Narrativa straniera Classici Il Conte di Montecristo
 

Il Conte di Montecristo Il Conte di Montecristo

Il Conte di Montecristo

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Edmondo Dantès, marinaio, prigioniero, misteriosamente ricco, mette a soqquadro l'alta società parigina. Imprigionato a Marsiglia nel 1815, il giorno delle nozze, con la falsa accusa di bonapartismo, rimane rinchiuso per 14 anni nel castello di If, vittima della rivalità in amore di Fernando e in affari di Danglars, odiato anche dal magistrato Villefort. Questi i tre nemici su cui, dopo l'evasione, cadrà la terribile vendetta di Dantès.



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Il Conte di Montecristo 2022-11-28 01:34:26 Laura V.
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Laura V. Opinione inserita da Laura V.    28 Novembre, 2022
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"Attendere e sperare"

Un superclassico, senza alcun dubbio!
Per recensirlo per bene forse non basterebbero fiumi d'inchiostro, vista la vastità dell'opera. Tuttavia, proprio come nel caso di tanti altri celebri classici, che cosa mai si potrebbe aggiungere a ciò che è già stato detto e scritto finora in merito a tale romanzo? Niente di importante, credo.
Riporto soltanto che questa lettura (in verità, alquanto impegnitiva per via della mole del volume) è stata per me molto coinvolgente a partire dall'incipit sino a quando il protagonista riesce a trovare e a fare suo lo strabiliante tesoro nascosto nell'isoletta rocciosa di Motecristo. Nel complesso, la vicenda narrata in queste pagine è appassionante, Alexandre Dumas (1802-1870) è abile nel descrivere situazioni e personaggi, rivolgendosi più di una volta quasi in modo diretto al lettore; occore però riconoscere la pesantezza di alcune parti del romanzo, prima fra tutte quella relativa al carnevale e ai banditi romani in cui - lo confesso - mi sono quasi impantanata.
Ecco perché, tenuto conto di questo, procedendo verso la fine, pensavo di attribuire al romanzo un voto compreso fra le 4 e le 5 stelle; poi, giunta finalmente all'epilogo, mi sono commossa e allora ho optato per il voto massimo. Sì, mi è piaciuto molto il modo in cui Dumas chiude la lunga e tribolata storia di Edmond Dantès, personaggio affascinante con il quale il lettore entra ben presto in empatia. Colpisce, inoltre, il messaggio che l'autore sembra voglia trasmettere: al di là di ogni possibile desiderio di vendetta, umanamente comprensibile a seconda dei torti subiti, esiste pur sempre un limite oltre il quale è bene non spingersi per non rischiare di precipitare nell'abisso senza ritorno di una disumanità che non farebbe altro che danneggiare noi stessi. Alla sete di vendetta, pertanto, subentra infine il perdono, se non la compassione. Insomma, quando tutto sembra ormai perduto, come ci insegna a più riprese questa vicenda, la vita potrebbe ancora offrire un'altra possibilità. Del resto, per riprendere le parole che riecheggiano in chiusura, all'uomo cos'altro resta se non "attendere e sperare"?
Un romanzo ottocentesco forse con i suoi limiti, ma senz'altro un'opera fondamentale della letteratura mondiale.

"[...] Occorrono le sventure per scavare certe miniere misteriose nascoste nell'intelligenza umana; occorre la pressione per far scoppiare le polveri. [...]" 

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Il Conte di Montecristo 2021-10-26 20:14:48 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    26 Ottobre, 2021
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Una vendeta petulante

«[…] A meno che un cattivo pensiero nasca dall’errore, la natura umana ha orrore del crimine. Però la civiltà ci ha dato dei bisogni, dei vizi, dei falsi appetiti che a volte ci portano a soffocare i nostri buoni istinti, conducendoci al male. Da qui discende la massima: se vuoi scoprire il colpevole, comincia cercando di capire a chi poteva tornare utile il crimine. A chi poteva tornare utile la tua sparizione?»

Edmondo Dantès è un giovane sicuro, ingenuo e dal futuro roseo e promettente quando l’opera ha inizio. È pronto a sposare la sua amata Mercédès, è pronto alla sua scalata sociale, il giovane. Eppure qualcosa non va come da lui presupposto ed ecco che Edmondo da uomo libero si ritrova accusato di un crimine che lo conduce a una prigionia che durerà anni e che lo vedrà perdere tutto quello che ha, compresa ogni possibilità di fato. Sarà tra queste mura all’interno della prigione sull’isola di Montecristo che l’uomo conoscerà l’abate Faria che gli lascerà in dote il suo segreto. E riuscirà a fuggire, Dantès. Riuscirà a tornare in libertà l’uomo, riuscirà a ricominciare. Avrà inizio da questo momento la sua vendetta. Una vendetta fatta di una vita privata e portata via, una vita il cui corso e il cui proseguire è stato interrotto e fermato da un tiro losco del destino, un tiro giocato dall’invidia umana e dalla gelosia dell’altro.

«La felicità e l’infelicità sono un segreto domestico. Le mura di casa hanno orecchie, ma non hanno lingua. Se una fortuna immensa basta a essere felici, Danglars lo è di certo.»

Ha inizio da qui la parte prevalente dell’opera, uno scritto che da questo momento in poi si concentra tanto sulla vendetta e su quelli che sono i piani per riprendersi quel che è stato tolto. Se quindi la prima parte dell’opera fatica a decollare ma incuriosisce perché il lettore è spinto a sapere e a conoscere, nella seconda quando inizia la progettualità vendicativa, il conoscitore inizia ad essere sfiancato e a restare basito da quelle scelte che vengono compiute e che sono portate in essere.
Il risultato è che la lettura si fa farraginosa, lenta e a tratti petulante. Con uno stile rapido ma che collide con quello che è il componimento nel suo complesso. Resta un’opera che merita di essere letta e che merita di far parte del bagaglio culturale di ogni lettore ma onestamente o si ama o si odia. Non penso esistano molte mezze misure proprio per la sua struttura, per l’età che inizia a risentire, per questi personaggi tratteggiati ma eppure caricaturali o fatiscenti che faticano ad entrare in sintonia ed empatia con chi legge.
Da leggere per completezza.

«Dantès, gettato nel mondo dopo una solitudine infinita, a volte avvertiva un bisogno imperioso di stare da solo. E quale solitudine è più immensa e poetica di quella di una nave che solca il mare deserto, nella notte più nera, nel silenzio dell’immensità, sotto lo sguardo del Signore?»

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Il Conte di Montecristo 2021-05-16 14:46:34 LuigiF
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LuigiF Opinione inserita da LuigiF    16 Mag, 2021
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Tanto mestiere, poca Arte

Una abusata critica che vuole il Manzoni pigro e scarsamente produttivito, enfatizza gli oltre venti anni occorsi per la stesura  dei Promessi Sposi proprio mentre, oltralpe, scrittori francesi sfornavano corposi romanzi a ritmi forsennati.
Ricordo che ai tempi del liceo, causa la forzata lettura scolastica che avrebbe reso indigesto lo stile Manzoniano anche al più ispirato tra gli studenti, mi compiacevo nel far mia quella critica tanto  sprezzante quanto ingiusta. Solo una rilettura in età adulta, mi consentì di apprezzare pienamente lo spessore e la raffinatezza di quello che resta un capolavoro imprescindibile della nostra letteratura.

Ho appena terminato, non senza fatica, "Il Conte di Montecristo"  e quel giovanile e superficiale giudizio mi è tornato alla mente e con esso la consapevolezza di quanto fosse davvero improprio anche solo accostare opere di qualità tanto differente.
Per dirla con Umberto Eco:” Il Conte di Montecristo è uno dei romanzi più mal scritti di tutti i tempi e di tutte le letterature”.
Come dargli torto? Personaggi enfatizzati, caricaturali, banali nella loro monolitica psicologia priva di sfaccettature. E poi ... una storia inverosimile, inconsistente, forzature continue, estenuante ricerca di stucchevoli effetti a sorpresa e colpi di teatro ...nessuna  pagina “alta”, nessuno stimolo alla riflessione ... puro e semplice intrattenimento.

Se il romanzo è passato alla storia entrando nel nostro immaginario collettivo,  lo si deve unicamente all’avvincente racconto della prigionia di Edmond Dantes nelle segrete del castello d'If, dell’incontro con l’abate Faria e della spettacolare  fuga. In quella narrazione, che occupa la parte iniziale del romanzo, ogni lettore del mondo si è potuto immedesimare nel recluso disperato avvertendo quasi fisicamente l’umidità e la tetraggine di quelle celle nonché  il sapore vertiginoso della libertà riconquistata.
Il romanzo sarebbe dovuto terminare qui.

Tutto il resto, ovvero le oltre ottocento pagine che raccontano l’inesorabile vendetta del conte, dai capitoli romani a quelli parigini, è davvero poca cosa, costruito com’è  in modo così improbabile e posticcio. Nulla più che un feuilleton insomma. Una telenovela ante litteram.
Di questa corposa parte salvo soltanto due cose. 
La prima è la descrizione della pubblica esecuzione di un condannato a morte per “mazzolamento”. La scena ambientata in Piazza del Popolo a Roma, si imprime nella memoria del lettore per vividezza e drammaticità. Una scena "pulp" che farebbe felice un fan di Tarantino.
La seconda è il veloce tratteggio di un personaggio del tutto secondario e marginale nell’imponente svolgersi della narrazione; tale mademoiselle Danglars i cui gusti omosessuali, per nulla celati,  sanno di modernità e trasgressione.
Un po’ poco per un romanzo di 1200 pagine belle fitte.

Teniamoci stretto il nostro Manzoni e, per una volta, accantoniamo l’esterofilia.

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Il Conte di Montecristo 2021-01-27 15:55:45 assuntabruno
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assuntabruno Opinione inserita da assuntabruno    27 Gennaio, 2021
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Attendere e sperare

“Sono colui che vi aveva condannato a morire di fame, e che pur tuttavia vi perdona, giacchè egli stesso abbisogna di essere perdonato: io sono Edmond Dantès”. Questa frase condensa la parabola discendente e poi ascendente del suo protagonista. Edmond Dantès: il marinaio, il forzato, il conte dalla ricchezza inesorabile, il vendicatore, la mano di Dio ed infine l’individuo in cui emerge, dopo tanto soffrire, l’anelito di pace ed il desiderio di essere amato.
Di questa opera tanto si è discettato, da essa sono stati tratti pieces teatrali, film e serie tv. Del protagonista stesso molto si è scritto, in particolare della contrapposizione tra il giovane ed entusiasta marinaio e l’ombroso ed erudito conte. Sarebbe presuntuoso credere di poter risolvere in poche battute un dibattito che per quasi due secoli i lumi letterati hanno portato avanti.
Quello che mi piacerebbe fare è solo fornire alcuni spunti di riflessione, personali ed opinabili, che solletichino chi leggerà questo mio contributo ad approcciarsi ad un’opera meravigliosa.
Ciò che mi ha colpito particolarmente è l’alone di mistero che non soltanto aleggia intorno alla figura di Dantès-Montecristo, ma che avvolge l’intera storia della “venuta al mondo” del romanzo. Scritto a puntate su riviste dell’epoca, una volta morto Dumas padre, il testo fu oggetto di rimaneggiamenti e cambiamenti che portarono a versioni differenti del manoscritto orginario, ormai irrimediabilmente trasformato e pubblicato in edizioni differenti l’una dall’altra, talvolta con capitoli diversi, con censure o estensioni della trama. Di conseguenza, motivazioni editoriali e motivazioni di traduzioni confuse e più o meno discostate dal significato originale hanno fatto sì che quello che oggi abbiamo tra le mani non sia sicuramente il prodotto puro ed integrale pensato e scritto da Dumas padre e dai suoi collaboratori.
L’iter travagliato di questa opera ha destato in me il forte interesse a saperne di più. Così mi sono imbattuta nell’ultima edizione, curata da Claude Schopp, il massimo esperto del conte di Montecristo, che non ha fatto altro che riunire tutti i carteggi e le edizioni di Dumas per tirar fuori una nuova edizione, la più vicina a quella partorita dall’autore.
Leggere un tomo di oltre mille pagine può sembrare un’impresa ardua, ma questo romanzo è veloce nella scrittura, accattivante nelle descrizioni, e colmo di quel pathos e della carica emotiva che tengono il lettore incollato alle pagine. Ogni personaggio è ben caratterizzato, ha una sua storia ed una propria evoluzione, ma soprattutto tutti, anche lo stesso Montecristo, non sono immuni dal peccato.
Il Montecristo- vendicatorein quanto incarcerato, umiliato e sbeffeggiato, è colui che pecca di yubris per aver creduto di essere la mano del Dio del vecchio Testamento, quasi come il Gabriel angelo della morte.
Dantès, dunque, pecca come coloro che gli hanno fatto del male ed è proprio attraverso il rancore, la vendetta e la trama sinistra così ben orchestrata che egli farà ritorno in quella cella che era stata la sua tomba per quasi vent’anni, ma con una consapevolezza nuova: il perdono.
Il perdono ed il passaggio dal Dio vendicatore dell’Antica Legge al Signore che, da padre, ti abbraccia e ti perdona.
Ecco perché ho amato il conte di Montecristo…. perché mi ha insegnato qualcosa, di scontato? No, di bello ed universale. Il perdono.

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Il Conte di Montecristo 2020-04-26 10:14:09 Innamorata
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Innamorata Opinione inserita da Innamorata    26 Aprile, 2020
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Uno spettacolo

Un capolavoro senza tempo. Una storia destinata ad entusiasmare ogni animo. Essa ti fa sprofondare negli abissi più oscuri e malvagi dell’esistenza e poi, con uno slancio ti fa riemergere in tutta la sua bellezza. Perchè solo chi ha toccato il fondo del suo essere può sentire veramente il sapore della vita. “Solo chi ha provato la sventura estrema è adatto a sentire l’estrema felicità. Bisogna aver voluto morire per sapere quanto è bello vivere”.
Personalmente credo sia la storia più appassionante che sia mai stata scritta, la più completa e la più vitale. Perchè ora che ho conosciuto questo straordinario personaggio che è il protagonista, Edmond Dantès, mai lo potrò dimenticare. Egli è il Conte di Montecristo, l’uomo che tutto conosce e che a nulla appartiene, l’uomo dotato di una presenza incontrastabile che disarma chiunque, l’uomo che possiede una ricchezza indefinita che nessuno conosce. Ogni suo sguardo, ogni sua parola ha un valore inestimabile, nulla viene lasciato al caso. “La gente si disputava le sue parole, come capita sempre alle persone che parlano poco e che non dicono mai una parola senza valore”. Io stessa leggendo non aspettavo altro che rivederlo comparire, qualunque personaggio si trovasse ad interpretare. Mai riuscirò a rendere a parole chi è il Conte di Montecristo.
La descrizione degli eventi la considero magnifica, lo scrittore è dotato di enorme vitalità inventiva. Ho apprezzato molto il colore che è riuscito a dare alle parole, anche un semplice aggettivo viene reso spettacolare.
Oltre al personaggio principale, sono rimasta particolarmente colpita dal procuratore del re Villefort. Egli è un uomo molto ambizioso, intelligente e dedito al suo lavoro che rappresenta un modo per espiare le sue stesse colpe. Il suo ruolo slitterà inesorabilmente da giudice ad accusato per finire in una favolosa e terribile follia, fatta di cupi eventi riemersi dal passato e dalla prigione del suo presente.
Compare anche il tema dell’amore, inizialmente idealizzato nella figura di Mercedes ma è un amore del passato, di un altro tempo. Ed è stato bellissimo per me leggere che il protagonista, dopo tutte le sue sofferenze, ha capito una cosa che non osava più credere, che al mondo c’erano due Merecedes, e che poteva ancora essere felice. Personalmente ho tratto da ciò un insegnamento importante.
L’identificazione del lettore con il protagonista è immediata, l’unico momento che potrebbe far dubitare il lettore del suo percorso di vendetta è quando egli stesso affronta un dibattito interiore, ma nulla altro vi svelerò.
Consiglio la lettura di questo romanzo che avidamente ho affrontato e che vi assicuro, non vi deluderà.

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Il Conte di Montecristo 2020-04-22 11:46:12 martaquick
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martaquick Opinione inserita da martaquick    22 Aprile, 2020
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IL CLASSICO DEI CLASSICI

Finalmente terminato il Conte di Montecristo, posso condividere con voi la mia opinione perchè sicuramente trama e contenuti sono noti a tutti.
Non mi dilungherò perchè tutto quello che posso dire è che sicuramente questo famoso e importante classico della letteratura è ricco in tutti i sensi: di personaggi, di contenuto, di stile e di pathos.
Devo anche aggiungere che per leggerlo tutto mi ci sono voluti due mesi (nel frattempo ho letto anche qualche altro breve romanzo) ed è uno dei libri che ho impiegato più tempo a leggere in tutta la mia vita.
Sicuramente la mole del romanzo e il linguaggio forbito non hanno aiutato a renderlo scorrevole, e a mio parere alcune parti si potevano benissimo leggermente tagliare senza nulla togliere al romanzo.
Rimane il fatto che in tutta la sua complessità e spessore è un racconto che lascia il segno, i personaggi sono delineati in maniera magistrale e sopratutto il protagonista Dantés, l'uomo dai molti volti, subisce un percorso interiore che entra anche dentro di noi, vorremmo quasi supportarlo nel suo periodo di prigionia ed essere la mano della sua vendetta.
Le ultime 200 pagine per me sono un capolavoro e la conclusione che immaginavo diversa, mi ha lasciato piacevolmente appagata.

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Il Conte di Montecristo 2020-04-13 15:25:34 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    13 Aprile, 2020
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Di tutto e di più

Questo notissimo titolo di Alexander Dumas padre è stato il prototipo del perfetto romanzo d’appendice, un racconto lungo di avventure varie edito in puntate, che richiamava puntualmente schiere di appassionati in religiosa attesa, fedeli al consueto appuntamento con l’uscita della puntata successiva.
E a ragione, perché mai come in questo racconto, un altro capolavoro dell’autore dei “Tre moschettieri”, si realizzava in pieno quel meccanismo letterario detto della fidelizzazione del lettore.
Questo rappresenta la soddisfazione maggiore di un autore, quello di sapere che i suoi lavori contano su uno zoccolo duro di amatori, che seguono con fedele e intensa partecipazione la sua storia.
I fedeli lettori si concentrano sulla lettura con attenzione degna di miglior causa, trepidano per le avventure del loro eroe riversato sulla carta, solidarizzano con questo, ne seguono letteralmente con il cuore in gola le sue alterne fortune.
Restano immancabilmente, e sempre, proprio sul più bello, delusi per la fine della puntata, perché ansiosi di seguire l’evoluzione degli avvenimenti, pertanto in febbrile attesa dell’uscita successiva, per riprendere il ciclo emozionale che tanto li gratifica.
Di tutto questo fu maestro Alexander Dumas, in virtù dell’abilità descrittiva, semplice ed efficace insieme, incisiva pur se espressa con prosa fluida ma scarna, che conta su pochi tratti elementari, delineati tenuto conto della platea dei lettori.
Inoltre, a questa si univano la sua fervida fantasia e l’indubbia capacità di suscitare “suspense”, la spasmodica attesa nel lettore, tenendolo in qualche modo direttamente coinvolto nei risvolti morali delle vicende descritte.
“Il conte di Montecristo” non è pertanto di per sé un classico, o un capolavoro della letteratura d’avventura, è contemporaneamente qualcosa di meno nella forma e qualcosa di più nel contenuto. Lo stile della scrittura non è colto o forbito, poiché il testo è indirizzato a una varietà di utenti differenti tra loro per motivi di censo, di cultura e di capacità di lettura, comunque non certamente un lettore erudito, secondo i canoni classici, più spesso erano lavori graditi dalla piccola e media borghesia e dal popolino con un minimo di capacità di lettura.
La sua fortuna sta tutta nel contenuto: esso è una summa, un condensato di elementi letterari di vario genere, un contenitore di tutto e di più tale da accontentare qualsiasi tipo di lettore.
Non solo; proprio per questo coacervo di generi, suscita sensazioni diverse, talora contrastanti: commuove e indigna, entusiasma e deprime, avvince ed esalta.
Questo è un romanzo di brave persone e di buoni sentimenti; è una storia d’amore filiale e di passione per la propria donna; è un racconto di giustizia e di tradimenti, di beghe politiche e differenze sociali; tratta di tesori, di ricchezze, di arricchimenti leciti o truffaldini, di suicidi e avvelenamenti, d’inganni e travestimenti, di duelli e di assassinii, d’infanticidi e amori proibiti e omosessuali.
E ancora, e oltre, e ancora oltre: di amore e di morte, di tutto e di più, non c’è lettore che non ne esca soddisfatto dalla sua lettura, perché rinviene inevitabilmente elementi narrativi che solleticano la corda giusta adatta a tutti.
Trovano soddisfazione qui chi ama il mare, gli amori inebrianti, l’epopea napoleonica; i castelli e le segrete, le fughe e le evasioni, i misteri e i tesori nascosti.
La ricchezza e la possibilità di cambiare vita, crearsi ex novo una nuova storia ed una nuova identità, porre rimedio alle ingiustizie e ricompensare i buoni, nascondersi e camuffarsi, sorprendere e rivelarsi, innamorarsi di nuovo e rifarsi un’esistenza lieta dopo tanto patire.
Il protagonista Edmondo Dantes è il prototipo della persona perbene, serio, onesto, lavoratore indefesso bravo e competente, figlio devoto e perdutamente innamorato della sua fidanzata.
Un giovane in procinto di spiccare il volo, di dare un costrutto rilevante alla propria esistenza umana e professionale, allorchè per una palese e crudele macchinazione ai suoi danni, è ingiustamente privato del suo onore e della sua libertà, perde tutto, dagli affetti alla reputazione, e ridotto in catene nella più tetra e inoppugnabile fortezza.
Dalla quale riesce, ovviamente in maniera rocambolesca, che libro di avventure sarebbe, se no, ad evadere, e diventa ricchissimo grazie ad un classico tesoro nascosto.
Da questo momento in poi si comporta come si comporterebbe chi, ai nostri giorni, venisse baciato in fronte dalla fortuna azzeccando una vincita multimilionaria al superenalotto.
La nuova condizione finanziaria gli permette una svolta epocale, come sogniamo tutti.
Si rifà un’esistenza, a suo piacimento, nel fisico e nell’origine, come i mezzi gli permettono.
Si vendica dei suoi nemici e accusatori, e nei modi più fini ed indicati all’uopo, in una sorta di legge del contrappasso, premia e ricompensa coloro che in epoca non sospetta erano dalla sua parte.
Come si vede è contemporaneamente giudice e giustiziere, angelo del bene e nemesi spietata, come farebbe piacere a chiunque esserlo nei confronti dei vicini prossimi della propria esistenza.
Chi di noi non ha mai sognato di togliersi qualche sassolino dalla scarpa, se solo la dea fortuna si decidesse a volgere il suo sguardo benevolo su di noi?
Attorno a questo nucleo centrale, Dumas si sbizzarrisce a creare intrighi, intrecci, personaggi vari e differenti, racconti e avventure dentro la storia principale, fa sfoggio di tutta la sua abilità di letterato, crea infine un romanzo che è la metafora dell’eterna lotta del bene contro il male.
Un romanzo solo per questo quindi da definire eterno e inesauribile, che riguarda e coinvolge tutti, ognuno trova qualcosa che gli piace in questa lettura.
Per questo, continua a essere letto. E riletto, che non è cosa che vale per tutti i libri.

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"I tre moschettieri" e...i classici dell'avventura!
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Il Conte di Montecristo 2019-10-03 21:22:33 cristiano75
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cristiano75 Opinione inserita da cristiano75    03 Ottobre, 2019
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Quando la vendetta supera l'offesa

Libro monumentale, che va letto con molto calma e pazienza.
La prima parte è una montagna russa tra noia e avventura.
Se da una parte la scena del matrimonio può risultare a tratti di un tedio quasi mortale, quando si giunge nelle scene del carcere si respira finalmente il genio visionario dell'autore.
La seconda parte del libro è dedicata alle vendette che il nostro eroe attuerà verso coloro che hanno rovinato la sua esistenza e quella delle persone amate.
Anche qui si rischia di non finire l'opera, poichè molte scene sono assai prolisse e ripetitive, con personaggi anche abbastanza irritanti.
Ma la fatica di proseguire la lettura è proprio quando si giunge a leggere le varie meravigliose vendette che ci mostrano quanto odio possa annidarsi nel cuore di una persona.
La vendetta calerà con tanto impeto e dolore che lo stesso protagonista ne viene colpito e prova anche dei sensi di rimorso.
Diciamo subito che molti potrebbero paventare una sorta di clemenza, di perdono verso chi ha compiuto dei gesti gratuitamente cattivi, eppure io durante tutta la lettura del romanzo non attendevo altro che leggere come il protagonista avrebbe portato a compimento i suoi diabolici piani.
E' difficile poter giudicare una persona e i suoi comportamenti se non si è vissuto sulla propria pelle certe esperienze. Credo che il grande pregio dell'autore in questo monumentale romanzo, sia quello di riuscire a far immedesimare completamente il lettore nella scena e negli stati d'animo dei vari protagonisti. Quindi non risulterà troppo difficile giustificare i meccanismi psicologici che portano il Conte di Montecristo a fare piazza pulita di tutti coloro che si sono anteposti tra lui e la felicità.

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Il Conte di Montecristo 2019-02-13 12:15:13 Tomoko
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Tomoko Opinione inserita da Tomoko    13 Febbraio, 2019
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Romanzo ottocentesco ma contemporaneo

Ecco il conte di Montecristo
Inutile descrivere la conosciuta storia di Edmond Dantes.
Parto dal fatto che il libro è da consigliare a chiunque.
È stato scritto nel 1844 ma Dumas e’ capace di renderlo incredibilmente moderno.
Perché consigliarlo a chiunque?
Ebbene, contiene tutto ciò che un lettore può desiderare da un libro, incalzante, ricco di suspance, porta con sè tutti i generi letterari.
Precursore del genere thriller, giallo, noir, è
un romanzo d’avventura dove il lettore incontra briganti, pirati, marinai, re e pascià, per non parlare dell’isola di Montecristo con il suo immenso tesoro.
Ti accompagna attraverso sfarzosi carnevali romaneschi e le più varie località del mondo, Marsiglia, Roma, Parigi, Medio Oriente assieme ad Haydeè, la bellissima principessa greca.
Una infinità di emozioni intrecciate a moltissimi colpi di scena.
Iniziando con L’Amore per il padre e la fidanzata, la solitudine ed il dolore costantemente presenti nella prigione del castello D’IF, la rabbia, talmente tanta da portare allo sfinimento, la corruzione, corrotto è il sostituto procuratore del re Gerard de Villefort, per poi passare alla rassegnazione, speranza, fede e avidità. È la vendetta però l’epicentro di tutta la storia.
Ma basterà al conte di Montecristo, soddisfare la sua anima accecata di vendetta?
Questo racconto porta con sé significativi insegnamenti, e sta proprio a voi lettori coglierli e farne tesoro.
Io credo che dovreste assolutamente leggerlo per percepire questo vortice di emozioni che lascia!
E se ci fosse qualcuno che dice che questo libro è brutto, probabilmente o non l’ha finito oppure si basa sul film con Gerard Depardieu.
Nonostante la mole del volume
(1300 pagine), alla fine, credo un po’ a tutti
dispiacerà salutare i protagonisti.
Almeno per me così è stato.

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I tre moschettieri
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Il Conte di Montecristo 2018-03-10 17:27:59 Chiara77
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Chiara77 Opinione inserita da Chiara77    10 Marzo, 2018
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Aspettare e sperare

Edmond Dantès è un giovane marinaio, il 24 febbraio 1815 sta tornando nel porto della sua città, Marsiglia, a bordo della nave dove lavora, il Faraone. Il ragazzo è bravo, industrioso, energico e ha buoni sentimenti. Ha pochi affetti a cui è legatissimo: il padre anziano e la fidanzata, Mercedes. La vita sembra sorridere al buon giovane: stimato dal proprietario del Faraone, quasi sicuramente ne diventerà il nuovo capitano, visto che quello precedente era appena morto e sposerà l'amatissima Mercedes, prima di riprendere la via del mare, dovuta alla carriera di marinaio.
Ma c'è bisogno che continui a riassumere, se pure a grandi linee, gli elementi costitutivi della trama di questo celeberrimo romanzo? Io stessa prima di iniziare la lettura li conoscevo già. Chi non conosce la storia del conte di Montecristo? La storia di Edmond Dantès, ingenuo perchè incapace di provare i sentimenti cattivi di cui rimane purtroppo vittima, cioè l'invidia, la gelosia, l'avidità, che viene tradito nel modo più vile da alcuni conoscenti e, nel giorno che avrebbe dovuto essere il più felice della sua vita, viene arrestato e condotto nel tenebroso Castello d'If, dove venivano rinchiusi i prigionieri politici.
All'inizio Edmond sembra perdere ogni speranza, passano i giorni, i mesi e gli anni e la prospettiva di trascorrere tutto il resto della vita in isolamento lo fa pensare concretamente al suicidio. Inaspettatamente riuscirà però ad entrare in contatto con un altro essere umano, un altro prigioniero, Faria, che viene considerato da tutti un pazzo ma che in realtà è un uomo eccezionale. Egli inizierà Edmond alla cultura, gli insegnerà le lingue, la filosofia, le scienze, lo farà tornare a sperare, gli rivelerà che esiste uno straordinario tesoro e che lui conosce il luogo in cui esso è sepolto. Edmond ricomincia ad aver voglia di vivere, ma grazie agli insegnamenti di Faria riesce a capire finalmente perché si trova in quel luogo, pur essendo innocente, si rende conto di è stato a tradirlo e a lasciarlo consumarsi nell'oscurità di una cella sotterranea del Castello d'If. In quel momento Dantès cambia, il suo animo luminoso si spegne per dare spazio quasi soltanto ad un irresistibile desiderio di vendetta. Il Caso, il Destino o la Provvidenza lo faranno evadere dalla sua prigione e da quel momento lo scopo della sua vita sarà trasformarsi in una specie di angelo vendicatore.
Devo ammettere che fino al momento dell'evasione la lettura di questo libro mi ha dato molta soddisfazione: mi sono emozionata ed immedesimata nella tremenda sorte del buon Edmond, la narrazione mi ha coinvolto, essendo scorrevole e piena di colpi di scena. Dopo, sinceramente, ho iniziato a trovarla un po' pesante: sono descritte tutta una serie di macchinazioni, intrighi, travestimenti e cambi d'identità che mi sono sembrati eccessivi. L'autore si inoltra in una serie di divagazioni, presentazione di personaggi secondari, esposizione di storie nella storia che in seguito saranno tutte spiegate, ma che personalmente non amo. Il romanzo è infatti uno dei capostipiti del famoso genere del feuilletton, che apprezzo fino ad un certo punto.
Inoltre mi sono sembrati inverosimili molti, troppi particolari. A livello sociale, ad esempio: quasi tutti i personaggi principali (a partire da Dantès, che ha trovato il tesoro) da semplici popolani, pescatori, marinai, al massimo di condizione piccolo-borghese, nel giro di una decina d'anni si ritrovano milionari, nobili straordinari, Pari di Francia... Un po' strano nella società ottocentesca. Ed anche molti altri particolari spiccatamente inverosimili, che adesso non voglio rivelare per non spoilerare troppo, tutti tipici del romanzo d'appendice.
Quindi, in conclusione, sicuramente un libro che sono contenta di aver letto, poiché è un classico che fa parte del bagaglio culturale del lettore medio, un grande capolavoro ottocentesco che riscosse all'epoca tantissimo successo e che lo riscuote anche al giorno d'oggi. Pensavo però che avrei amato di più questo libro prima di iniziarne la lettura, che per buona parte del romanzo è stata più faticosa del previsto.

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