Il sindaco di Casterbridge
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L'uomo che vendette sua moglie per cinque ghinee
Non fatevi ingannare dalla bucolica copertina dell'edizione BUR Rizzoli, che rispecchia sicuramente l'ambientazione di questo romanzo ma per nulla lo spirito della storia. "Il sindaco di Casterbridge" racconta infatti una vicenda dai toni molto tragici, che potremmo accostare più facilmente alla triste vita di Tess dei d'Urberville rispetto al piglio quasi umoristico di "Via dalla pazza folla". La cover stonata non è poi l'unico difetto di questa edizione, che presenta anche un'impaginazione sicuramente realizzata per far perdere il maggior numero possibile di diottrie all'ignaro lettore ed una scarsa qualità di stampa e materiali.
La narrazione ha un'impronta corale, ricordando per molti versi un romanzo familiare, ma il collante tra i vari personaggi è rappresentato dalla figura di Michael Henchard. All'inizio della storia lo vediamo come un giovane in cerca di lavoro, privo di mezzi e con il vizio del bere; dopo aver letteralmente venduto moglie e figlia ad un marinaro sconosciuto mentre è ubriaco, l'uomo decide di fare un voto di astinenza dall'alcool per i successivi ventuno anni. Quando lo ritroviamo è un'altra persona: stabilitosi nella cittadina di Casterbridge, Henchard è diventato un commerciante di successo e la stima di cui gode presso i suoi concittadini è tale da farlo eleggere sindaco; questa posizione faticosamente raggiunta verrà messa a rischio nel corso della storia dal destino avverso e dallo stesso temperamento irascibile dell'uomo.
La prosa di Hardy è sempre una delizia da leggere: si percepisce la passione e la cura con cui descrive la campagna dell'Inghilterra meridionale, le cui tinte si fanno più vivaci soprattutto durante il periodo del raccolto. Il solo difetto che potrei appuntargli è l'utilizzo troppo frequente degli sbalzi temporali sia all'inizio -dal momento in cui Henchard si separa dalla sua famiglia sino a quando è ormai divenuto sindaco- sia nei capitoli seguenti, quando ci sono degli eventi che vengono soltanto riepilogati a beneficio del lettore. Questo serve però a dare più spazio agli episodi realmente rilevanti ed alle riflessioni dei personaggi principali.
Assieme ad una trama intrigante e costellata da una buona dose di svolte inattese, proprio i personaggi risultano essere uno dei punti di forza di questo titolo. L'autore non lascia al caso neanche la caratterizzazione dei numerosi abitanti di Casterbridge, si tratti di uomini di successo impegnati nella gestione delle loro attività e della città stessa oppure di umili lavoratori con i loro battibecchi e le allegre bevute in compagnia. Ovviamente un occhio di riguardo va ai protagonisti, che risultano molto credibili nella loro fallibilità umana: nessuno è esente da difetti, si tratti dell'ingenuità di Susan, dell'ambizione di Donald o della leggerezza di Lucetta; nel descrivere Henchard Hardy da poi il suo meglio, creando un uomo capace di fare tanto bene per chi lo colpisce in modo positivo quanto di perseguitare con l'odio più passionale i suoi nemici.
Le sue decisioni impulsive sono causa dei momenti di successo come pure della sua prevedibile rovina e per assurdo, pur avendo ben chiari gli errori di quest'uomo, il lettore non potrà evitare di provare pena per lui. In un testo costellato da innumerevoli riferimenti e citazioni alla Bibbia, Henchard si erge come un personaggio del Vecchio Testamento, tanto che i suoi momenti più iconici sono pregni di una forza narrativa tipicamente biblica: quando giura solennemente di rinunciare al bere, quando accetta la rivelazione nel messaggio di Susan come un crudele scherzo del destino, quando si umilia di fronte ai suoi creditori offrendo tutto ciò che riesce a trovare nelle tasche. Una potenza narrativa tale da rendere eroico un personaggio in fondo dipinto come malvagio non può lasciare indifferenti.
NB: Libro letto nell'edizione Rizzoli BUR
Indicazioni utili
Il carattere è destino
Quanto aveva ragione Novalis con il suo detto “Carattere è destino”! nessuno può saperlo meglio di Micheal Henchard, il protagonista de “Il sindaco di Casterbridge”, bellissimo e tragico romanzo di Thomas Hardy, pubblicato nel 1886, qualche anno prima del più famoso “Tess dei d’Urberville”.
Una vita segnata già dall’età di ventun anni, quando, in cerca di fortuna con la propria famigliola, giunge nella contrada di Weldon-Priors, nel Wessex, in una tenda frequentata da altri avventori, si ubriaca e vende la giovane moglie ad uno sconosciuto, un marinaio di passaggio che era entrato proprio nel momento in cui lui, Micheal Henchard, aveva detto “ebbene...aspetto un’offerta. La donna non mi serve. Chi la vuole?”. Una rapida occhiata alla graziosa donna per capire che l’avrebbe salvata dalla tristezza a cui era condannata e la contrattazione era avvenuta dietro pagamento di contante sonante.
Il pentimento, amaro, giunge troppo tardi, una volta sobrio.
Il giovane, dopo aver cercato la moglie e la bambina portate via del marinaio in quella occasione alquanto bizzarra anche se col suo consenso, scopre che sono emigrati in America e da allora, rassegnato, pensa a costruirsi un nuovo avvenire, ma prima, si reca in una chiesa e con la mano sulla Bibbia giura solennemente di vivere sobrio, di non bere più neanche un goccio di alcool, per i prossimi ventuno anni della sua vita. La storia scorre velocemente, si tratta di una trama dinamica anche se le azioni si svolgono tutte nella cittadina agropastorale di Casterbridge.
Passano diciotto anni da quel fatidico sventurato giorno, Henchard da tagliatore di fieno si è fatto strada e, conquistatosi il rispetto dei rustici cittadini di Casterbridge, ne diventa sindaco. È seduto a discorrere all’aperto davanti ad un bicchiere (d’acqua) dei problemi relativi all’ultimo raccolto con i membri del consiglio comunale, quando nella sua vita entrano i personaggi che lo accompagneranno nelle vicende successive, cambiandogli di nuovo la vita. In peggio.
La sua ancora legittima consorte Susan torna dall’America, “vedova”del marinaio con una ragazza, Elizabeth-Jane e, nella stessa sera, incontra un giovane scozzese dalla bella voce e dal fiuto per gli affari agricoli , di nome Donald Farfrae. Qualche anno dopo giunge a Casterbridge un’altra figura femminile cui Henchard si era legato durante il primo anno di solitudine, ma che non aveva mai sposato. Ci sono tutti gli ingredienti dell’intrigo in questo romanzo che tengono incollati alle pagine.
Della trama non vi svelo nulla, vi anticipo che non tutto è come sembra ad una prima lettura. Il personaggio del sindaco è una delle figure maschili più interessanti della letteratura vittoriana, nel romanzo stesso viene paragonato al Faust “un essere cupo e veemente, che aveva abbandonato le strade degli uomini volgari, senza una luce che lo guidasse su una strada migliore”.
È sempre troppo tardi quando si rende conto che poteva trovare un’alternativa, è sempre troppo tardi quando si accorge che il suo modo di agire gli porta via il rispetto delle persone e la felicità. Ma cos’è la felicità? lo scoprirà alla fine del libro la dolce, timida, Elizabeth Jane -non posso anticipare niente!- “la felicità non era che un episodio fortuito nel dramma universale del dolore”.
Consiglio questo libro per tanti motivi: lo stile di Hardy, piacevolissimo, con i suoi immancabili scenari naturalistici, macchie di colore alla maniera impressionista, strizzatine d’occhio al particolare gotico (cimitero, il circo romano di Casterbridge avvolto nella nebbia), l’analisi più matura e ponderata della psicologia del protagonista, rozzo, ma sincero.
La decadenza di un uomo che ha passato la vita dedito all’ambizione oscurando gli affetti. Scenari, personaggi,visione tragica dell’esistenza che ricordano i “vinti”di Verga.
Per me, il libro di Hardy più bello di sempre.