I misteri di Udolpho
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Un buon romanzo di formazione con tinte gotiche
La quarta di copertina dell’edizione in mio possesso dei Misteri di Udolpho ospita le seguenti parole: “Sull’apparente struttura del racconto di formazione femminile, Ann Radcliffe modella un percorso attraverso gli spazi sublimi del terrore, nei quali l’eroina si smarrisce in una vertigine noir che la conduce oltre i limiti della ragione e della natura”. Letta infine anche l’ultima delle 1025 pagine che danno corpo ai quattro “volumi” dell’Udolpho, mi permetto di dissentire, almeno in parte, con tale chiave di lettura.
Se dovessi affibbiare un'etichetta a quest’opera della Radcliffe, la descriverei certo come un bildungsroman, che qui è tutto fuorché “apparente struttura”. Il romanzo, infatti, è interamente e inequivocabilmente costruito attorno alla crescita e alla maturazione della sua protagonista, la diciassettenne Emily St. Aubert, che, cresciuta nella tranquilla casa di famiglia nella Linguadoca, una regione montuosa francese, si ritroverà quasi d’improvviso a dover fare i conti con le premature scomparse della madre prima e del padre poi. Rimasta orfana e affidata alle cure di M.me Cheron, l’algida e arrivista sorella del defunto padre, Emily sarà costretta ad abbandonare la propria casa e il proprio paese per seguire la zia in Italia, nel castello di Udolpho, dove sarà prigioniera dell’avido e crudele Montoni, “un uomo sui quarant’anni, bello di una bellezza piuttosto rara, dotato di lineamenti virili ed espressivi, ma sul cui viso in complesso si leggevano più l’alterigia del comando e la prontezza del discernimento che qualsiasi altra qualità”. Orfana dei propri genitori, della propria libertà, e dell’affetto del giovane e affascinante Valancourt, conosciuto durante l’ultimo viaggio affrontato con il padre, Emily cercherà di fuggire da Udolpho, che scoprirà però essere legato a doppio filo al passato della sua famiglia, un passato di cui ignorava l’esistenza. La giovane protagonista si troverà così a dover crescere e maturare nel corso della storia, venendo a cambiare, nel corso della medesima, i suoi stessi presupposti di vita, le sue certezze. Accanto ai suoi continui viaggi fisici, ella compirà un vero e proprio percorso di crescita interiore, riacquisendo infine controllo della propria vita e della propria serenità.
L’epopea della giovane Emily St. Aubert viene narrata dalla Radcliffe attraverso una prosa elegante e raffinata, seppur eccessivamente prolissa: sebbene i ritmi narrativi frenetici cui siamo abituati oggi, un’epoca in cui la nostra soglia di attenzione coincide con la durata di un reel di Instagram, non siano certo paragonabili a quelli del 1794, anno di pubblicazione dell’Udolpho, che al più faceva concorrenza, quale attività ricreativa per le giovani donne borghesi dell’epoca, al ricamo, le vicende in esso narrate avrebbero potuto essere tranquillamente narrate in quasi la metà delle pagine. L’eccessiva verbosità della Radcliffe, che si palesa soprattutto in interminabili sezioni descrittive e nella stucchevole dilatazione temporale delle interazioni tra i personaggi del racconto (in misura perfino superiore al gusto dell’epoca), costituiscono gli unici veri difetti di un romanzo di formazione capace di offrire al lettore un buon intreccio, protagonisti e comprimari ben caratterizzati, una prosa curata, descrizioni paesaggistiche suggestive, e perfino qualche interessante spunto di riflessione sulla natura umana, della quale l’autrice aveva certo una profonda comprensione.