Il povero musicante
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Un inetto ante litteram
Il povero musicante (conosciuto anche come Il povero suonatore) è uno dei pochissimi testi in prosa lasciatoci dal grande poeta austriaco Franz Grillparzer (1791-1872). Le prime pagine del libro - ambientato nella Vienna dell’Ottocento - sono dedicate a una meravigliosa festa popolare che si teneva in piena estate sulle rive del Danubio: la sagra di Santa Brigida. L’incipit è veramente una chicca: alla maniera elegante degli scrittori dell’epoca, ci viene offerto lo sguardo su una realtà paradisiaca, da paese dei balocchi. Nella festa di Santa Brigida, infatti, danza, vino, buoni bocconi e fuochi d’artificio danno vita a un’atmosfera incantata, quasi surreale, dove non esistono differenze sociali e tutte le sofferenze sono dimenticate. Il quadro è dei più idilliaci, una vera esaltazione della gioia di vivere viennese. Tutto sembra apparecchiato per una storia allegra e spensierata, quando il nostro autore finisce per concentrarsi su un particolare dal sapore amaro: un povero, anziano violinista che dietro al suo vecchio leggio suona sempre la stessa inconsistente melodia, suscitando l’ilarità dei presenti, i quali non lo degnano neppure di un’elemosina. Il suo contegno estremamente dignitoso e alcune parole in latino stimolano però la curiosità di un passante, che vi intravede il segno di un trascorso ben più nobile di quell’esistenza oscura. Dalla conversazione tra i due scaturisce il vero racconto, quello della gioventù del povero suonatore e di un amore perduto anni addietro per inettitudine e ingenuità.
Pagina dopo pagina, si delinea una malinconica novella sentimentale, dalle sfumature fiabesche, dove affiorano alcuni dei temi tipici di questo genere letterario: un padre dispotico, un’educazione dura e severa, una quotidianità grigia e insieme a tutto questo una promessa di redenzione, anzi due: la musica e una ragazza. La ragazza purtroppo resta un miraggio, e la musica, senza amore, assume i connotati di una lamentosa e nostalgica rievocazione.
Il protagonista del libro è a sua volta un personaggio ricorrente nella produzione letteraria austriaca di fine impero: un uomo riservato, umile, dai modi signorili ma decisamente poco pragmatico. Un personaggio che con alcune modifiche e un’indagine psicologica molto più accentuata sarebbe poi entrato anche nella nostra letteratura grazie all’opera di Italo Svevo: l’inetto. Contraddistinto da una deprimente incapacità di vivere e da un costante timore per l’azione, l’inetto è generalmente una persona animata da buoni valori e propositi, ma che a causa di un’irrimediabile inconcludenza finisce ai margini della sua stessa vita, rimanendone spettatore impotente.
Nell’opera di Grillparzer questa caratterizzazione acquisisce dei tratti forse esagerati, ai limiti del patetico. Come sempre in questi casi, occorre tenere a mente il gusto e la morale dell’epoca, dove la rinuncia e l’umiliazione di sé (entro una certa misura) potevano ricordare la figura di un santo o comunque quella di un buon cristiano.
Tradotto in italiano dal germanista Ervino Pocar, Il povero musicante di Grillparzer è stato stampato per anni dalla Mondadori. Al momento l’unica edizione in commercio è quella della Passigli (sempre con la traduzione di Pocar).
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Un autore da scoprire
Drammaturgo austriaco nato nel 1791 e venuto a mancare nel 1872, Franz Grillparzer è autore di molteplici opere (tra le quali ricordiamo Saffo, Bianca di Castiglia, Alfredo il Grande, Il sogno, una vita, Le onde del mare e dell’amore e molte altre ancora) seppur successo e fama siano sopraggiunti soltanto tardivamente tanto in madrepatria quanto all’estero.
All’interno de “Il povero e il musicante” siamo destinatari di due racconti (a cui se ne somma un terzo mai concluso ma soltanto abbozzato): “Il convento presso Sendomir” e, appunto, “il povero musicante”.
Nel primo, classe 1828, protagonista è un uomo di gran rigore le cui sorti non sono delle più rosee a causa dell’adulterio della giovane e piacente fanciulla con cui si sposa. Ne consegue il delitto, la rovina, la necessità di espiazione. E seppur il lettore si trovi innanzi ad un testo alquanto convenzionale, con ambientazioni canoniche e protagonisti radicati e che dunque non brilla di originalità per gli avvenimenti pronunciati, quel che rileva e che gli dona spessore è questa scrittura propria di tutti quegli elementi del tempo.
“Il povero e il musicante” sorprende, al contrario, proprio per la grande modernità che a distanza di tanti anni è ravvisabile. Siamo a Vienna, eroe è un uomo umile e le vicende si svolgono mediante dialoghi fitti e serrati tipici dell’opera teatrale a cui si contrappongono un ritmo lento e una dimensione vicina a quella della novella, della fiaba. Sarà mediante la narrazione della storia di questo personaggio così atipico che non emerge per le proprie capacità musicali e che si dedica alla riproduzione di pezzi complessi e seri non consoni a una festa popolare, che troveranno spazio tutte le riflessioni più intime di chi legge.
Un elaborato scoperto per caso in uno dei miei sopralluoghi in biblioteca che non si dimentica e che colpisce per le profonde considerazioni, introspettive e non, che è capace di suscitare nel conoscitore.
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Un piccolo grande eroe dell’emarginazione
Questo piccolo Oscar Mondadori, edito sul finire degli anni ’70, è un libro prezioso, perché contiene i due unici racconti del drammaturgo romantico austriaco Franz Grillparzer, accompagnati dall’abbozzo di un altro racconto e da una lunga introduzione sulla vita e le opere di Grillparzer scritta dal grande e compianto Ervino Pocar.
E’ un libro prezioso soprattutto perché ci dona, nella traduzione dello stesso Pocar, uno dei racconti a mio avviso più straordinari di tutti i tempi, degno di assurgere ad un olimpo che per me contiene "La metamorfosi", il "Michael Kohlhaas" di Kleist, alcuni racconti di Hoffmann, "Bartleby lo scrivano", "Tonio Kröger" e per la verità molti altri che ora non mi vengono in mente.
Il racconto in questione è quello che dà il titolo al volume: "Il povero musicante", che oggi è possibile reperire nella stessa traduzione e cura (immagino) da Passigli o, con il nome de Il povero suonatore da Marsilio. Manca tuttavia, nelle edizioni più recenti, la possibilità di leggere anche l’altro racconto di Grillparzer, "Il convento presso Sendomir".
Partiamo proprio da questo racconto, che in verità non lascia pienamente trasparire la magnificenza del successivo.
Si tratta infatti di un racconto scritto nel 1828, ci informa Pocar, probabilmente per colmare in fretta e furia un vuoto apertosi nell’edizione di una rivista a cui il nostro collaborava, quindi con intenti quasi commerciali, e questo “vizio d’origine” si riflette nella storia, che definirei manieristicamente romantica, essendo la storia di un signore secentesco che, sposata una bella e vivace fanciulla, va incontro al delitto, alla rovina e all’espiazione a causa dell’adulterio di lei.
La trama è sicuramente avvincente e la scrittura di Grillparzer, dottamente interpretata da Pocar, è potente e molto teatrale – come si addice ad un autore uso alle tragedie da palcoscenico – ma il racconto, come detto, non si distacca da un "mainstream romantico" abbastanza convenzionale.
Tutt’altra cosa è "Il povero musicante", che veramente è un racconto che merita di essere letto più volte e meditato a lungo, di una straordinaria modernità pur appartenendo pienamente al tempo in cui è stato scritto, un racconto che brilla come un diamante dalle mille sfaccettature, per cui ritengo che chiunque lo legga possa trovarvi un sentimento, un’emozione personalizzata.
Già l’ambientazione è inusuale: se ne "Il convento presso Sendomir" lo sfondo sono castelli, conventi e un secolo lontano, qui la vicenda è ambientata nella Vienna dell’autore, e viene narrata in prima persona.
Se nel primo racconto la storia coinvolge personaggi potenti e sentimenti estremi, ne Il povero musicante il protagonista è persona umile, al pari del contesto sociale in cui vive, e miti e pacate, ma profondissime, sono le emozioni e le passioni che prova ed evoca in noi.
Ad uno stile teatrale fatto di dialoghi fitti e serrati si contrappone un ritmo lento, una tonalità quasi fiabesca, che contribuiscono non poco al grande fascino del racconto.
Durante una festa popolare l’io narrante nota un violinista di strada, che non suona bene ma tiene aperto un leggio con spartiti davanti a sé, che suona musiche “serie” che non incontrano il favore degli astanti, che è vestito umilmente ma dignitosamente, che commenta serenamente in latino il fatto che nessuno gli abbia messo una moneta nel cappello, che se ne va quando inizia ad arrivare il grosso della folla.
Preso da fame antropologica l’io narrante vuole sapere chi sia, che storia abbia il musicante, così lo avvicina e poi lo va a trovare nella sua stanzetta. Qui il musicante gli racconta la storia della sua vita. E qui si aprono praterie di emozioni, di riflessioni, di sollecitazioni in grado di soddisfare ogni tipologia di lettore, da quello che prende la storia così com’è a quello che gli può attribuire il significato di grande apologo sul ruolo dell’arte e dell’artista rispetto alla società, a quello abituato a smontare i singoli pezzi di un testo per trovarvi chiavi di lettura psicanalitiche o politiche.
Contrariamente a quanto faccio di solito non darò la mia interpretazione del testo, in quanto questo racconto è talmente bello e, come detto, sfaccettato, che mi sentirei di sminuirlo proponendo schemi interpretativi che per forza di cose sarebbero limitati e dilettanteschi. Mi inchino perciò alla grandezza e riconosco la mia inadeguatezza a descriverla. Persino l’introduzione di Pocar, che pure è ottima nella descrizione della vita e del contesto sociale e culturale in cui si è mosso l’autore, è a mio avviso estremamente riduttiva rispetto alla grandezza del testo.
Mi soffermo però sulla figura del musicante, che merita davvero di avere un posto di rilievo tra i grandi piccoli eroi della letteratura di ogni tempo. La sua coerenza, la sua ingenuità sono commoventi, e ne fanno uno dei grandi emarginati della narrativa. E’ anche da loro che possiamo nonostante tutto trarre residue motivazioni per pensare che un altro mondo sia possibile.
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Michael Kohlhaas
Bartleby lo scrivano