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Il grande choc che la letteratura nordica procurò all’Europa di fine Ottocento è legato a due romanzi: Inferno di Strindberg e Fame di Knut Hamsun, pubblicato nel 1890. Un giovane scrittore, nei cui tratti e nelle cui esperienze si riconosce facilmente lo stesso Hamsun, passa un periodo di solitari deliri e tortuose riflessioni nella città di Christiania. Vari personaggi lo sfiorano e scompaiono, ma unica vera e costante compagna, inesorabile antagonista, è la fame. Visionario della fame, il giovane scrittore scopre il carattere fantomatico e oppressivo della vita urbana, si inoltra negli infiniti sottosuoli della mente, lascia infine che esploda la sua rabbia fisiologica contro una società che sembra affinare sempre più, col tempo, le sue torture. E la sua narrazione brucia il naturalismo esasperandolo.



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Fame 2018-04-07 05:54:23 68
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68 Opinione inserita da 68    07 Aprile, 2018
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Solitudine voluta, fame insaziabile

Una fame incessante, concreta ed affettiva, insegue e tormenta il protagonista mentre vaga per le strade di Cristania ( l’ attuale Oslo ), uno scrittore allo sbando alla ricerca di ispirazione artistica per potere sopravvivere ad una vita precipitata in basso ed abbandonata al caso.
Un giovane da poco affacciatosi al mondo che ha già dimenticato il colore della felicità, che si considera vittima di un destino avverso e si interroga sugli ultimi mesi trascorsi, sulle cause della loro durezza e su se stesso.
È un vagare assente, distaccato, elusivo, non riconoscendo volti amabili, sottraendosi alla gente ed al suo spietato giudizio, impegnato in una strenue lotta per la vita, maledicendo tutti gli uomini, indistintamente, persino Dio ed il proprio cervello svuotato dai morsi della fame.
È imprigionato ed angosciato dalla quotidianità, quel bisogno inderogabile di procacciarsi il cibo e trovare una dimora per la notte, circondato da silenzio ed oscurità.
A volte riesce ancora a rivolgersi alle stelle, abbandonandosi ad un canto poetico consolatorio che assapora dolcemente sottraendolo al peso dei giorni e delle cose. Ma i morsi della fame continuano, incessanti, ed anche quando avverte un vuoto piacevole ed incrocia qualcuno con cui condividere affinità cerebrali e sensoriali, un orgoglio ferito e la propria miseria lo allontanano immediatamente, felice di essere invisibile a tutti, ed allora vorrebbe piangere per il dolore di essere ancora in vita.
Ci sono momenti in cui crede di impazzire o di essere pazzo, ma la sua “ follia “ è conseguenza di un delirio acuito da debolezza e sfinimento.
Non gli resta che la ricerca, poco consolatoria, dei difetti di tutta la gente felice che lo circonda, quel mondo fatto di carezze, sorrisi e di superficialità che non lo riguarda. Anch’ egli, nel profondo, aspirerebbe ad attimi di felicità , alla giustizia, a fare pace con una coscienza che sente sporca, perché quel suo carattere ipersensibile e’ stato acuito dalla povertà, ben sapendo che il povero intelligente è un osservatore assai sottile.
Un lungo monologo disperato ed allucinato tra sogno e realtà, espressione di un sentire non comune, a costruire una visione del mondo ipersoggettivata. E’ qui che il racconto continua, senza una storia, un flusso incessante di pensieri, impressioni, giudizi e di una solitudine manifesta, ben rappresentata dal vuoto interiore e dagli incessanti morsi della fame.
Il protagonista sembra non trovare altro rifugio che nel mondo artistico, poetico, nella bellezza estetica, nella forza della natura, ma poi…

…” Mi drizzai ancora una volta, madido di febbre e di stanchezza, guardai verso terra e per quella volta dissi addio alla città, a Cristania, dove le finestre splendevano nitide da tutte le case “…

Un percorso tormentato ed autodistruttivo, un abisso tra realtà e sentimenti, l’ impossibilità di vivere ed amare, una socializzazione avvilente e negata. È questo l’ universo di Hamsun, ricordando che il romanzo fu pubblicato nel 1890, alieno alla letteratura dell’ epoca, intriso di elementi autobiografici e di introspezione ipnotica tanto cara all’ autore.

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Fame 2018-03-22 20:28:21 Antonella76
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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    22 Marzo, 2018
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Fame e alienazione



Lo dico subito: qualcosa fra me e questo libro non ha funzionato.

Siamo ad Oslo, quando ancora si chiamava Cristiania, e seguiamo le vicissitudini di un uomo, uno scrittore, completamente sul lastrico, senza più un centesimo in tasca...ed una fame che lo divora.
Ha dato tutto ciò che poteva al banco dei pegni, tutto...gli rimane giusto un vestito logoro addosso, i fogli di carta e la matita con cui scrive i suoi articoli che spera sempre di poter vendere al giornale...
Non ha davvero più niente, se non i propri pensieri sempre più assurdi, deformati dal digiuno, e la propria dignità.
Anche troppa.
Quelle poche volte in cui riesce a recuperare qualche soldo...lo spreca, lo cede, lo regala...mentre i suoi deliri provocati dai morsi della fame lo conducono lentamente alla follia.
Uno smarrimento totale, un distaccamento dalla realtà che rispecchia quanto l'uomo possa essere solo in una società spietata.
La scrittura vista come unica àncora di salvezza e di ricerca di se stessi in un mondo che non accoglie, che non ti riconosce come parte di sé.
Tutto ruota intorno alla fame, alla solitudine, all'alienazione sociale...
Fame intesa anche come fame di vita, di amore, di calore, di parole ancora da dire, e da scrivere.

Cosa non ha funzionato, quindi?...non lo so.
Per carità, ne riconosco il valore, il messaggio, lo stile è impeccabile...eppure non mi ha coinvolto, l'ho sentito freddo, anche nei momenti in cui avrebbe dovuto emozionarmi.
Il protagonista è piuttosto irritante...e l'irritazione non è esattamente il sentimento che mi sarei aspettata di provare nei confronti di chi è costretto a masticare trucioli di legno o a succhiare sassolini o a mordersi ferocemente un dito per ingannare lo stomaco dilaniato dalla fame.
Forse mi aspettavo un pathos che non ho trovato, che non ho provato.

Ma Hamsun ha vinto un Nobel, ed io non sono nessuno...quindi, se qualcosa fra noi non ha funzionato, il limite è sicuramente mio e soltanto mio.

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Fame 2015-06-17 14:44:05 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    17 Giugno, 2015
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Fame

E sì, la protagonista di questo romanzo è proprio la fame. La povertà che tormenta il protagonista ( forse l'autore) per quasi tutto il romanzo. Una vera fame, causata da diversi giorni di completo digiuno, alleviata con espedienti quali la masticazione di pezzetti di legno, aggravata dal freddo nordico. Una fame che spinge l'io narrante ad azzannarsi un dito per succhiare qualche goccia del suo stesso sangue. Il romanzo è scritto in prima persona e sembra, per il modo e la conoscenza evidente della materia, purtroppo, autobiografico.Il protagonista, uno scrittore che vive della sua opera, soprattutto di saggi e di articoli oltre che di qualche breve testo, è assolutamente incapace di provvedere a se stesso. Non è pazzo ma chiaramente affetto da un disturbo di personalità che ha come componente principale una marcata impulsività e una certa grandiosità di pensiero, aggravate da un orgoglio notevole e autolesionista. Perciò le rare volte che il protagonista riesce a mettere mano su una certa somma, lo vediamo regalarla, spesso al primo che capita e senza un apparente motivo e con un gesto irresponsabile e impulsivo per cui si ritrova nella situazione iniziale e che dà il titolo al romanzo: la fame. Una realtà senza scampo. Il motivo che lo spinge al gesto generoso e impulsivo, spesso eccentrico e sconsiderato di regalare i pochi soldi che lo salverebbero temporaneamente dalla fame, è spesso questo suo orgoglio smisurato. Lo stesso orgoglio impedisce al protagonista di chiedere a chi potrebbe dare; lo obbliga invece a dare a perfetti estranei che pensano male di lui, e lo vedono come un poveraccio. Quando chiede e si umilia, lo fa sempre davanti a persone che gli diranno di no, di cui non ha stima. Non vuole scendere nella considerazione delle persone di cui ha rispetto. A loro non chiede mai nulla. Preferisce morire di fame. Verso la fine del romanzo sembra che il protagonista sia più consapevole del suo modo di fare autolesionista e del suo controproducente orgoglio.
Certo, è una persona fondamentalmente ingenua, onesta e generosa anche se il suo modo di nuocersi in continuazione e senza rimedio finisce per esasperare il lettore che lo vorrebbe vedere fare almeno un piccolo passo avanti. Ma un passo avanti non c'è mai. Non vedo il finale del romanzo come una soluzione. Ha la stessa provvisorietà dell'intervento dell'editore delle precedenti pagine. Leggendo la biografia dell'autore ho notato che la sua seconda moglie, ha abbandonato una carriera promettente di attrice, e posso immaginare il perchè. Credo che l'autore come il suo personaggio abbia avuto bisogno nella sua vita di una persona che si occupasse di lui costantemente. C'è nel suo libro questo senso di difficoltà nei rapporti umani, di distanza dalla gente. Solo nei rapporti sentimentali si avvicina al mondo e a un essere umano. In ogni caso, ripeto, ogni comportamento dell'io narrante ha radici profonde nella realtà e non nella fantasia per cui non credo che si possa mai parlare di pazzia.
Certo, dopo aver letto questo romanzo, mi pare il colmo che la sua nazione gli abbia fatto causa per le sue idee pretendendo (proprio da lui, un tipo così) un mega risarcimento, una volta che si era sistemato, immagino, grazie al buon senso di sua moglie.
"Quando fummo al largo mi rizzai in piedi, sudato e abbattuto dalla febbre, e dissi addio per questa volta alla città, a Christiania, dove tutte le finestre, ora illuminate, scintillavano."
C'è un forte senso di lontananza e di distacco da quelle finestre dove vivono le persone, le famiglie. Sono come delle spade puntate contro di lui.

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