I duellanti
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Frammenti di storia
Profondamente affascinato dall’età napoleonica, Joseph Conrad tenta per tutta la vita di scrivere un grande romanzo storico ambientato nei primi anni dell’Ottocento, sul modello delle opere di Stendhal e di Tolstoj. Il primo di questi tentativi è forse anche il più riuscito: si tratta del breve romanzo – o lungo racconto – Il duello, pubblicato nel 1908. Ispirato ad un fatto realmente accaduto, esso non racconta la “grande storia” di Napoleone, delle sue battaglie, delle sue vittorie e delle sue sconfitte, ma la curiosa vicenda del lungo duello tra due ufficiali di cavalleria dell’armée, Feraud e D’Hubert, che per motivi apparentemente assurdi si scontrano per cinque volte tra il 1801 e il 1817. E la “grande storia” resta sullo sfondo, appena accennata: la pace di Amiens e l’invasione dell’Hannover non sono citate direttamente, le battaglie di Austerlitz, Jena, Eylau, Friedland, Borodino sono soltanto nominate, la guerra in Spagna descritta con pochi, rapidi tocchi, come veri e proprio barlumi di storia. Solo alla disastrosa campagna di Russia è dedicata qualche pagina.
Tuttavia secondo Mario Domenichelli, curatore di una recente ed ottima edizione del romanzo pubblicata da Marsilio, il duello tra Feraud e D’Hubert è un frammento che racconta per metonimia l’intero di cui esso è parte: da un lato l’intera epopea napoleonica – fin dal principio, infatti, il duello tra i due ufficiali è paragonato al lungo “duello” che contrappone Napoleone all’Europa intera (lo stesso Feraud afferma che «la guerra non è altro che un groviglio di scontri individuali, una specie di duello di massa») – e dall’altro il conflitto di classe, che era una frequente causa di duello all’interno dell’armata napoleonica, soprattutto tra i nobili dell’Ancien régime, rientrati in patria dopo la rivoluzione, e i borghesi e i popolani che per la prima volta possono aspirare ad ascese incredibili nell’esercito.
La vera causa dello scontro che oppone i contendenti, sebbene mai esplicitata, non è tanto l’orgoglio ferito di Feraud, offeso poiché D’Hubert è venuto ad arrestarlo nel salotto di una dama con l’accusa di aver ferito un civile, ma il rancore sociale che oppone l’umile Feraud, figlio di un fabbro, all’aristocratico D’Hubert. Il tema del doppio, molto presente nella narrativa conradiana, trova qui espressione nella perfetta contrapposizione dei due contendenti, che sono l’uno esatto opposto dell’altro: D’Hubert biondo, aristocratico, di origini normanne, razionale, freddo, tradizionalista; Feraud bruno, plebeo, guascone, istintivo, focoso, rivoluzionario. Essi incarnano la contrapposizione tra istinto e razionalità che l’uomo deve superare al principio dell’età adulta, tra la giovinezza, con la sua sete di gloria e il furore dei campi di battaglia, e la quiete riflessiva della maturità, ma soprattutto sono emblematici dello scontro fra due epoche storiche, fra età rivoluzionaria e Restaurazione, fra il mondo dei parvenu figli del 1789 e quello della vecchia aristocrazia, conservatrice e sostenitrice di antichi valori.
La storia, però, ha già decretato il vincitore e il folle ed estenuante duello tra Feraud e D’Hubert si conclude con il trionfo del vecchio ordine restaurato, dei vecchi valori, della ragione, in breve con la vittoria della sobrietà e della maturità sul giovanile furore guerriero che per vent’anni ha incendiato i campi di battaglia di tutta Europa. Allo sconfitto Feraud è concesso di vivere, ma vivrà come un’ombra di se stesso, in esilio, privato dell’unica condizione di vita che abbia mai conosciuto, la guerra, incredulo davanti allo spettacolo per lui incomprensibile e sconvolgente di un mondo in pace, simile al suo amatissimo Imperatore relegato nella remota Sant’Elena.
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Per dare un senso a ciò che un senso non ce l'ha
L’insensatezza delle passioni che offusca la vista e fa precipitare verso il baratro. L’inconsapevole pulsione autodistruttiva che inspiegabilmente attrae e soggioga l’anima. La trappola dell’orgoglio, dell’onore, dei codici e delle convenzioni che impediscono di fermare la corsa verso la catastrofe, anche quando essa è sempre più evidente. La salvezza non è in noi ma negli altri e può arrivare solo se abbiamo la fortuna di guardare oltre e di cogliere lo sguardo d’amore posato su di noi.
“Il generale D’Hubert ebbe il secondo di tempo necessario per ricordare che egli aveva temuto lo spettro della morte non come uomo, ma come amante; non come un pericolo, ma come un rivale; non come un nemico della vita, ma come un ostacolo al suo matrimonio.”
Come in tutte le opere di Conrad, anche questo lungo racconto o romanzo breve (130 pagine) è pervaso dal mal di vivere. Pur mancando l’atmosfera dei mari esotici e delle terre lontane (siamo in Europa durante l’ascesa e caduta di Napoleone), ritroviamo la stessa febbre, la stessa corsa verso l’abisso, la stessa lotta contro lo spirito animale nascosto nelle nostre viscere e che vuole nutrirsi del nostro stesso sangue.
Non ingannino le differenze sociali, perché in modi diversi si tratta di una febbre che colpisce tutti, l’aristocratico, settentrionale e ben educato D’Hubert, come l’irruento, “terrone” e plebeo Feraud. Non conta chi ha provocato e chi non ha saputo resistere alle provocazioni: l’uno ha bisogno dell’altro per sentirsi vivo e... per dare un senso a ciò che un senso non ce l’ha.
Semmai il diverso ambiente e le diverse risorse economiche e culturali consentono una diversa gestione di queste pulsioni, conducendo infine a sbocchi diversi.
Leggere Conrad non è mai stato piacevole per me, e questo basta per non annoverarlo tra i miei preferiti, eppure sono attratto dalle sue opere con la stesso insensato gusto per il male che domina i protagonisti delle sue storie.
“I duellanti”, è ispirato ad un articolo pubblicato su un giornale, nel quale si ricordava la vicenda di due ufficiali napoleonici che nel corso di vent’anni si sfidarono a duello svariate volte per futili motivi, che rimasero avvolti nel mistero.
Nel 1977 Ridley Scott ci ha girato un film cupo e tenebroso, che tiene lo spettatore incollato alla sedia, interpretato da Harvey Keitel (Feraud) e Keith Carradine (D’Hubert) sostanzialmente fedele al romanzo ma tutto focalizzato sulla virile contrapposizione tra i due personaggi e sul parallelismo con la rapida ascesa e caduta del parvenu di Ajaccio, escludendo gli aspetti che, soprattutto nel finale, rendono l’opera di Conrad un po’ più ricca e poliedrica.
2017 -1977 (film) - 1907 ((romanzo): per chi sente il fascino degli anniversari, un'occasione perfetta per celebrare i 40 anni del film e i 110 del libro. Poi magari potete giudicare quale dei due è più in forma... :-)