Il mulino sulla Floss
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Un amore puro e sincero
Ho sempre voluto fare una recensione dell’opera meglio riuscita della Evans, soprattutto per via del fatto che non ne esistano molte.
In breve ecco la trama: “il mulino sulla Floss”, secondo romanzo di Mary Ann Evans, è ambientato nel primo Ottocento, in un paesino della campagna inglese, St.Ogg, e ha come protagonista Maggie Tulliver, una bambina, poi fanciulla, che vive coi genitori e il fratello maggiore Tom, a cui è molto legata. La storia segue la sua crescita, le sue vicissitudini e i suoi sentimenti, quasi sempre in rapporto ad altri uomini. La prima parte del romanzo è infatti incentrata sull’infanzia di Maggie, in cui la bambina viene dipinta come una piccola zingara che scappa di casa, che non vuole asservirsi alle leggi del tempo e delle persone e che vuole vivere a modo suo; una bambina forte e ribelle, l’esatto opposto del fratello, ligio ai propri doveri, o della bella cugina Lucy, una piccola bambola di porcellana bionda.
La seconda fase vede Maggie come una ragazza atipica per quello che è lo stereotipo della donna inglese ottocentesca. Caduta in disgrazia, e divenuta povera, con un fratello che si fa carico di ogni possibile lavoro per recuperare la dignità perduta, Maggie non si lascia scoraggiare e si trasforma da zingara ribelle a piccola eroina. Si cerca un lavoro per poter ottenere due cose che alle donne dell’epoca erano proibite: libertà ed autonomia. Sboccia quindi un nuovo personaggio, una nuova Maggie che, come dice al giovane Philip, il figlio gobbo e solitario dell’uomo che ha rovinato la famiglia Tulliver, intende “costruirsi un mondo al di fuori dell’amore, come fanno gli uomini”.
Maggie è quindi convinta che dalla sua vita vuole unicamente la libertà e, per questo, rinuncia all’amore che Philip nutre per lei e per il quale è disposto a scontrarsi col padre. Ma è proprio quando la convinzione che la sua libertà sia ormai conquistata, che il romanzo arriva al suo apice e alla sua tragedia: Maggie si innamora e capisce che non può amare liberamente l’unico uomo che potrebbe desiderare, perché già promesso alla cugina Lucy.
La ragazza subisce quindi una terza ed ultima metamorfosi, divenendo un’eroina dai sogni infranti… decide di chiudersi nel lavoro, di rinunciare all’amore e alla propria felicità, per sempre, ed è nel dolore che la Evans, con estrema bravura, chiude il sipario sulla sua storia, lasciando all’eroina del suo romanzo un’ultima, difficile sfida da superare, riguardante l’ultimo uomo con cui Maggie deve confrontarsi: il fratello Tom.
Mary Ann Evans riesce a descrivere il mondo di sogni, di paure, di inquietudini e di sentimenti della sua eroina in modo sublime, senza incorrere in banalità e stereotipi sul mondo dell’infanzia di quell’epoca. Traveste una ragazza qualsiasi in una pedina della scacchiera del destino: una bambina piena di sogni e speranze, schiacciata dalla superbia del padre che ne paga il prezzo finendo in povertà; una ragazza anelante di emancipazione e di amore, che deve spogliarsi di ogni desiderio e di ogni sentimento.
Trovo che le parti migliori dell’opera siano riassumibili in giochi di sguardi e di mute conversazioni tra i vari personaggi, difatti le parole migliori sono quelle non dette: l’amore incontenibile e travolgente che il giovane Philip nutre per Maggie è espresso unicamente nei suoi quadri che fanno di lei la sua unica musa ispiratrice; l’amore che sboccia tra Maggie e Stephen, li condanna solo a giochi di sguardi, di silenzi, di pene e di attese. E’ proprio grazie ai personaggi di Philip e di Stephen che la Evans riesce magnificamente a descrivere un sentimento come l’amore, già protagonista di fin troppi altri titoli, senza cadere mai nella banalità e, soprattutto, nella stucchevolezza, ma rendendo comunque ogni sentimento della protagonista talmente vero da risultare quasi palpabile.
Ma il punto forte della storia non è tanto la capacità dell’autrice di far risaltare i sentimenti di una donna, né tanto meno il femminismo che risulta, comunque, molto presente nell’intera opera. Il punto forte, dicevo, è il tentativo (ben riuscito) di intrecciare un romanzo di formazione e una storia d’amore tragica, con la denuncia al bigottismo della società del passato che, di fronte all’innalzamento della donna a cittadina con diritti e autonomia, si dimostra superficiale e razzista, ostentando condanne e giudizi.
Che altro dire… trovo che il romanzo sia un modello d’esempio per tanti altri che l’hanno seguito e che risulta affascinante sia per il modo in cui la scrittura, teoricamente pomposa e lenta, risulti ugualmente lineare e semplice, sia per la psicologia e la caratterizzazione dei personaggi principali, in particolare del mio preferito, Philip, che costituisce il tassello mancante, o meglio la prolunga, dei desideri e dei sogni infranti di Maggie. Colui che, avendo subito disgrazie fin dalla nascita, per via del suo aspetto, della sua salute cagionevole e della rigidità del padre, sogna soltanto l’amore semplice e puro, anche se non ricambiato. E che, pur avendo la possibilità di donare alla sua amata tutto quello che desidera, si fa soltanto carico di dipingere i suoi sentimenti, e di farle da sostegno morale per l’intera durata del suo dolore.
In sostanza, un romanzo che non racconta nulla di nuovo, ma che racconta qualcosa di già detto in maniera nuova.