Il professore
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Un esordio brillante
«Colui che è già in basso non teme di cadere», scrive Charlotte Brontë – usando lo pseudonimo Currer Bell – nel 1847, nella prefazione al suo primo, vero romanzo, Il professore, preceduto solo da esperimenti letterari frammentari e non giunti fino a noi poiché distrutti dalla stessa autrice. La sua opera prima non riuscirà a trovare un editore fino al 1857, dopo la morte della Brontë, forse perché poco affine ai gusti del pubblico, bramoso di storie forti, appassionate, avventurose. Eppure scorrendo una dopo l’altra le pagine del romanzo non si può fare a meno di pensare che la giovane autrice abbia espresso un giudizio eccessivamente severo sul suo primogenito.
William Crimsworth, orfano di un commerciante fallito e di una gentildonna, cresce a spese degli aristocratici, superbi zii materni. Diventato adulto, per sottrarsi tanto al dispotismo di questi ultimi quanto alla fredda crudeltà del fratello maggiore, che ha acconsentito a fatica ad assumerlo nella propria fabbrica, ma lo tratta come l’ultimo degli inservienti, si trasferisce a Bruxelles, dove, grazie ai buoni uffici di qualche amico, trova un posto come insegnante in una scuola femminile. È soprattutto qui che tra difficoltà quotidiane, duro lavoro, piccole e grandi (dis)avventure si compie il suo percorso di crescita personale che lo porterà, alla fine, a conquistare una giovane donna sua pari per virtù e intelligenza e a condurre una vita agiata e serena.
Una storia semplice, senza forti scosse o emozioni potenti, che trae la sua forza da una galleria di ritratti fisici e psicologici magistralmente delineati fino a cogliere le pieghe segrete di ogni carattere, la motivazione di ogni gesto, le sfumature di ogni parola, il peso di ogni sguardo, e dalla potenza evocativa dello stile. In giovane età Charlotte Brontë trascorre un anno a Bruxelles, in collegio, dove si innamora – non ricambiata – di un professore già sposato e l’eco della sua esperienza si riflette sulla narrazione, conferendole un tocco di autentico e profondo realismo. Al lettore sembrerà di aver incontrato davvero la sfilza di allieve della scuola (graziose, ipocrite, intelligenti, sfrontate, oneste, frivole, timide, sciocche), il sarcastico, elegante, vanitoso Monsieur Pelet, l’astuta, calcolatrice, seducente Zoraide Reuter, l’ironico e indecifrabile Mr. Hunsden, di aver percorso le aule e i corridoi di un collegio fiammingo e di aver passeggiato nel giardino privato di Mademoiselle Reuter, accompagnato da un narratore – il protagonista stesso – acuto, ironico e ricco di spirito di osservazione.
Uniche pecche la storia d’amore tra William e la sua futura sposa, un po’ troppo piatta e prevedibile, e l’ultimo capitolo del romanzo, che si rivela lento, noioso e inutilmente prolisso. Tali difetti, però, nel complesso passano quasi inosservati e non intaccano la qualità di un romanzo poco conosciuto che ogni amante delle sorelle Brontë sarà felice di scoprire.