Emma
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Prolisso
“Emma”, penultimo romanzo di Jane Austen, è, secondo lo stile dell’Autrice, di nuovo un novel, una narrazione di costume contemporanea e realistica, e non un romance, cioè un romanzo storico o di fantasia. In questo caso si concretizza pienamente la dichiarazione di poetica della scrittrice, quella di voler lavorare con la sua scrittura come se fosse un’artista della miniatura, che si affatica su un pezzettino d’avorio largo due pollici con un pennello sottilissimo producendo poco effetto. Infatti, anche in questo romanzo, ci troviamo davanti a pochi personaggi e a pochi temi, quelli cari all’Autrice, l’amore, l’amicizia, il matrimonio.
Emma, la protagonista, stavolta non è particolarmente simpatica e non attira l’empatia del lettore. E’ una ragazza bella e ricca, che non ha dovuto affrontare particolari problemi nella sua vita, a parte la morte prematura della madre. Non è come l’eroina di altri romanzi di Austen, non deve migliorare la sua condizione economica, non ha bisogno di cercare un marito e infatti inizialmente non lo vuole. Emma non ha molti pregi, ma, benché sia oggettivamente superficiale e un po’ immatura, è molto amata dalla famiglia e dagli amici. L’unica dote di Emma è l’intelligenza, ma una intelligenza non collegata alla lungimiranza e all’empatia. Questo la porterà a trovarsi implicata in una serie di equivoci che faranno soffrire però, non lei, ma le persone che ha intorno.
Non è il primo romanzo di Austen che leggo e quindi il mio giudizio non è certo sull’Autrice, sulla struttura del romance o sui temi trattati, ma questo purtroppo non mi è piaciuto. Non solo e non tanto perché la protagonista non è simpatica e il lettore ne rimane sempre un po’ distante. I problemi di questo libro, secondo la mia personale e soggettiva opinione, sono che è troppo lungo, eccessivamente prolisso e noioso e che rimane troppo freddo e scarsamente coinvolgente.
Va bene, l’Autrice voleva concentrarsi su pochi personaggi, quattro o cinque famiglie che vivono nella campagna inglese e che conducono un’esistenza basata su passatempi e conversazioni. L’Autrice rappresenta quindi questa realtà, quella che conosce e che vuole rappresentare per scelta: eccoci quindi a leggere per pagine e pagine di insulsi dialoghi, pranzi, feste in famiglia, preoccupazioni per il tempo meteorologico e gitarelle nella natura a piedi o in carrozza. Troppo. Troppe pagine.
Inoltre, avendo letto altri romanzi di Austen, aspettavo il momento della storia d’amore, le dichiarazioni, la passione, anche se sempre sottoposta alle rigide regole dell’epoca e con il fine ultimo e sommo del perfetto matrimonio, ma anche su questo punto sono rimasta delusa. C’è troppa freddezza nelle pagine, che non permette di arrivare ad una rappresentazione soddisfacente della storia d’amore.
Quindi, in conclusione, un romanzo nello stile Austen, ma ce ne sono, secondo il mio modesto parere, di più riusciti. Questo è estremamente prolisso, ripetitivo, noioso, una miniatura troppo piccola per i miei occhi.
Il «romanzo-enigma»
«Bella, intelligente, ricca, con una casa fatta per viverci bene e un’indole felice», in possesso di «alcuni dei beni preziosi della vita», vivace, allegra e senza pensieri né preoccupazioni, Emma Woodhouse sembra essere una delle creature più perfette e felici nella ricca galleria dei personaggi austeniani. Nei romanzi di Jane Austen, però, niente è mai come sembra, soprattutto in "Emma", il quale, a dispetto del successo senza tempo di "Orgoglio e pregiudizio", si contende con "Mansfield Park" il ruolo di capolavoro della Austen ed è considerato dalla quasi totalità dei critici la sua opera più complessa. Tanto il padre di Emma, l’anziano signor Woodhouse, un malato immaginario completamente preso dai suoi acciacchi e dalle sue egoistiche preoccupazioni, quanto la sua istitutrice, la fin troppo dolce e remissiva signorina Taylor, reputano Emma perfetta sotto ogni punto di vista e l’intero villaggio di Highbury, nel Surrey, si unisce al coro di lodi sperticate. L’unico davvero in grado di sfidarla è George Knightley, cognato di Emma e vecchio amico di famiglia. Per Emma il risultato di questa situazione solo in apparenza positiva è « la possibilità di fare un po’ troppo a modo suo e una certa tendenza a pensare un po’ troppo bene di se stessa»: due caratteristiche che le porteranno non pochi guai.
Lungi dall’essere davvero perfetta, Emma è invece una comune mortale e il suo difetto fondamentale è essere una imaginist che si diverte a inventare trame, sviluppi ed esiti per le vite degli altri. Peccato che la sua immaginazione sia un velo alla reale percezione del mondo e tutte le sue fantasie si rivelino, alla resa dei conti, completamente errate. Nei ritagli di tempo tra una passeggiata e una visita di cortesia, la signorina Woodhouse si dedica con zelo e passione all’attività di match maker (la mania di progettare unioni tra gli scapoli e le giovani donne nubili di Highbury), ma il suo unico successo consiste nell’aver favorito (a suo dire) il matrimonio fra la sua istitutrice e il signor Weston, vedovo da molti anni. Da qui in poi, tutte le sue fantasie e i suoi progetti successivi si rivelano sistematicamente errati e coinvolgono gli altri personaggi, oltre che la stessa Emma, in un vortice di equivoci, a cominciare dalla sua amica Harriet Smith, debole, ingenua e facile preda della fantasia turbolenta della signorina Woodhouse.
Come Catherine Morland in "Northanger Abbey", Emma sembra possedere una personalità donchisciottesca, eppure non è una lettrice accanita né di romanzi né di poesie: le sue fantasie nascono dalla sua immaginazione e dalla pericolosa convinzione di saper sempre leggere in modo corretto le personalità e le esistenze altrui proiettando su di loro i suoi desideri e le sue ambizioni. Al tempo stesso, però, le fantasie di Emma sono probabilmente il frutto di una condizione esistenziale che la condanna alla solitudine e alla noia e che si inserisce nel contesto più ampio della riflessione sulla problematica condizione della donna, sempre presente nei romanzi di Jane Austen. Nella sua famiglia e nell’ambiente ristretto del villaggio di Highbury l’intelligenza di Emma non trova uno sbocco, la sua volontà è soffocata ed entrambe hanno sfogo solo nel tessere piccoli intrighi matrimoniali e nell’inventare avventure per l’amica Harriet. Emma incarna il principio creativo ed è dunque il personaggio austeniano in cui più di ogni altro è adombrata la figura stessa della scrittrice: come la Austen, Emma è «una tessitrice di mondi e di storie non scritte» che fa del combinare matrimoni un vero e proprio hobby horse di sterniana memoria, una chiave di lettura del mondo che ne altera la visione, come un paio di occhiali colorati, e la porta a fraintendere tutto ciò che accade intorno a lei con esiti tragicomici.
I romanzi di Jane Austen, in apparenza semplici e accessibili, sono invece strutturati per enigmi e veri e propri «blocchi di incomprensione» e in larga misura incentrati su «questioni epistemologiche, ovvero legate alla conoscenza e alla percezione, ai processi tramite i quali capiamo il mondo, le cose, le persone»: essi rappresentano una realtà ingannevole e insidiosa nella quale nulla è come appare e ovunque si celano misteri ed enigmi da decifrare che mettono alla prova il senso critico e la capacità di lettura e comprensione del mondo tanto della protagonista quanto del lettore, chiamato a raccogliere la sfida interpretativa e a partecipare attivamente alla loro decifrazione.
Nel macrotesto austeniano, il romanzo che più di tutti, pur apparendo luminoso, leggero e divertente, cela una pessimistica riflessione sulle possibilità di conoscenza e interpretazione del mondo è proprio "Emma". Tutti i romanzi della Austen sono storie di fraintendimenti, ma "Emma" è l’unico ad essere costruito a livello diegetico sull’interpretazione errata, su un continuo alternarsi di ambiguità e rivelazioni che diventa l’elemento indispensabile allo sviluppo della narrazione, tra misteri, inganni, sciarade e comportamenti apparentemente inspiegabili.
Nel corso della narrazione si intrecciano le vicende di tre figure femminili (Emma Woodhouse, Jane Fairfax e Harriet Smith) affiancate da diversi personaggi maschili e l’elemento unificatore del racconto è costituito proprio dal tema dell’enigma, che si dipana nel passato, nel presente e nel futuro e fa capo a un enigma centrale, la fallace percezione del mondo: quali sono le origini di Harriet, che non è mai stata riconosciuta dal padre? Cosa si nasconde dietro i comportamenti singolari di Jane Fairfax e di Frank Churchill? Chi è il misterioso donatore del pianoforte ricevuto da Jane? Di chi è innamorato il signor Elton, il reverendo del villaggio? Emma e il signor Knightley riusciranno a sposarsi nonostante l’irriducibile opposizione del padre di lei?
Tale impianto narrativo, fondato su un meccanismo a scatole cinesi nel quale ogni mistero ne cela un altro, postula necessariamente la rilettura come elemento fondamentale per la comprensione del testo e uno svelamento graduale dei significati, percepibile, appunto, solo attraverso letture reiterate che rinnovano di volta in volta il piacere della scoperta. La rilettura è insita nell’impianto narrativo a diversi livelli: non a caso tutti i personaggi, a cominciare dalla protagonista, sono spesso costretti a revisionare la loro lettura della realtà e delle persone che li circondano, mentre il lettore stesso rivede di volta in volta la propria interpretazione delle vicende. Come gli altri romanzi dell’autrice, "Emma" insegna a riconoscere tanto il limite quanto la pluralità e la complessità delle possibilità interpretative umane e rispetto alle opere precedenti richiede un ruolo particolarmente attivo e dinamico al lettore, proponendosi dunque come il romanzo in cui meglio si manifesta la portata antidogmatica della scrittura austeniana.
Non solo ad Emma, però, la realtà si presenta equivoca e misteriosa. Come in una detective story ante litteram, tutti i personaggi si interrogano su ciò che accade, tentano di interpretare parole, sguardi, comportamenti, rossori, e, al pari di Emma, tutti loro cadono in errore, con la sola parziale eccezione di George Knightley. Ad Highbury le indagini non si fermano mai e sono numerose le scene in cui, nel tentativo di chiarire piccoli misteri, si assiste a vere e proprie investigazioni e formulazioni di ipotesi con l’utilizzo di metodi e di un linguaggio («controprova», «deposizione», «indagine») che saranno propri del futuro romanzo poliziesco.
Negli altri romanzi della Austen, inoltre, il mistero non è visibile ai sensi e se un personaggio si inganna nel giudicare, ciò è dovuto a una conoscenza solo parziale della realtà, alla mancanza di tutti gli elementi necessari per giungere alla verità. "In Emma", invece, il mistero è ben visibile, ma percepito in modo erroneo tanto dalla protagonista quanto dagli altri personaggi. Lo spassoso risultato è una sorta di commedia degli equivoci. "Emma", infatti, è un romanzo molto vicino al genere della commedia per impianto, situazioni e il gran numero di figure comiche (l’ipocondriaco signor Woodhouse, l’anziana e malandata signora Bates e la figlia zitella di lei, la signorina Bates, con i suoi lunghissimi discorsi ricchi di dettagli futili che non interessano a nessuno). E se "Emma" è una commedia, può senz’altro essere letto proprio come una comedy of errors fondata sull’ostinato, sistematico fraintendimento della realtà da parte della protagonista.
In "Emma", dunque, l’enigma coinvolge le basi stesse della conoscenza, la percezione della realtà attraverso i sensi: se i sensi si rivelano ingannatori, all’incertezza non c’è rimedio, l’enigma sembra essere connaturato alla conoscenza del mondo ed è dunque destinato a ripresentarsi. Nel finale, scandito da tre matrimoni felici, i nodi si sciolgono e tutti i misteri sono chiariti, ma il narratore avverte che non si può escludere che in futuro ne sopraggiungano di nuovi, perché è molto raro che agli uomini sia concessa una verità piena, del tutto priva d"i errori e malintesi. "Emma" diventa così un enigma irrisolvibile, al punto da essere definito dai critici un vero e proprio «romanzo-enigma». E come ogni detective story che si rispetti, in "Emma" non mancano gli indizi abilmente celati nello scorrere del quotidiano, nel linguaggio non verbale di sorrisi e rossori, nelle citazioni letterarie e nei rimandi musicali, negli interminabili ed estenuanti monologhi della signorina Bates.
Se però sul piano del contenuto gli intrecci sembrano seguire ancora schemi coevi, l’ambiguità si manifesta con forza ancora maggiore sul piano dello stile e delle scelte narrative, dove si celano le maggiori spinte anarchiche del testo. Jane Austen sperimenta con disinvoltura diverse tecniche e strumenti narrativi allo scopo di dimostrare la fallibità dell’interpretazione del reale e che la voce narrante può tanto raccontare quanto ingannare. Primo di tali strumenti è l’ironia, un «linguaggio doppio» che dice e non dice, che afferma e contemporaneamente nega suggerendo l’esatto contrario di ciò che dichiara alla lettera, seguita dal discorso indiretto libero, che intreccia la prospettiva della voce narrante e la prospettiva della protagonista producendo una terza voce, una voce intermedia delle cui affermazioni il lettore è costantemente spinto a dubitare proprio perché è difficile tracciare un confine netto tra le due componenti che le danno vita. Ne deriva un’«indeterminatezza narrativa» che accresce notevolmente l’enigmaticità del testo.
A vivacizzare ulteriormente la narrazione contribuisce anche l’animato gioco delle voci. La Austen preferisce lo showing al telling e di solito i personaggi non sono descritti, ma si rivelano attraverso i dialoghi e i comportamenti e ciascuno di essi è dotato di un linguaggio perfettamente riconoscibile: dall’inconfondibile voce del signor Woodhouse, fondata sulla ripetizione di lamentele e consigli medici e culinari, a quella pedante e logorroica della signorina Bates, dal discorso formale e pomposo di Elton a quello schietto e conciso di Knightley, dal tono riservato di Jane Fairfax a quello ricco di esclamazioni, dettagli, esitazioni ed esiti comici che caratterizza Harriet, e l’unico caso in cui il linguaggio diventa stereotipato e saturo di luoghi comuni, quello della signora Elton, è il frutto di una strategia precisa che mira a sottolineare l’ignoranza, la volgarità e l’affettazione del personaggio. I romanzi della Austen sono stati paragonati a conversational machines, cioè meccanismi fondati sulla conversazione, ed "Emma" è un romanzo marcatamente "dialogato" che, sebbene dominato dalla voce della protagonista, lascia spazio al coro degli altri personaggi.
Il romanzo, inoltre, è costruito su una rete di omissioni, allusioni e lacune. Tali strumenti, funzionali ad accrescere l’enigmaticità dell’opera, sono presenti nell’intero macrotesto austeniano, ma in "Emma" il non detto, come il linguaggio non verbale, diventa il cardine della narrazione e l’intero romanzo può essere letto come una successione di fraintendimenti nati da una comunicazione allusiva, lacunosa o interrotta che coinvolge tanto la protagonista quanto gli altri personaggi, al punto che si può parlare di una «poetica dell’ellissi e della lacuna». Sono proprio le reticenze, le omissioni e i conseguenti (errati) tentativi di Emma di colmare i vuoti a dare il via alla fitta trama di fraintendimenti che percorre il romanzo. A eccezione di qualche accenno, l’autrice non rappresenta ciò che si trova al di là dei confini del villaggio di Highbury, infatti "Emma" può essere considerato il romanzo in cui la Austen mette in pratica al meglio il precetto di poetica, illustrato in una lettera ad una delle sue nipoti, che identifica in «tre o quattro famiglie in un villaggio di campagna» la situazione ideale per iniziare la stesura di un romanzo. Jane e Frank, accomunati dalla necessità di nascondere il loro fidanzamento segreto, sono definiti «figure della reticenza», «metafore viventi», protagonisti di un inganno che si fonda non tanto sulla menzogna, quanto su un’abile alternanza di omissioni e allusioni rivelatorie.
Inoltre le lettere, che nei romanzi della Austen sono strumenti fondamentali per l’addestramento dell’eroina alla corretta lettura e interpretazione del mondo, non sono riportate direttamente, ma il loro contenuto è riferito da una persona diversa dal mittente e filtrato dalla sua prospettiva, dunque la loro funzione di guida alla corretta decodificazione della realtà viene meno. L’unica eccezione è la lettera che Frank indirizza alla sua matrigna, la signora Weston, alla fine del romanzo, con la quale il giovane spiega i retroscena dei suoi misteriosi comportamenti e finalmente chiarisce tutti i piccoli misteri disseminati nel testo, una vera e propria "scena della ricostruzione", paragonabile all’epilogo di un giallo in cui il detective ripercorre e chiarifica gli eventi.
Pur dando grande spazio all’interpretazione (per lo più errata) del mondo, i cui segni sono ambigui per natura, i romanzi della Austen si chiudono con un lieto fine e una rassicurante chiarificazione generale. "Emma" non fa eccezione e nella conclusione ogni nodo si scioglie, ogni lacuna viene colmata e tutti i misteri sono spiegati, ma non bisogna mai dimenticare che in "Emma" nulla è come sembra. Più delle opere precedenti, questo romanzo elude una chiusura effettiva e presenta un finale solo apparentemente rassicurante, perché «è raro, molto raro che una verità piena appartenga alle confessioni umane; raro è che piccoli travestimenti o malintesi non ci siano». A pochi capitoli dall’epilogo, questa osservazione della voce narrante, che stona in un’opera dai toni in apparenza briosi e ottimistici, fornisce la chiave di interpretazione del romanzo, sottolineando l’impossibilità di un sapere che non sia parziale, lacunoso, frammentario, e una visione della conoscenza che procede per errori. La commedia è terminata, gli enigmi sono risolti, la falsità è stata smascherata e tutto è tornato alla normalità, ma il narratore avverte che potrebbe non essere così. Gli inganni potrebbero ripresentarsi in futuro, perché sono connaturati ai rapporti tra le persone e alla percezione stessa della realtà, e in fondo «c’è sempre un lato oscuro e imprevisto anche nelle situazioni più luminose e positive».
Le citazioni sono tratte da: R. ANTINUCCI, Come leggere Emma, Chieti, Solfanelli, 2017; J. AUSTEN, Romanzi, Milano, Bur, 2018; J. AUSTEN, Emma, Mondadori, Milano, 2002; B. BATTAGLIA, La zitella illetterata. Parodia e ironia nei romanzi di Jane Austen, Napoli, Liguori, 2009; L. INNOCENTI, La commedia degli equivoci: Emma di Jane Austen, in «Textus. English Studies in Italy», IV, (1991), Roma, Carocci; D. SAGLIA, Leggere Austen, Roma, Carocci, 2016.
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Altri tempi
Leggere un libro della Austen è proprio come entrare in un’altra era. Se ne apprezza l’eleganza di altri tempi, il senso della lentezza, l’attenzione alle frivolezze, il diverso modo di socializzare tipicamente ottocentesco, fatto di vita mondana, chiacchiere e balli, la centralità della musica, in tutte le sue forme, le conversazioni incentrate su pettegolezzi e tutte impostate con un certo distacco, segno anche di raffinatezza ed educazione. E’ un tuffo in un altro mondo, piacevole senza dubbio, ma in questo romanzo più che in altri i contenuti mi sono sembrati più poveri e più insulsi. L’aspetto che ho più apprezzato è il vedere i cambiamenti di alcuni personaggi anche minori all’interno della storia, fermo restando che in ogni figura umana che viene rappresentata non c’è incanto pari a quello che dà la tenerezza del cuore.
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tanto va la gatta al lardo..
Da brava eroina dei tempi passati Emma è ricca, bella e colta. Da brava figlia di un ricco possidente Emma è anche viziata, capricciosa con la puzza sotto al naso. Annoiata dalla vita di provincia e vessata da un padre reso capriccioso dalla solitudine e da una certa ipocondria questa ricca aristocratica non trova di meglio da fare che giocare con la vita degli altri. Sopravvalutando di molto la sua conoscenza del mondo, la sua cultura e la sua perspicacia decide d diventare la guida di una ragazza di origini modeste e di innalzarla, se non al suo livello, almeno ad essere degna della sua compagnia. Le riempie la testolina di romanticheria e per lei costruisce castelli in aria. Salvo poi trovarsi a disagio quando questi cadono miseramente. Nel frattempo non perde d'occhio i propri interessi e non manca di giocare coi sentimenti dei giovanotti che frequentano nella sua piccola corte.
Una storia in stile Jane Austen piena di ragazze romantiche, proiettate nel futuro, ma legate alle convenzioni e alle tradizioni. Brave ragazze che vorrebbero essere cattive. Donne indipendenti che non vedono l'ora di dipendere da un uomo. Contraddizioni messe in evidenza, a volta anche con ironia, dalla scrittrice. Emma, la protagonista principale, è quella con cui la Austen è più spietata. I suoi errori di giudizio, gli abbagli che prende nel valutare i sentimenti degli altri, il suo modo fastidioso di essere spocchiosa, sono puntualmente sottolineati con la penna rossa. Questa ragazza sbaglia talmente tanto da riuscire a diventare alla fine quasi simpatica.
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WIT AND MARRIAGE
+++SPOILER++++
Il romanzo si apre con il matrimonio, e dunque la partenza, della governante che ha praticamente cresciuto la protagonista, Emma. Dunque, è immediatamente evidente come l'autrice tenti di accattivarsi la simpatia del lettore per la protagonista, muovendolo a compassione, Emma, infatti, è orfana di madre. Nonostante ciò, non le è mai mancato nulla, anzi, nel corso del romanzo scopriremo che la nostra eroina sembra essere viziata.
Come al solito, tema fondamentale è quello del matrimonio. La Austen utilizza Emma per esprimere le sue idee(negative) riguardo il matrimonio nell'Ottocento; oggetto di critica è il fatto che la donna non abbia mai possibilità di scegliere chi sposare, è sempre lei ad essere scelta, sono sempre gli altri a scegliere per lei. Emma vede il matrimonio come un atto di sottomissione, ella desidera infatti conservare il suo status di ''unmarried woman'', che è il simbolo della sua indipendenza intellettuale.
Emma appare a volte egoista e presuntuosa, non si rende conto di essere in errore quando dà ad Harriet Smith false speranze di sposare Mr. Elton, situato più in alto di lei nella scala sociale. Emma manipolerà Harriet, convincendola a rifiutare la proposta di matrimonio di Mr. Martin. Tuttavia, l'eroina non riconosce i propri errori, solo Mr. Knightley, suo futuro marito, tenta di mostrarle i suoi errori, che Emma continua imperterrita a non riconoscere, Knightley può dunque essere visto come la voce della razionalità.
Alla fine del romanzo, Emma deciderà di sposare Mr. Knightley, ma a delle condizioni del tutto innovative. Infatti, Knightley dovrà trasferirsi a casa di Emma, e non viceversa. Questo è l'unico romanzo della Austen in cui si verifica ciò. In termini di significati è possibile affermare che così facendo Emma conserva la sua indipendenza. Inoltre, la protagonista, tramite il matrimonio, mantiene il passo delle le altre giovani donne di Highbury, come Mrs. Elton. In effetti, non è possibile capire se Emma sposi Knightley per non perdere la sua posizione sociale o perché lo ama, è il lettore che deve stabilirlo.
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How I Decided to Marry my Husband
Durante la lettura di questo favoloso romanzo, non ho potuto fare a meno di stupirmi circa la sua contemporaneità; innanzitutto ho subito fatto un paragone (azzeccato?) con la serie TV “How I met your Mother”, in cui il protagonista Ted racconta ai figli un’eccezionale serie di avvenimenti solo per giungere alla spiegazione di come abbia conosciuto loro madre, come suggerisce il titolo. Analogamente, il romanzo della Austen ha il fine di narrare il radicale cambiamento della protagonista Emma da convinta nubile a felice sposa, ma nel mentre spazia tra una vastissima gamma di altri innamoramenti, grandi incomprensioni e misteriosi sotterfugi, tanto che il lettore finisce col pensare che alcune scelte, come la decisione di Emma di diventare confidente e “consigliera” per la giovane Harriet, andassero proprio evitate, ma alla fine dei conti tutto è predisposto per migliorare il difficile carattere di Emma.
Un altro elemento di modernità è il “friend-zonamento”, di cui la protagonista fa uso sia nel caso delle avances poco gradite da parte del signor Elton, sia più avanti con Frank Churchill che le decide di voler vedere come un amico, al fine di indirizzare le attenzioni di lui verso Harriet.
Ultimo dettaglio contemporaneo è la passione di Emma per le “ship”: la giovane donna si diverte a creare coppie tra amici e parenti e, anche se realizza di sbagliare spesso nelle sue valutazioni, non riesce proprio a smettere di vedere storie d’amore in ogni sguardo, invito o galanteria di sorta.
Attorno a tutte le coppie innamorate (o che si presumono tali), compaiono alcuni tra i più divertenti personaggi creati dalla Austen: la chiacchierona signorina Bates, il signor Woodhouse e la sua fissazione per i malanni e l’odiosa signora Elton, ben decisa ad essere al centro dell’attenzione generale ad ogni costo.
La vicenda in se non è particolarmente corposa e gli avvenimenti importanti risultano pochi, ma a renderla interessante sono i già citati equivoci, dati soprattutto dalle visioni soggettive che ogni personaggio ha degli eventi; così Jane Fairfax viene sospettata da Emma di una relazione clandestina con il signor Dixon, e dalla signora Weston (la povera signorina Taylor!) di aver attirato le attenzioni del signor Knightley, mentre in realtà la ragazza è da tempo fidanzata in segreto con Frank Churchill.
Gli eventi maggiormente degni di nota sono tutti condensati nel ricco finale, che risulta pertanto ben più interessante dei capitoli precedenti. In breve hanno luogo i fidanzamenti tra Jane e Frank (o meglio, l’annuncio dello stesso), Emma e il signor Knightley, Harriet e Robert, seguiti dai rispettivi matrimoni; a tutto ciò si aggiunge la nascita della piccola Anna Weston e la decisione che sia il signor Knightley a trasferirsi ad Hartfield - anziché Emma a Donwell -, per non stravolgere le abitudini del padre di lei.
Ad essermi poco piaciuto è stato invece il protagonista maschile (!); il signor Knightley risulta davvero troppo perfetto e galante fino all’inverosimile, considerando inoltre che la sua è il solo punto di vista a risultare oggettivo e corretto.
Ciò che maggiormente ho apprezzato è senza dubbio la protagonista: Emma è l’eroina austeniana più “umana” tra quelle da me incontrate finora, perché non è umile e passiva, commette degli errori e se ne rammarica, cerca goffamente di migliorarsi e spesso cade vittima delle sue fantasie.
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LE MILLE SFACCETTATURE DI EMMA
Jane Austen nella sua biografia a proposito di questo libro scrisse: "Sto per descrivere un'eroina che non potrà piacere a nessuno, fuorché a me stessa".
Una frase geniale, che già ci mette di fronte a un personaggio sicuramente particolare che darà anche il titolo al libro: EMMA.
La bella, la ricca, l'indipendente Emma Woodhouse, di certo un eroina completamente diversa dalle altre create da Jane Austen.
La nostra protagonista è sicuramente ricca di qualità e tra queste spicca la completa indipendenza, la convinzione di non aver bisogno di nessun altra persona al mondo se non se stessa.
Avendo questa caratteristica, naturalmente, si diverte ad organizzare i matrimoni degli altri e a immaginarseli tra i suoi vari conoscenti escludendo sempre se stessa in quanto è ben sicura che mai si sposerà nella sua vita.
E' così che inizia la presentazione di questo personaggio che risulta essere fin troppo pretenziosa e snob e per certi versi esageratamente sicura di se stessa e delle sue convinzioni.
Ma, come spesso accade anche ai giorni nostri (voglio ricordare che i personaggi dei romanzi della Austen rispecchiano spesso la civiltà d'oggi), un carattere così deciso, sicuro e fermo nelle proprie idee nasconde sotto una persona insicura e bisognosa di avere qualcuno accanto (perché tutti ne abbiamo bisogno).
Come ogni romanzo della Austen, anche questo è ricco di colpi di scena specialmente nella parte finale ma (è un giudizio molto personale) rispetto agli altri suoi che ho letto "Orgoglio e Pregiudizio", "Ragione e Sentimento" e "Persuasione", è quello che mi ha colpita meno e non perché io abbia imparato a prevedere le mosse della scrittrice, questo mi pare impossibile...
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CHI LA DURA LA VINCE
"Emma", ultimo romanzo pubblicato dell’autrice, appare nel 1815, nel momento cruciale in cui il novel settecentesco accoglie problematiche e contraddizioni tipiche del Romanticismo, agli inizi di quel diciannovesimo secolo che fu poi destinato a diventare il secolo del romanzo europeo.
Jane Austen sintetizza le problematiche e le contraddizioni di un’epoca e le assembla rendendole l’essenza stessa della protagonista Emma e del suo percorso di iniziazione alla vita. Ha infatti appena ventuno anni, è ricca, intelligente, anticonformista ma tremendamente schiacciata dal contesto sociale e storico che vive. Orfana di madre, abita con un padre estremamente preoccupato della sua salute e rappresentante assoluto dell’immobilità sociale e storica che l’appartenenza alla fortunata classe borghese gli concede. La sua figlia maggiore è ben maritata, la sua governante ha appena commesso il delitto di maritarsi felicemente e la giovane Emma, la sua figlia più piccola, è la destinata a sopportare gli umori paterni. Benché non sia mai rappresentata direttamente una insofferenza vera e propria verso questo ingrato destino, la rappresentazione della formazione sentimentale della giovane Emma offre a me questa chiave di lettura. Durante il corposo romanzo ci si annoia a morte andando in giro per campagne e case private in visite di cortesia e in ritrovi improbabili all’interno di una comunità chiusa che viene lacerata e ravvivata, per fortuna , dalla comparsa di nuove persone che alimentano le fantasie di una giovane provinciale. Convinta sostenitrice del nubilato di fortuna, quello reso sostenibile dall’agiatezza economica, la protagonista, grazie al maturo fratello del cognato, avrà modo di comprendere che i matrimoni non si combinano più e che le donne sono perfettamente in grado di seguire le ragioni del cuore, lei compresa che convolerà a giuste e sobrie nozze. Una punta di rammarico però pervade il lieto fine che sigla appunto anche il tramonto delle fantasie, oggi si direbbero adolescenziali, per lasciare spazio ad un giusto equilibrio di ragione e sentimento.
Consiglio la lettura a chi ama la scrittura della Austen, a chi è interessato all’epoca storica e letteraria, a chi è curioso; io l’ho letto per curiosità, ne sono felice ma mi è costato una fatica tremenda: mi ha profondamente tediato.
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Un mondo diverso e affascinante
Jane Austen, regina del romanzo di maniera, ci fa immergere nell’atmosfera avvolgente della borghesia inglese del XIX secolo per farci incontrare e conoscere a fondo personaggi nuovi e dalle mille sfumature. Emma, la protagonista, appare all’inizio del romanzo – ed è descritta dagli altri personaggi nel corso della storia – come una ragazza perfetta, da una vita perfetta alle prese con la vita sociale e la cura del padre. Un inizio che sembra quasi una conclusione, un lieto fine. Ma pian piano si scoprono le carte… Emma ha dei difetti; invidia, presunzione, orgoglio… difetti che la portano a trascurare i suoi sentimenti e a concentrarsi troppo sulla vita degli altri. Ma proprio in questo si riconosce un romanzo di formazione: la protagonista si trova di fronte ad errori difficili da negare e si rende conto dei suoi sbagli e di cosa è realmente importante. Ed è tramite la conoscenza dell’amore che Emma cresce attraverso un percorso che la porta a sposare quella persona che le è sempre stata vicina, ma che mai ha saputo di amare, come spesso succede nella realtà. Un iter biografico che coinvolge, appassiona con lo stile calmo e globale tipico della Austen: la storia è studiata nei minimi dettagli, nessun particolare è messo lì a caso e tutto è conforme all’universo in cui è ambientata la vicenda: spazi aperti, case, tipologie di personaggi e la loro psicologia (a volte statica a volte, come abbiamo visto, dinamica), le idee, il background culturale… è tutto perfetto per permettere al lettore di immergersi nella quotidianità di quella vita così diversa dalla realtà odierna.
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Emma la pettegola
Emma non è senz'altro il miglior testo della Austen, autrice alla quale mi sono appassionata recentemente. Ho iniziato appunto da Emma, via via salendo fino ad orgoglio e pregiudizio, il più famoso e apprezzato.
Mentre gli altri libri sono stati letti in poco tempo, con Emma ho fatto davvero fatica, la trama non è molto avvincente e a tratti è addirittura noiosa.
La storia parla di Emma Woodhouse, una ragazza ricca e piena di se,che trascorre le sue giornate spettegolando e cercando di combinare matrimoni, non ottenendo però grandi successi. Emma salta spesso a conclusioni affrettate, giudica senza ben conoscere fatti e persone e ha un'opinione troppo alta di se stessa.
Il romanzo si salva nel finale, dove Emma inizia ad assomigliare alle eroine romantiche e sentimentali che caratterizzano i romanzi della Austen, scoprendo anch'essa di avere desiderio di sposarsi e che il suo cuore batte da tempo per qualcuno. Molto bella la dichiarazione finale d'amore, non ai livelli di Darcy o Edward Ferrars, ma comunque molto sentita,
Nel complesso è comunque un bel libro, anche se la Austen ha scritto decisamente di meglio.