Guerra
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Sopravvissuto con la guerra
Quando Céline lascia la Francia durante la Seconda guerra mondiale, lascia anche nella casa di Montmartre una cassa piena di manoscritti che mai più riuscirà a ritrovare nonostante i tanti tentativi. È solo nel 2019 che questi trovano la luce per mano di un critico che ammise di averli ricevuti da una persona che ne ignorava tanto il valore quanto l’importanza. Ecco allora che elaborati quali “Guerra” o ancora “Londra” vedono la luce e fa quasi strano pensare che ne esistano ancora di inediti e mai letti.
Con “Guerra” ci troviamo davanti a uno scritto privo di revisione e per questo anche intriso di tutta quella che è la prosa céliniana, senza filtri e senza censure. Si tratta di un testo che ci restituisce un’esperienza di guerra e nel particolare della Grande Guerra. È una storia autobiografica in cui risuonano echi, dolore, fischi, esplosioni, perdita. Non mostra i canonici combattimenti a cui siamo abituati o che siamo soventi immaginare quanto, al contrario, un’esperienza sonora narrata dall’unico uomo ancora in vita. Siamo nel 1914 a Ypres, è qui che Céline, moribondo, capisce di essere l’unico sopravvissuto al bombardamento del suo convoglio da parte delle truppe tedesche. Ferito gravemente tanto da causargli emicranie a vita, fu insignito di una medaglia, trasferito in diversi ospedali per poi infine trovarsi a Londra. A questo primo connotato autobiografico si aggiunge poi il tratto tipico céliniano dell’iperbole e del grottesco che porta ai massimi estremi quel che viene descritto, che si tratti di scene con carattere sessuale o ancora di carattere morale.
«[…] Mi sono beccato la guerra nella testa. Ce l'ho chiusa nella testa. Vabbè. Dicevo dunque che nel bel mezzo della notte mi sono rigirato a pancia sotto. Così andava meglio. Ho imparato a distinguere i rumori esterni dai rumori che non mi avrebbero lasciato mai più.»
Non manca nemmeno il tratto tipico dell’alter ego nella narrazione dell’autore. Se in altri scritti è stato Bardamu o ancora Robinson, nel Voyage, qui lo trova in Bébert, un delinquente parigino che sfrutta la moglie Angèle, chiamata a prostituirsi al fronte. Ed anche nelle situazioni più paradossali egli riesce a mantenersi umano per quanto comico. La sua prospettiva narrativa è per eccellenza quella dell’antieroe che ha visto il peggio, che ha visto la morte, che ha dormito tra i cadaveri, che ne ha sentito il fetore, che ha perso tutto.
Il tutto si tramuta in delirio e poco importa che si tratti di sogni, promesse, guerra, ambizioni umane o desiderio di cambiare il mondo; a far da padroni sono i paradossi e gli opposti.
«[…] Ci sono esseri così, è strano, sono carichi, arrivano dall'infinito, ti vengono a esporre sotto gli occhi il loro gran fagotto di sentimenti come al mercato. Non stanno attenti, spacchettano la loro mercanzia come viene viene. Non sanno presentare bene le cose. E tu non hai comunque il tempo di rovistare fra le loro scarabattole, passi, non ti giri, tu pure hai fretta. A quelli di sicuro gli dispiace. Che fanno allora, rimpacchettano tutto? Buttano via tutto? Non lo so. Che ne è di loro? Non se ne sa niente. Ricominciano daccapo finché gli resta ancora qualche cosa? E dov'è che vanno allora? Certo che è enorme la vita. Ti ci perdi dappertutto.»
“Guerra” di Louis Ferdinand Céline è uno scritto che trattiene tra le pagine grazie alle emozioni che suscita e che scolpisce sulla pelle. Ancora oggi, a distanza di così tanti anni, sconvolge e non resta indifferente, incuriosisce e invita ad approfondire la lettura. Uno scritto che non si dimentica e che si gusta un poco alla volta nonostante le piccole dimensioni.
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La guerra nella testa
Un uomo disteso, con l'orecchio e la bocca appiccicati al terreno con il sangue, un braccio che cerca a tastoni il compagno morto, l'altro braccio che sembra sparito ma che torna a rivelarsi attraverso un dolore lancinante. Una fame e una sete indescrivibili, la pioggia che sferza il corpo agonizzante, fermo lì da un tempo difficile da calcolare, con i testa rumori di guerra che non se ne andranno mai più. Tutto intorno orrore, distruzione e l'atroce fetore della morte. Ferdinand, unico superstite del massacro, si alza con immensa fatica e inizia a camminare, consapevole del fatto di essersi ormai "beccato la guerra nella testa", che la guerra gli resterà per sempre "chiusa nella testa", ma determinato a restare il più possibile attaccato alla vita, quella vita "enorme" in cui "ti ci perdi dappertutto". È questa la scena iniziale descritta da Céline nel manoscritto in questione, recentemente recuperato e dato alle stampe a sessant'anni dalla morte dello scrittore. Pagine stese in tutta fretta e che sembra non abbiano mai visto una seconda rilettura, una seppur superficiale revisione, con pezzi addirittura illeggibili, ma non per questo (o proprio grazie a questo) meno significative, impattanti, "céliniane". Pagine che parlano della mostruosità della guerra e delle ripercussioni che questa può avere sul corpo e sullo spirito di chi ne prende parte, ma più in generale del marciume che può emergere dall'esistenza umana e dai terribili recessi dell'animo. L'autore sembra urlarle con l'urgenza di chi vuole rendere il mondo partecipe del lerciume che gli è rimasto dentro e non bada ad alcuna forma, censura, edulcorazione nel farlo. I temi sono quelli a lui cari, che ricorrono anche nei suoi romanzi più famosi, così come tipici della sua scrittura sono lo stile scurrile e volutamente sgrammaticato, l'erotismo esplicito e aspro, la violenza delle azioni e dei pensieri, l'alternanza tra tragedia e comicità. La storia ha poi dei forti connotati autobiografici, perché Céline ha realmente vissuto l'esperienza del ferimento in battaglia e ne ha portato con sé le conseguenze per tutta l'esistenza. Sfinito, ferito, dolorante, Ferdinand si mette in cammino verso l'agognata salvezza, ritrovandosi poi in un letto d'ospedale dove inizia una lunga e rocambolesca convalescenza che lo vedrà ricevere una medaglia al valore, scontrarsi con medici vogliosi di fare esperienza sulla pelle altrui, diventare il pupillo di infermiere ninfomani, avere a che fare con compagni laidi, grotteschi, truci, tra cui spicca il bieco Bébert/Cascade (il personaggio cambia nome durante la narrazione), divenuto subito "compagno di merende" del protagonista. L'uomo si rivelerà ben presto nella sua essenza, un pappone violento e uno sfacciato imbroglione, pagando con la vita le sue malefatte ma lasciando al compare, oltre al vuoto per l'amicizia perduta, il legame con la moglie e prostituta Angèle, grazie alla quale, sempre per vie moralmente e legalmente discutibili, il nostro Ferdinand sembrerà trovare, alla fine del manoscritto, un lasciapassare verso l'Inghilterra e verso un difficile, quasi irrealizzabile, riscatto. "I due moli sono diventati minuscoli sopra ai cavalloni spumanti, strizzati contro il loro piccolo faro. Dietro, la città si è rattrappita. Poi si è sciolta nel mare. E tutto è precipitato nello scenario delle nuvole e l’enorme spalla del largo. Era finita quella porcheria, aveva sparso tutto il suo letamaio di paesaggio la terra di Francia, sotterrato i suoi milioni di assassini purulenti, i suoi boschetti, le sue carogne, le sue città multicacatoi e i suoi infiniti fili di calabroni miriamerde. Non c’era più, il mare aveva preso tutto, ricoperto tutto. Viva il mare! Non vomitavo manco più. Non ci riuscivo più. Dentro di me avevo tutte le vertigini di una nave. La guerra mi aveva dato un mare pure a me, solo per me, un mare rombante, rumoreggiante assai dentro la testa. Viva la guerra!"