Il giocatore Il giocatore

Il giocatore

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È la storia di un progressivo inaridimento morale, il percorso deplorevole di un giovane uomo che lentamente, ma inesorabilmente, perde interesse verso tutto ciò che lo circonda, in nome di un'unica passione: il gioco d'azzardo. Il protagonista si distingue però dalle alte creazione dell'autore perché non procede fatalmente verso un arricchimento spirituale o verso una rovina catartica che ne coroni l'esistenza.



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Il giocatore 2021-06-21 09:21:05 La Lettrice Raffinata
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La Lettrice Raffinata Opinione inserita da La Lettrice Raffinata    21 Giugno, 2021
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Mi serve un convertitore di valuta

Scritto in meno di un mese per rispettare un accordo editoriale mefistofelico, "Il giocatore" è uno dei migliori titoli per approcciarsi all'opera dostoevskijana perché in sole duecento pagine riesce a trasmettere lo stile dell'autore ed alcune delle sue tematiche più ricorrenti, oltre a fornire più di uno spunto anche a chi fosse incuriosito dal lato autobiografico della storia. Il romanzo è stato infatti molto influenzato dalle vicende personali di Dostoevskij, sia per quanto riguarda la fascinazione verso il gioco d'azzardo che la relazione travagliata tra il protagonista e l'amata Polina, trasposizione su carta di Apollinarija Prokof’evna Suslova con cui l’autore viaggiò per l'Europa in uno dei periodi in cui era più acuto il suo problema di dipendenza dal gioco.
La vicenda si ambienta nella città fittizia di Roulettenburg (o Rulettenburg, come viene chiamata in questa edizione), una località tedesca famosa per il suo casinò e vero e proprio crocevia nel quale si mescolano persone provenienti dai principali paesi europei, il che da allo scrittore l’occasione di illustrare le sue opinioni sulle diverse nazionalità; in questo luogo giunge il nostro protagonista, il precettore Aleksej Ivànovic, per riunirsi alla famiglia del generale Sagorjanski presso la quale lavora e della quale sapremo qualcosa di più andando avanti con la lettura dal momento che la storia inizia quasi in medias res.
Nonostante la brevità, il volume presenta tre parti che si focalizzano su altrettanti eventi: all'inizio l'attenzione è posta principalmente sulla relazione tra il protagonista e Polina -che lo spingerà anche ad iniziare a giocare-, e vediamo i due spesso stuzzicarsi o arrivare a dei veri momenti di conflitto; nella seconda parte viene introdotto il personaggio di Antonida Vasil'evna che, incurante delle preghiere dei familiari, sperpera enormi somme al casinò mentre blasta senza pietà il generale; verso il finale Aleksej, nella speranza di risolvere i problemi economici della famiglia di Polina, inizia a giocare in modo impulsivo e rischioso alla roulette della quale si ritrova ben presto dipendente.
Il romanzo si sofferma in vari passaggi sul problema della ludopatia, inizialmente da un punto di vista esterno e poi in modo diretto quando il protagonista da semplice spettatore inizia a scommettere in prima persona. Dostoevskij ci fornisce un'ottica unica su questo tema, e questo traspare chiaramente dalle parole e dalle metafore con cui riesce perfettamente a spiegare cosa porti le persone a giocare fino all'ultima moneta alla roulette: pur essendo consapevole delle conseguenze, la possibilità di vincere attira Aleksej come una sirena e l'adrenalina che prova nelle rare vittorie è una prospettiva troppo allettante per essere ignorata. Infatti, anche se il finale lascia uno spunto di speranza per lui, penso che il sottinteso sia quello di un futuro affatto roseo.
Nel testo viene dato ampio spazio anche ai rapporti sentimentali, fornendo però una visione molto negativa dell’amore che ci viene descritto come una passione distruttiva (l’esempio più lampante proposto è quello di Aleksej Ivànovic e Polina Aleksandrovna) o un mero accordo basato sugli interessi economici e sociali delle parti, come per le relazioni astutamente intessute da M.lle Blanche.
In definitiva, un titolo assolutamente consigliato la cui unica pecca forse è il poco tempo in cui vediamo Aleksej giocare effettivamente; visti il titolo e la premessa, mi aspettavo che fosse dato più spazio alla sua discesa verso la dipendenza, mentre in realtà sono diversi i personaggi che ricoprono il ruolo del "giocatore". Valuto in positivo anche l'edizione Rizzoli, sia per la traduzione sia per i contenuti aggiuntivi: l'introduzione risulta molto chiara e utile per capire la genesi del libro e il cosiddetto saggio finale fornisce un ulteriore punto di vista sui risvolti autobiografici.


NB: Libro letto nell'edizione Rizzoli BUR

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Il giocatore 2020-02-27 22:24:15 cristiano75
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cristiano75 Opinione inserita da cristiano75    28 Febbraio, 2020
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La ricerca dell'abisso

Forse il più grande scrittore della storia. Sicuramente uno dei geni assoluti dell'umanità.
Una esistenza intera a porre domande a se stesso e conseguentemente al lettore.
Una ricerca spasmodica per comprendere quali siano i veri valori della società. la morale che spinge le persone a compiere le azioni quotidiane. La ricerca del bene nel male e viceversa.
Essendo una persona con un anima e un pensiero fuori dall'ordinario, la vita di questo immenso scrittore è stata di certo non facile, con attacchi di depressione, domande senza risposta, amori tormentati, gioco d'azzardo e comportamenti ambigui.
Egli aveva eletto come gesto autodistruttivo il gioco d'azzardo e vi si era applicato così bene e così tenacemente da scriverci questo libro che è una sorta di auto confessione, uno sfogo, un urlo verso l'infame vizio del gioco.
Ogni persona affetta da ludopatia (e sembra che l'Italia sia uno dei paesi maggiormente afflitti da questo vizio) dovrebbe leggere questo breve romanzo che prende il lettore per mano e lo fa sprofondare nell'incubo del vizio a cui pare non vi sia rimedio.
Ogni cosa, interesse, aspirazione, gioia è barattata in cambio dell'ebrezza del gioco.
Non è importante vincere o perdere, l'importante è giocare, scommettere e gettare la propria anima sul tavolo da gioco.
Dostoevskij come ogni giocatore accanito è stato spesso vicino alla bancarotta. Ha provato la vergogna di chiedere denari in prestito, di barattare il proprio talento per avere le somme da sacrificare al casinò.
Nel libro, attraverso una profonda introspezione del protagonista, ci troviamo pure noi davanti al circo del gioco, alle persone rovinate, alle speranze bruciate, agli stipendi di un mese volatilizzati nell'arco di un ora, al limbo nero della perdita che può portare a estreme conseguenze come al suicidio.
Come ogni opera di questo genio assoluto, ci si immedesima nei personaggi, si vivono i loro pensieri, le loro angosce, la loro affannosa e spesso inutile ricerca della felicità e poi della redenzione.
Nel libro si evoca il sentimento di una persona disperata, vittima di se stesso e delle proprie debolezze.
Quasi ne prova gioia a perdere il denaro, a umiliarsi per trovarne altro con cui continuare a alimentare il suo vizio, la sua autodistruzione.
I propri demoni interiori hanno la meglio sulla capacità di conservazione della persona, non gli danno scampo. Lui lo sa, ma preferisce giocare e poi ancora giocare. Come una grande roulette che non smette mai il suo giro, con la pallina che rimbalza impazzita da un numero a un altro, da un colore a un altro.....in quel folle girovagare lungo la ruota della casualità, questa piccola pallina bianca ha la capacità di determinare per sempre i destini delle persone, di procurare loro o gioie infinite o disperazioni senza uscita. E' li l'adrenalina, non è nel vincere o nel perdere, è solo nel gioco.



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I demoni
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Il giocatore 2020-02-26 20:49:15 AriMonda
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AriMonda Opinione inserita da AriMonda    26 Febbraio, 2020
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Domani, domani tutto finirà!

Un romanzo irrimediabilmente legato alla vita del suo autore, “Il giocatore” è stata una lotta (contro il tempo e contro i creditori) che Dostoevskij ha ingaggiato e brillantemente superato. Costretto dai debiti, lo scrittore cede all'editore i diritti della sua opera per nove anni se non gli avesse consegnato entro un mese un nuovo romanzo: l’amico Miljukov testimonia l’apprensione dell’autore e la disperazione per l’avvenire. Ma grazie al consiglio dell’amico di avvalersi di una stenografa, Anna Grigorevna Snitkina (che poi diventerà la futura moglie di Dostoevskij) in 25 giorni il libro è pronto per essere presentato all'editore.

Una storia che ha in sé tanti tratti della biografia dell’autore, a partire dal tema principale: il gioco. In una città inventata, Roulettemburg, il protagonista-narratore spia e racconta la vita di ambigui personaggi appartenenti alla borghesia europea, una borghesia presa di mira per l’ipocrisia con cui si presenta e si atteggia, parodiata nei suoi gesti e ridicolizzata nelle forme e nelle parole pronunciate dal “borghesuccio” di turno. Una critica maturata dall'autore grazie ai numerosi viaggi all'estero che lo avevano messo in relazione con un mondo che egli non poteva che disprezzare e rappresentare in tutta la sua superficialità.
La narrazione è concitata, procede rapida e tiene continuamente sospesi, ci si chiede quale sia il nucleo della storia, quando finalmente accadrà qualcosa e quando ci verranno fornite le risposte.
E alla fine scopriamo che il precettore, Aleksej, è innamorato di una donna che lo tiene appeso a un filo ed è legata ambiguamente ad altri personaggi maschili; il generale, il datore di lavoro del protagonista, è tutto occupato a corteggiare una francesina opportunista e interessata solo a soldi e posizione sociale: mentre tutto l’entourage che gira attorno al generale russo spera nella morte della baboulinka, la ricca nonna, che “stendendo le gambe” definitivamente avrebbe permesso ai parenti di vivere scialacquando il patrimonio e ostentando una posizione.

La nonna è indubbiamente il personaggio più interessante dell’intero romanzo, a mio parere. Quando tutti la credono ormai in procinto di abbandonare questo mondo e attendono un telegramma che annunci la sua morte, questa si presenta con il suo seguito e una quantità infinita di valige proprio nella città tedesca del gioco d’azzardo. Con la sua presenza dispotica e tirannica, vivissima contro ogni aspettativa e desiderio, riempie la scena. È ironica, tagliente, sprezzante di ogni regola e buon costume, finisce per essere la più accanita e salace critica della falsità e degli artifici della società di cui lei stessa fa parte. Ma anche lei, dall'alto della sua posizione e della sua età, nonostante si creda più furba e più intelligente del corteo di adulatori che la circonda, finisce vittima del gioco e presa da una smania irrefrenabile e dal desiderio che attanaglia il giocatore, dilapida il suo patrimonio in soli due giorni. La nonna che tutti credevano e volevano morta, per potersi prendere a gomitate una parte della sua ricchezza, è viva e vegeta e ancora dotata di autonomia, libera di decidere di come disporre del proprio denaro e poi schiava di un meccanismo che la lascia senza nulla.

Come disse Mario Soldati, è difficile scrivere di qualcosa che non si conosce e Dostoevskij conosceva bene il rischio e l’emozione del gioco d’azzardo. E questa conoscenza e perizia emerge, sin dalle prime pagine, grazie alla descrizione che muove dagli occhi curiosi del precettore mai stato in un ambiente simile, che si aggira tra le sale, i rumori e lo scintillio di un mondo fatto apposta per ammaliare e abbindolare. Uno sguardo che muta insieme al protagonista man mano che questi conosce il brivido della vincita e della perdita.
Le pagine finali del romanzo sono emblematiche per capire cosa si muove nella mente di un uomo, attanagliato e afflitto dall'ossessione del gioco, un’ossessione che va oltre la vincita o la perdita, che si nutre del tintinnio nelle monete, dell’atmosfera e della fama delle proprie gesta e del proprio coraggio nel rischiare tutto, nel mettere in ballo sul tavolo la propria vita e il proprio futuro. E così ogni pezzo d’oro è l’occasione per tentare la sorte e anche se si è consapevoli della propria malattia, di essere finiti in un baratro oscuro e si avverta la necessità di risollevarsi, di tornare persone per bene e con la testa sulla spalle, quell'unico pezzo d’oro è una buona scusa per rimandare il cambiamento a domani. “Domani, domani tutto finirà!”.

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Il giocatore 2018-08-07 16:21:31 Natalizia Dagostino
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Natalizia Dagostino Opinione inserita da Natalizia Dagostino    07 Agosto, 2018
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Faites le jeu, messieurs! Faites le jeu, messieurs

Faites le jeu, messieurs! Rien ne va plus? È la voce del cerimonioso croupier, amico d’inferno, testimone impassibile di derive umane che oggi è sostituita dal rumore musicale delle macchine.
Mi occupo di prevenzione e nel territorio ampio di questa rimango. La riflessione psicologica e culturale che propongo non è risolutiva, precede ma non corrisponde al lavoro clinico e psicoterapeutico.

Fëdor Dostoevskij è il maestro: egli ricerca la verità assumendo come guida l’errore. Lo Scrittore russo spende la sua vita a cercarne il senso, è un moderno ed evoluto ulisse, slegato, con i sensi pericolosamente attivati e rapito dinanzi al richiamo di immortali sirene, nella possibilità di perdere. Quindi, condannato ad essere mortale e libero. Ha già vinto e con lui vince ogni essere umano nella tensione alla conoscenza e nell'affondo della coscienza turbata.

Forse, oltrepassando una tal quantità di sensazioni, l’anima non si sazia, ma ne è solo eccitata ed esige altre sensazioni, via via sempre più forti, fino allo stordimento finale. (Dostoevskij:192)

L’Autore è costretto a firmare un contratto capestro con l’editore Stellovskij e, grazie all’aiuto di Anna Grigor’evna Snitkina, la stenografa a cui detta in ventotto giorni il testo de Il giocatore, riesce a consegnare il nuovo romanzo. Non riesce, invece, ad allontanare il demone della roulette, del biliardo e delle carte. La febbre, il delirio, l’attacco isterico: ogni situazione è marchiata dal gioco e l’arbitrio del caso e la sete di rischio diventano la misura di tutto. Il processo del gioco, nelle azioni ormai convulse, si impadronisce del pensiero, della pietà verso se stessi. Lo sguardo è ipnotizzato dalla roulette che gira, gira ed in ballo non è certo "la sregolatezza russa o il modo tedesco di accumulare denaro con un lavoro onesto" (Dostoevskij:p.75)

Apprezzo la traduzione del romanzo di Serena Prina, le parole per descrivere i numerosi personaggi, cretini in modo commovente, il “servitorame ossequioso” che usa il ricatto basato sul sesso, sul denaro, sulla calunnia. Il giocatore non è mai un giocatore e basta, non è mai un semplice scommettitore, è inserito in un contesto complice e nessuno più di Dostoevskij, inseguito dai debitori, ne ha analizzato i malesseri.

"Per quanto fosse ridicolo che mi aspettassi tanto dalla roulette, mi sembra che sia ancora più ridicola l’opinione comune, da tutti riconosciuta, che sia stupido e assurdo attendersi qualche cosa dal gioco. E perché il gioco dovrebbe essere peggio di un qualsiasi altro modo di far denaro, per esempio del commercio? È vero che vince uno su cento. Ma a me che me ne importa?" (Dostoevskij:58)

"Penso che mi siano finiti tra le mani all’incirca quattrocento federici in nemmeno cinque minuti. A quel punto avrei dovuto andarmene, ma in me era germogliata una sorta di strana sensazione, una specie di sfida alla sorte, il desiderio di darle un buffetto, di mostrarle la lingua. Giocai la massima puntata consentita, quattromila fiorini, e persi. Quindi, tutto infervorato, tirai fuori tutto quello che mi era rimasto, puntai la stessa somma, e persi di nuovo, dopo di che m’allontanai dal tavolo come stordito." (Dostoevskij:72)

Il gioco d’azzardo, in fondo, è una possibilità di vedere il mondo e di provare a possederlo. Credere alla sorte, sfidare la fortuna, fregare la povertà: il giocatore vuole conquistare tutto velocemente e non comprende la curiosità e la fatica dell’opera della propria esistenza da completare attraverso un percorso più o meno difficoltoso. Vuole vincere. E perde. Ha già perso prima del risultato perché non gode. Chi si diverte, può essere che vinca e che si allontani. Il giocatore, invece, rilancia, vuole strafare e i suoi occhi sono sbarrati su un nulla che fa le capriole. La sregolatezza, all’inizio, è solo una cattiva abitudine. Spesso, in origine, non è detto che ci siano malesseri psicologici ma solo voglia di eccedere, solo esagerazioni brillanti di un bulimico di vita, di un ubriaco di sensazioni forti. Bisogna prestare attenzione e rimanere vigili perché il processo del gioco si impadronisce di chiunque. Riconosco il piacere morboso di rendersi oggetto, schiavo di un’azione ossessivo compulsiva che porta il nostro Autore ad impegnare il cappotto e i pochi gioielli della compagna. Non può che ripetere l’atto della giocata, condannandosi in una foto statica dell’eterno presente.

"Io, certo, vivo in uno stato d’ansia costante, gioco le somme più piccole e aspetto qualcosa, faccio calcoli, me ne sto per giornate intere accanto al tavolo da gioco e osservo il gioco, persino in sogno vedo il gioco, ma con tutto ciò ho l’impressione di essermi in qualche modo irrigidito, come se mi fossi impantanato in chissà che fanghiglia." (Dostoevskij: p.221)

La Kamorka è il bugigattolo, il ripostiglio, la stanzetta in cui spesso i miserabili di Dostoevskij vivono anche mentalmente. Anche il giocatore contemporaneo ha la sua Kamorka, obbligandosi a rifugiarsi nello spazio esiguo che finisce per imprigionare il corpo e la mente, nell’attesa dell’evento eccezionale, sentendosi destinato ad una quotidianità fantasmagorica, sopra le righe. Il giocatore rifiuta il confronto con la realtà, la tiene a bada, si convince che deve piegarla. Al centro del processo che sottende la giocata ci sono sempre molteplici problematiche relazionali serie e irrisolte. Senza il governo di sé, il caso si impadronisce irrimediabilmente di ogni individuo.

Considerando gli scenari raccontati, forse, la condanna odierna delle sale da gioco può diventare una beffa, esprimendo unicamente una lotta di potere fra le parti che evitano la pre-occupazione, il preoccuparsi prima, del giocatore. La legge pare contro l’imprenditore, quest’ultimo, spesso, è contro lo psicologo, la chiesa è contro il peccato, tutti si esprimono contro tutti.

Chiedo nella discussione di uscire dalla logica binaria della giocata, del vincere o perdere, della contesa, del proibizionismo per evitare il meccanismo di difesa dello spostamento. Di conseguenza, a favore del pensare assieme, desidero ampliare la prospettiva che prevede solo l'ambivalenza del torto e dell'opposta ragione. Scelgo di accogliere una teoria e una metodologia di educazione Alla persona, verso e a favore di questa che preveda il divenire, il processo di ampliamento di sé. Per la società, la persona con le fragilità e i vizi umani non può rappresentare un problema da risolvere.

L'essere umano non è solo un peccatore da redimere, un poveretto da ammaestrare, uno sciamannato da beccare ed escludere. Credo in una nuova antropologia che accompagni la maturazione benedicendo il processo spesso complesso di evoluzione che passa sia attraverso comprensioni immediate, sia attraverso apprendimenti difficili. Amplio la visuale e l'attenzione dalla chiusura, dall’allontanamento e dalla conseguente ghettizzazione delle sale da gioco alla presa in carico della prevenzione, dell'accompagnamento dell'essere vivente a diventare umano e felice non nonostante la propria fragilità, ma attraverso di essa.

L'ipotesi alla base dei miei interventi di prevenzione è che l'attrazione per il gioco compulsivo sia un derivato dello stile di vita, ancora ben radicato, maschilista e padronale, dannoso e distruttivo per gli uomini e per le donne coinvolte, il quale sciaguratamente richiede di essere vincenti, forti, ricchi, accettati, famosi a tutti i costi. La credenza errata molto diffusa è che chi ha i soldi ha il potere e che la dignità personale è legata a quanto si è capaci di guadagnare! Altrimenti si è fuori gioco! Si diventa un arrivista sfidante oppure si rimane uno sfigato senza vacanze glamour.

La salute psicologica riguarda, invece, l’accettazione di una esistenza talvolta modesta o di periodi di vita con possibilità di spesa ridotta rispetto ai desideri. Nell’attività lavorativa svolta, la persona sana accoglie anche i risultati minimi rispetto a quelli attesi. Il benessere psicologico consente di farsi carico di ciò che si è e si va diventando nella propria storia, differenti e molteplici, mai rispetto ad altri, stretti in valutazioni che nello sforzo della definizione finiscono per ingabbiare. Di conseguenza, le attività da svolgere nella prevenzione e intuisco anche nella cura, sono culturali e psicologiche assieme. Ci ammaliamo nella formazione intellettuale, oltre che nell’anima e nel corpo.

Il giocatore o la giocatrice possono divenire consapevoli dei propri stati emotivi e più forti rispetto al sintomo riuscendo a gestirlo, solo analizzando la visione di vita, il copione personale, la mentalità rispetto a se stessi, agli altri, alla vita. Vivere non significa solo guadagnarsi da vivere ed è, quindi, importante indagare il rapporto di ogni essere umano con il denaro e con il significato della parola successo.

Il processo che rende libera e autonoma una persona non prevede proibizioni, punizioni, esclusioni, valutazioni che facilitano il processo di cosificazione di sé e dell’umano. La maturazione è frutto di riflessione, di tempo trascorso presso di sé, magari con una guida nella comprensione dei sotterranei dell’anima.

"Domani, domani tutto finirà": è la chiusa del romanzo e Dostoevskij ci credette.

Al centro rimane ogni persona con la sua ricerca tormentata di una difficile felicità. La prevenzione è il tempo fra la coazione a ripetere e la strutturazione psicologica definitiva del giocatore che non si diverte più, che ha perso la gioia. Considero sacro, quel tempo, dal latino sacer, il tempo dell’essere umano che viene al mondo per creare coscienza e che chiede il sacrificio della consultazione a più voci e dell’indagine profonda.

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Il giocatore 2017-05-15 17:19:28 combinazionimagiche
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combinazionimagiche Opinione inserita da combinazionimagiche    15 Mag, 2017
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Gioco metafora di vita

Avevo un certo pregiudizio nei confronti di quest’opera, dovuto alle recensioni lette qua e là: un’opera minore, scritta di fretta per non cedere al “ricatto” di un editore, che in mancanza della suddetta, avrebbe potuto pubblicare, per nove anni e senza pagarne i diritti, tutte le opere di Dostoevskij.
Protagonista e voce narrante è Aleksej Ivanovic, precettore dei figli minori di un Generale russo, ormai caduto in disgrazia, divorato dai debiti e dalle figure che gli stanno intorno. Aleksej è innamorato di Polina, figliastra del Generale e, sarà proprio l’amore verso quest’ultima a portarlo alla rovina, materiale e morale. Il suo avvicinarsi alla roulette e al gioco non è che una conseguenza del suo volersi innalzare ai suoi occhi, del suo voler essere il salvatore della fanciulla. Essa infatti è tenuta in scacco dal marchese De Grieux, creditore della famiglia.

…"prendete questi settecento fiorini e andate a giocare, vincete per me alla roulette quanto più potete; ora i quattrini mi sono necessari, costi quel che costi."

(…)"Dopo l’ordine di andare alla roulette era come se avessi ricevuto una botta in testa. Strano affare:avevo di che riflettere e invece sprofondai completamente nell’analisi dei sentimenti che provavo per Polina. Era vero, mi ero sentito più a mio agio in quelle due settimane di assenza che in quel momento, nel giorno del mio ritorno, benché in viaggio fossi impazzito dalla nostalgia, avessi corso come un ossesso e fossi arrivato al punto di vederla davanti a me ogni minuto."

Forse più che la fortuna al tavolo da gioco, nella prima parte del romanzo, tutti aspettano la morte della vecchia nonna, per ereditare la sua fortuna e modificare radicalmente le loro sorti: il Generale potrebbe, finalmente, sposare M.lle Blanche e ripagare tutti i suoi debiti, Polina liberarsi di De Grieux…ma la nonna lungi dall’essere moribonda fa la sua comparsa a Roulettenburg, con tanto di servitù al seguito. E sarà lei stessa a sperimentare il brivido tipico del giocatore, quell’adrenalina crescente ad ogni nuova puntata, quell’attesa, seguita ora da una gioia profonda ora da un’altrettanto profonda rabbia. Proprio al seguito della nonna il precettore farà sua quella voglia irrefrenabile di tentare la fortuna, nonostante la prima impressione sul casinò fosse stata terribile

"Tutto mi sembrò così lercio, per così dire moralmente brutto e lercio…(…) gli uomini, non soltanto alla roulette ma ovunque, non fanno altro che togliersi o vincersi qualcosa reciprocamente".
Aleksej gioca per salvare Polina, per salvare se stesso da un amore che lo divora, per comprare quella donna sfuggente eppure così vicina. Vincerà e anche parecchio, ma neanche questo gli farà conquistare la cosa più importante della sua vita, il rispetto e l’amore di una donna, quella stessa donna che offesa dal suo gesto rifiuterà lui e i suoi soldi…e questa sarà la vera rovina di Ivanovic, che inizierà ad annullarsi fino ad avere il solo scopo nella vita di sfidare la sorte, o la vita stessa, ad una roulette, nella scelta tra rouge et noire, pari et impair, manque et passe…

"Sono persuaso che, per metà, fosse entrato in gioco il mio amor proprio; avevo voglia di stupire gli spettatori, affrontando un rischio dissennato, e ricordo con chiarezza, strana sensazione!, che all’improvviso fui effettivamente dominato, al di là di ogni sfida della vanagloria, da una tremenda sete di rischio. Può darsi che, dopo essere passato attraverso tante sensazioni, lo spirito non finisca affatto col saziarsene, ma ne tragga soltanto un’esaltazione che lo spinge a esigerne sempre di nuove e sempre di più forti, fino alla definitiva estenuazione."

Come già nei miei incontri passati con Dostoevskij si ripresenta il mio amore/odio per lui. Una lettura che stenta a decollare, a coinvolgere del tutto finché non arriva un punto in cui non si riesce più a chiudere il libro e, anzi, lo si inizia a divorare, aumentando il ritmo della lettura, che diventa quasi una corsa. Anche stavolta Dostoevskij mi ha coinvolta e stravolta…e spero sia così anche per voi.

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Il giocatore 2016-01-29 20:04:29 Valerio91
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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    29 Gennaio, 2016
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Quel demone che è un oblio eterno

Non è certo il Dostoevskij immenso letto nei Karamazov, né quello geniale de "Le notti bianche", ma "Il giocatore" rimane un'opera di rilievo nel mezzo dei capolavori dello scrittore russo.
Nella sua perenne analisi degli abissi dell'uomo, stavolta egli si imbatte in uno di quelli al quale è più difficile sfuggire, quello del gioco, e lo fa con il suo stile inconfondibile, che riesce sempre a coinvolgere emotivamente.
Ne "Il giocatore" ci vengono narrate le vicende del giovane Aleksej Ivanovic, precettore dei figli di un generale ormai caduto in disgrazia economica, profondamente innamorato della figliastra di quest'ultimo.
Dal titolo piuttosto eloquente, si potrebbe presagire che il nostro cammino sia a fianco a fianco al nostro protagonista mentre egli per la maggior parte del tempo si conduce alla sua stessa rovina di fronte alla diabolica Roulette. Errore.
La sua caduta non sarà così eclatante, né il demone del gioco lo aggredirà così repentino e aggressivo. Esso è un male furbo e paziente. Esso si insinua, come ogni male oltremodo pericoloso, in maniera silenziosa nella vita del giovane, prendendone subdolamente possesso mentre egli è distratto e reso senza difese dalle assurde vicende che si susseguono nella famiglia, e dal suo amore che sembra non essere corrisposto. Una volta insinuatosi, il suo attacco sarà violento e improvviso, ancora più pericoloso perché proveniente dall'interno. La rovina viene rapida come uno sbatter d'occhi, e l'abisso in cui egli cade è senza fine né via d'uscita.

Nulla può tirarvi fuori da quel pozzo senza fondo, nemmeno l'amore che avete desiderato per tutta la vita, e nemmeno se è stato proprio quell'amore a gettarvici, nella speranza che avevate di conquistarlo. Anche se questo si rivelasse in tutta la sua luce, dopo che per tempo indefinibile era stato solo tenebre fitte, non avrebbe il potere di salvarvi.
Si diventa schiavi di un male dal quale crediamo di poterci liberare in qualsiasi momento, come se fosse soltanto questione di volontà; continuiamo a sottovalutarlo come quando ancora non ci aveva ghermito del tutto, ma scoprendo ogni momento che da esso non possiamo più scappare e che siamo soltanto burattini nelle sue mani, avendo perso ogni potere sulla nostra vita e le nostre scelte. Esse si limitano al furioso rimbalzare di una pallina su un frenetico cerchio rotante, che ormai detiene l'assoluto potere sul nostro destino e ne sceglie i colori al posto nostro.

"Vi siete fatto di legno - egli osservó, - non solo avete rinunciato alla vita, agli interessi vostri e a quelli sociali, ai vostri doveri di cittadino e di uomo, ai vostri amici, non solo avete rinunciato a ogni altro scopo, tranne quello di vincere al gioco: avete rinunciato perfino ai vostri ricordi. Vi ricordo in un momento ardente e intenso della vostra vita; ma sono sicuro che avete dimenticato tutte le vostre migliori impressioni d'allora; I vostri sogni, i vostri desideri quotidiani di adesso non vanno oltre il pair, il dispair, il rouge, il noire, le 12 cifre centrali e così via, e così via, ne sono certo!"

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Il giocatore 2015-08-18 15:59:44 Giovannino
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Giovannino Opinione inserita da Giovannino    18 Agosto, 2015
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L'azzardo di Dostoevskij.

Chi è il giocatore d'azzardo? Come si comporta al tavolo verde? Che differenze ci sono tra i vari giocatori in base alla loro nazionalità? A questa e a molte altre domande risponde in questo breve romanzo Dostoevskij, ma non solo.
Come in molti saprete questo romanzo è stato scritto nel 1866 in fretta e furia, Dostoeveskij doveva consegnarlo infatti in un mese al suo editore altrimenti quest'ultimo avrebbe avuto i diritti di pubblicazione su tutte le sue opere. Per evitare questo Dostoeveskij si fece anche aiutare nella stesura da Anna Grigorievna Snitkina, abile dattilografa che in seguito diventerà sua moglie. Il Giocatore lo potremmo definire un romanzo semi biografico, infatti lo stesso autore è stato per lungo tempo vittima del gioco d'azzardo (scrisse questo libro proprio per pagare dei debiti di gioco) e la sua conoscenza nel campo la si denota ogni volta che ci descrive le scene al casinò. Dostoeveskij conosce bene i comportamenti dei vari giocatori, sa riconoscere quelli impulsivi da quello più riflessivi, i moderati e i pacati. Inoltre conosce a meraviglia le regole dei vari giochi.

Il protagonista del romanzo è il giovane Aleksej Ivanovic, abile giocatore che svolge il ruolo di precettore in una famiglia stravagante è composta da diverse personalità originali. Aleksej è innamorato di Polina che però a sua volta (almeno apparentemente) è innamorata del marchese De Grieux (creditore della famiglia). La famiglia è appunto indebitata con De Grieux e l'unica speranza è l'eredità che la nonna moscovita darà alla famiglia alla sua morte. Un bel giorno però la nonna si presenta a casa e in men che non si dica non solo diventa ludopatica ma sperpera tutta la fortuna accumulata in una vita. Polina e i suoi familiari sono disperati e così decide di chiedere un prestito al nostro Aleksej che però possiede poco e nulla. Aleksej però non si abbatte, va al casino e in poco tempo accumula un patrimonio e lo porta a Polina. Quest'ultima però, quasi in preda alla pazzia, lo rifiuta e scappa con Mr. Astley, ricco inglese amico di famiglia. Andreij così si abbatte ulteriormente e convinto dai restanti membri della famiglia decide di andare a spendere tutti i soldi vinti a Parigi. Il finale non ve lo racconto ma sappiate che anche qui c'è "la redenzione" tanto cara all'autore russo.

Il romanzo è sicuramente un bel romanzo e si legge volentieri ma sicuramente non all'altezza degli altri capolavori, alcuni personaggi infatti non sono ben delineati come nelle altre opere e quindi viene meno uno dei suoi tratti distintivi, ma bisogna anche mettere in conto che appunto il libro è stato scritto in un mese. Per il resto il linguaggio è si elevato ma comunque scorrevole e il libro resta piacevole anche se non sicuramente uno dei migliori.

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Il giocatore 2015-02-18 16:15:31 viducoli
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viducoli Opinione inserita da viducoli    18 Febbraio, 2015
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Una pausa prima del filotto

Il giocatore è un romanzo costruito secondo uno schema consueto in Dostoevskij. E’ scritto in prima persona, il protagonista è un giovane che si trova ad intervenire in una complessa vicenda familiare, è innamorato della protagonista femminile, è in qualche modo inadeguato ad affrontare le situazioni che gli si presentano, finendo per divenire un ulteriore elemento di disordine. Anche in questo romanzo oltre a quella del protagonista-narratore, spiccano la figura di un ricco uomo di mezza età e quella di una giovane donna.
E’ come detto uno schema narrativo tipico di Dostoevskij, che ho ritrovato in sia in Umiliati e offesi sia ne L’adolescente, di recente letti.
Questa volta però, a mio avviso, lo schema non funziona sino in fondo. I personaggi principali, il Generale e Polina, ed anche lo stesso protagonista-narratore Aleksej Ivànovic, sono sbozzati male, mancano di quella carica di umanità (anche negativa) e di rappresentatività sociale che ha fatto degli analoghi personaggi dei due romanzi prima citati dei personaggi immortali. Si percepisce, in definitiva, che il romanzo è stato scritto in un solo mese per onorare un impegno contrattuale e salvarsi dalla rovina economica (proprio a causa del gioco).
Pur con questi limiti strutturali, si deve comunque dire che Il giocatore rimane ovviamente un grande romanzo. E’ grande soprattutto nel tono, che è quello del Dostoevskij gogoliano, ironico e satirico.
La componente satirica è in particolare legata alla analisi del microcosmo di piccola nobiltà cosmopolita che frequenta la città tedesca di Roulettenburg (sic!) ed alla possibilità fornita a Dostoevskij di descrivere sia il provincialismo dei russi all’estero sia i caratteri (per la verità un po’ stereotipati) dei vari rappresentanti delle nazioni europee: il rigido e formale barone tedesco, il gretto e venale marchese francese (cui si accompagna l’inevitabile cocotte), il freddo e distaccato borghese inglese. Emerge dal romanzo come Dostoevskij ce l’avesse in particolare con i francesi, che vengono letteralmente presi a pesci in faccia in varie parti del libro.
Il tono ironico, ed a tratti anche comico, raggiunge il suo apice nell’episodio della calata a Roulettenburg della nonna, che viene presa dalla smania del gioco e dilapida il suo capitale sotto gli occhi attoniti della famiglia che contava sulla sua morte e sulla conseguente eredità. La figura della nonna, che pure è presente solo una piccola porzione del romanzo, è senza dubbio, secondo me, la più riuscita tra i vari personaggi, proprio per il fatto di essere quella più aderente al tono complessivo del racconto.
Il giocatore può essere considerato in definitiva una sorta di commedia di costume, e la sua trama, opportunamente riadattata, potrebbe servire da spunto per il cinema italiano, se ancora esistesse un cinema italiano.
Certo un autore come Dostoevskij ci ha abituato a ben altro spessore narrativo: come accade anche in molti altri autori, tuttavia, le necessità della vita portano a convogliare il talento su testi vendibili, e forse è proprio questo che ha avuto in mente il nostro mentre dettava ad Anna Grigorievna Snitkina (sua futura moglie) questo romanzo. Prendiamolo quindi come una pausa che Dostoevskij si è preso prima di sparare quell’incredibile serie di colpi maestri che va da Delitto e castigo a I fratelli Karamazov.

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I grandi capolavori di Fëdor Michajlovi?
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Il giocatore 2015-01-05 09:21:58 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    05 Gennaio, 2015
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Il demone dell'azzardo

Le mani tremano, le tempie sono fradice di sudore. Gli occhi seguono ipnotizzati la roulette che turbina vorticosamente, mentre nell'altro senso gira a gran velocità quella pallina d'avorio carica delle speranze di ognuno dei giocatori che si accalcano attorno al tavolo. Un lungo istante precede il responso dell'infida sfera, un attimo che appare infinito durante il quale un brivido percorre la schiena, un inarrestabile formicolio pervade le membra e il terrore di un insuccesso toglie fiato e lucidità. Quindi, guidata dal fato, dalla sorte, dal caso o da quello che si preferisce la biglia sceglie la sua casella, il disco si ferma e vengono decretati vincitori e vinti. I primi esultano inebriati dall'adrenalina e da quel senso di onnipotenza che dà la vittoria. Le loro mani arraffano il frutto della giocata vincente mentre la loro mente è già proiettata al prossimo giro di ruota. I secondi sprofondano in un senso di sconforto che li inebetisce, la rabbia li rode, il bisogno di riscattarsi si fa impellente e li costringe a tentare nuovamente la fortuna guidati dalla stessa speranza e oppressi dalla medesima paura. Il gioco diventa un circolo vizioso che porta alla rovina, il demone dell'azzardo concupisce l'uomo approfittando delle sue debolezze. Lo sa bene il nostro caro Alekséj Ivànovitch che attorno a quella maledetta ruota numerata ha visto compiersi il decadimento della rispettabile “baboulinka” Antonida Vassìlevna, crollare i castelli di sabbia dell'altero generale, insinuarsi il germe della follia nella sua amata Polina Aleksàndrovna, realizzarsi infine la propria rovina. Il vizio della roulette lo ha portato a girovagare di tavolo in tavolo, di casinò in casinò, di città in città inseguendo quella che in realtà non è sete di denaro. Lui i soldi li disprezza, se c'è una cosa che ha imparato è che neanche con una vincita di centomila fiorini si può comprare la cosa che più conta nella vita: l'amore. A spingerlo verso il baratro è piuttosto l'insoddisfazione, la follia, la fame di gioco fine a se stessa. La medesima malattia che ha tormentato per gran parte della sua esistenza l'autore stesso, il grande Dostoevskij che, forte delle sue sventure ai tavoli da gioco, crea e ci lascia questo piccolo capolavoro letterario. La dolcezza della sua penna e la solita maestria nel raccontare le vicende umane si accompagnano alla sua infausta esperienza di giocatore, regalando un romanzo breve ma denso di significato, nonché pregno di coinvolgimento emotivo e ricco di sensazioni. La paura, la speranza, la rabbia, la gioia, le angustie, tutti i sentimenti prodotti dall'azzardo vengono abilmente sviscerati dal maestro russo che attraverso il protagonista Aleksèj diffida i lettori dal farsi affascinare dal demonio del gioco che inevitabilmente porta l'uomo verso la più terribile iattura, perché "chi capita una volta su quella strada, è come se scivolasse in slitta da una china nevosa, sempre più in fretta, sempre più in fretta”.

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Il giocatore 2014-07-08 17:13:19 Mancini
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Mancini Opinione inserita da Mancini    08 Luglio, 2014
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Una famiglia atipica

Leggendo il titolo si potrebbe essere portati a pensare al singolo che, preso dall’angoscia di qualche evento doloroso o perché malato di gioco, si rinchiude in un casinò ad attendere la fine del proprio denaro, inesorabile epilogo degno di ogni dipendenza, ma che nella mente del malcapitato rappresenta la sola vera valvola di sfogo in cui annegare i propri pensieri.
Storia già sentita, troppe volte.
Il vero quadro raccontato da Dostoevskij ne “Il giocatore” è quello di una famiglia allargata atipica dalla morale dubbia.
Atipica perché non rispondente alla solita struttura genitori-figli, di dubbia morale perché ognuno dei componenti sembra non provare dei sentimenti veri e genuini verso nessun altro.
Il Generale, anonimo capofamiglia, spoglio di qualsiasi autorità degna del proprio titolo è caduto in rovina e ha un disperato bisogno di soldi per estinguere il suo debito con il Marchese De-Grieux, presenza non meglio definita nel racconto.
Aleksej Ivanovic è il precettore dei figli più piccoli del generale che ha anche una figliastra, Polina, innamorata di De-Grieux e della quale Aleksej è invaghito.
Tutti insieme si ritrovano in una cittadina della Germania per giocare alla roulette insieme a Madamoiselle Blanche, di cui Il generale è innamorato, e la madre di lei.
Unica salvezza, ancor più che il gioco, potrebbe essere una tanto attesa lettera con la notizia della morte della nonna Antonida, malata da tempo, la cui eredità sarebbe una manna dal cielo.
Ma non solo la lettera non arriverà mai, ma a gran sorpresa sarà proprio la nonna stessa in carne ed ossa a presentarsi e la stessa scoprirà una forte passione per il gioco che la condurrà attraverso vicende che si dividono tra il comico e il grottesco.
La narrazione non entra nel dettaglio dei sentimenti di nessuno dei personaggi, si limita solo alla descrizione dei fatti, ma nonostante ciò il lettore riesce ad avere chiaro in mente un quadro desolante che ne esce perché il gioco pare essere il solo mezzo per risolvere sia situazioni patrimoniali che passioni che hanno difficoltà a trovare una via di sfogo più naturale.
E il gioco, come avviene nella vita reale, è capace di portare grandi gioie e grandi dolori, molto spesso in un frangente di tempo davvero limitato.
Non mancano i momenti di pura comicità e in questo senso vincente si rivela la figura della nonna e la sua poltrona sulla quale siede mentre è portata da un posto all’altro da tutto il suo entourage.
La differenza sociale tra le diverse classi è l’altro tema chiave del racconto; nobili e “gente comune” messi l’uno affianco all’altro, con il contrasto tipico che ne consegue, con le relazioni che si costruiscono e si sfaldano come fossero nodi legati alla buona.
Unico vero “vincitore” del gioco, quello sociale, non quello d’azzardo, risulta Aleksej il precettore, equilibrio di varie qualità, pur senza eccellere in nessuna di loro.
Il Giocatore si legge in modo piuttosto liscio proprio perché non impegna, non per questo però manca di far riflettere su situazioni di vita che molti di noi della “vita reale” si sono trovati a vivere almeno una volta.

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