Dostoevskij – …" il sapere è superiore al sentimento, la coscienza della vita è superiore alla vita." Il protagonista si sveglia, allontana da sé la pistola e decide di andare per il mondo a predicare la verità che ha visto in sogno. Per prima cosa troverà la bambina che la sera prima ha scacciato.
Come evidente dal riassuntino, il racconto è un vero e proprio apologo, che ci presenta la concezione che il nostro aveva del mondo e della missione dello scrittore. Il mondo è dominato dal male, e questo male è essenzialmente il risultato della sostituzione del desiderio di conoscenza all’armonia primigenia. Compito dell’intellettuale è quindi diffondere e predicare questa verità, la possibilità del ritorno all’umanità bambina: esso sarà per questo deriso e considerato pazzo, ma non deve desistere da questa che è la sua missione.
Emerge a mio avviso in questo racconto la matrice fortemente reazionaria del pensiero Dostoevskijano. Se da un lato è infatti condivisibile la critica al predominio della scienza sulla vita, dall’altro non è certo attraverso il vagheggiamento di un eden primigenio che si può pensare di dare una alternativa credibile a questo stato di cose. Il primo ad esserne cosciente è lo stesso Dostoevskij, che si fa alfiere di un intellettuale alieno, pazzo, felice della e nella sua impotenza. Il suo pensiero somiglia terribilmente a quello di tanti utopisti che nel corso della storia hanno esaltato la felicità perduta senza fornirci strumenti per cambiare la realtà in cui viviamo. Somiglia al pensiero di quelli che negli anni ’70 sono andati a vivere in Toscana nelle comuni mentre la società virava verso il devastante liberismo in cui ci troviamo immersi. Credo sia veramente giunto il tempo di riaffermare che è solo attraverso una serrata critica della società e della sua organizzazione, che ne evidenzi le vere contraddizioni – a partire da quelle di carattere economico – che forse potremo uscire dal pantano in cui ci troviamo. Leggiamo quindi con piacere Dostoevskij, ma non ergiamolo a nostro maestro.
Indicazioni utili
Sono un uomo ridicolo
“Tutto è indifferente.”
Quando hai deciso che la tua vita non vale niente, aspetti solo un cielo stellato che ti convinca a farla finita. Non ti aspetteresti mai che una bambina in lacrime qualsiasi possa risvegliarti dal sonno della realtà. In una sera come tutte le altre, ormai pronto a togliersi la vita, un uomo viene inspiegabilmente toccato da un dolore che decide di non aiutare, ma che porterà nel cuore. Un dolore che lo fa sprofondare in un sogno rivelatore: il suicidio si è compiuto, ma il protagonista viene trasportato in un mondo fantastico di amore, felicità e libertà. E’ il paradiso terrestre dell’età dell’oro, mitico periodo in cui l’uomo avrebbe conosciuto la felicità ignorando il male. E’ la negazione dell’homo homini lupus hobbesiano.
“Io li ho pervertiti tutti!”
Un uomo che ha vissuto sulla Terra non può credere che esista un mondo senza sofferenza. Quale felicità può esistere senza il dolore? Certo solo un surrogato, non la vera felicità. E quando l’età dell’oro decade tra delitti e menzogne? Il fondamentale problema di quest’opera, ossia il tragico rapporto con il male, viene risolto dall’uomo ridicolo nel modo più antico di tutti: “La cosa principale è: ama gli altri come te stesso, ecco che cosa è importante, ed è tutto, non occorre proprio nient’altro: sarebbe subito possibile mettere tutto in ordine. Ma questa è soltanto una vecchia verità, che è stata ripetuta e letta un miliardo di volte, ma che non ha messo radici! ‘La coscienza della vita è superiore alla vita, la conoscenza delle leggi della felicità è superiore alla felicità’, ecco quello che si deve combattere.”
L’uomo può essere felice anche sulla Terra, nel momento in cui, superato il “Tutto è indifferente”, sarà in grado di praticare quotidianamente la benevolenza verso l’altro, l’amore etico che è l’unica potenza in grado di liberare l’umanità dallo sterile dolore.
La felicità perfetta di Dostoevskij non è esclusivamente pura filantropia, ma un cammino interiore di sublimazione del dolore personale verso una più alta finalità: risolvere il senso drammatico della libertà e trovare il coraggio di essere liberi, liberi di essere felici. Solo così l’umanità potrà uscire dalla pazzia che imperversa per il mondo e lo obnubila, al punto che solo in sogno si può conoscere una Verità così semplice ma così trascendente che chi la possiede è un uomo ridicolo:
“Sono un uomo ridicolo. E ora mi danno anche del pazzo. Potrebbe essere una promozione se per loro non rimanessi comunque un uomo ridicolo. Ma ora non mi arrabbio più, ora li trovo tutti gentili, perfino quando ridono di me, anzi proprio allora li trovo particolarmente gentili. Se non mi sentissi così triste guardandoli, io stesso mi metterei a ridere con loro, non di me, ma per piacere loro. Mi sento triste perchè essi non conoscono la verità, mentre io si. Oh che terribile peso è essere il solo a conoscere la verità! Ma essi non lo capirebbero. No, non lo capirebbero.”
Ma l’uomo ridicolo ha visto la Verità. La sua anima è piena. La sua vita ha un senso. La bambina non deve piangere più.
Nulla è indifferente.
L’amore è libertà. La libertà è felicità. L’età dell’oro non è Utopia, perché l’età dell’oro è dentro l’uomo, pronta ad esplodere.