Don Chisciotte
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Una moderna follia
Classico della letteratura, nonchè il romanzo più venduto della storia, questo romanzo ci racconta le avventure di due simpatici personaggi, davvero strampalati, che, spron battuto, si prefiggono di raddrizzare torti e vendicare soperchierie. La passione di Don Chisciotte per la letteratura cavalleresca si trasforma in una vera e propria forma di delirio; subito dopo le prime avventure, il protagonista perde la connotazione di personaggio comico, per acquistare uno spessore più complesso. Il folle cavaliere mostra al lettore il problema di fondo dell’esistenza, cioè la delusione che l’uomo subisce di fronte alla realtà. Centrali nella storia sono i capovolgimenti operati dalla fantasia del cervello, che portano il protagonista ad interpretare la realtà in maniera distorta. Celeberrima la scena del combattimento contro i mulini a vento, che Don Chisciotte vede come dei giganti e che decide di affrontare impavido. Mi ha sorpreso che la scena per cui il libro è più conosciuto sia, di fatto, solo una manciata di righe nelle prime pagine di un romanzo davvero lunghissimo, che ti accoglie fin da subito con il suo stile particolarissimo e con esso ti avvolge. Istinto, follia, sogno e ignoto sono i maggiori protagonisti, unitamente alle ambientazioni nei luoghi più degradati della realtà, con i personaggi più miseri. Il romanzo, rispetto ai poemi cavallereschi, tratta di argomenti contemporanei per l’epoca e non argomenti del passato, ed è in prosa e non in versi. E’ senza dubbio una pietra miliare della letteratura, da assorbire a piccole dosi, perché tutto insieme rischia di stancare.
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Insomma, mezza delusione
La lettura del Don Chisciotte, può spaventare.
Sono quei romanzi infiniti di migliaia di pagine, tipo Guerra e Pace, che uno si dice sempre: ma chi me lo fa fare? tra sei mesi sto ancora con questo romanzo in mano.....
Eppure ero incuriosito da questa storia che pervade l'immaginario umano mondiale ed è riprodotta un po ovunque, dai film ai fumetti alle locandine nei teatri, ai disegni animati e via discorrendo.
E' se non sbaglio il secondo libro più letto venduto al mondo, ma comunque tra i testi più venduti e riprodotti sul globo.
Quindi figuratevi con quale emozione e aspettative mi sono posto, un po di tempo fa a leggere questo tomo infinito.
Ebbene dopo mesi di lettura, ne sono rimasto profondamente deluso.
Come ho sempre notato nella maggior parte dei libri che superano le 500 pagine e vanno anche a 1000 e più, purtroppo è difficile che gli autori non cadano in enormi lunghissimi momenti di noia, che facciano ripetizioni di azioni e persone e che comunque non stanchino il lettore.
Credo sia normale, anche perchè sarebbe impossibile mantenere alta l'attenzione di un lettore quando si debbono scrivere testi enormi e quasi infiniti.
Il Don Chisciotte ha una prima parte molto bella, entusiasmante, vitale, allegra, geniale in cui il nostro eroe con il fido scudiero sono alle prese con delle avventure bizzarre, buffe, esaltanti e spesso anche commoventi.
Poi dopo questo inizio folgorante e geniale il libro precipita in un baratro senza fine. Diventa un mattone indigeribile, con scene e avvenimenti senza filo logico, ripetitivi, tristi. Anche Don Chisciotte diventa triste e noioso....io sono testardo e quindi tra mille fatiche e ripensamenti ho voluto portare a compimento la lettura, ma debbo dire che alla fine della lettura mi è rimasta solo amarezza e delusione, per questo immenso romanzo che poteva essere scritto in massimo 300 pagine.
Sicuramente la sua fama è dovuta molto di più ai due protagonisti che sono buffi e originali, piuttosto che alla vera qualità dello scritto.
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Le avventure di Don Chisciotte (per non parlare di
Benché i suoi protagonisti siano universalmente conosciuti, o forse sarebbe meglio dire orecchiati, questo romanzo va preso con le dovute precauzioni. Innanzitutto perché rappresenta l’unione di due libri, scritti alla distanza di un decennio e declinanti il tema di fondo lungo vie diverse: il primo è più ondivago, ma, a onta delle lunghe novelle che un po’ lo appesantiscono, anche più vitale del successivo la cui maggior compattezza non riesce a volte a nascondere il fiato corto di una certa prevedibilità. Va poi tenuto conto che si tratta di uno scritto del Seicento costruito sul modello delle narrazioni picaresche e perciò non sarebbe male intenderlo come una successione di racconti con gli stessi personaggi (e in certi tratti neppure questi). Infine perché è al contempo un manifesto di critica letteraria contro gli stereotipati testi cavallereschi e un abile gioco di specchi tra realtà e finzione, con Don Chisciotte impegnato nel secondo segmento a rivendicare la narrazione delle proprie gesta – di modo che un po’ il libro esamina se stesso – e a smentire la versione apocrifa scritta nell’intervallo fra i due volumi originari da un tal de Avellaneda. A dir la verita, la faccenda è ribadita qualche volta di troppo – la lingua batte dove il dente duole, chioserebbe Sancio – ma la ripetitività non è certo una delle preoccupazioni di Cervantes che fa rivivere le stesse situazioni e sovente replicare i medesimi concetti, come appunto la discussione tra cavaliere e scudiero sulla capacità (invero mirabolante) di quest’ultimo di infilar nel discorso un numero esagerato di proverbi non sempre pertinenti. Come detto, nella prima parte il Don si mette alla ventura assieme a Sancio trascinandolo in una serie di peripezie che lui vive come avventure, a iniziare dalla celeberrima contro i mulini a vento, ma che fuori dalla sua fantasia stanno tra la scazzottata in stille Spencer/Hill e la comica finale (l’inganno sulle gualchiere non cadrebbe a pennello per Stanlio e Ollio?). A variare il ritmo e la vicenda provvedono le novelle cortesi di cui sopra, che raccontano di giovani bellissimi e di amori contrastati che tendono verso il quasi inevitabile lieto fine, con la notevole eccezione di quell’incrocio molto moderno di malfidenze e inganni che è ‘L’indagatore segreto’: si tratta di brani che hanno una vita propria e usano l’opera principale quasi come una cornice e, al dilà dei pregi intrinseci, finiscono per prendersi troppo spazio. La seconda sezione ha un andamento più coerente, seppur a volte a discapito della dinamicità: non ci sono più spunti di pura comicità a livello della padella da barbiere ritenuta ‘elmo di Mambrino’, ma costruzioni più complesse, come il montaggio alternato che vede Don Chisciotte a combattere le tentazioni nel castello dei duchi mentre Sancio affronta il proprio governatorato. E’ evidente pure l’evoluzione dei personaggi, con un rapporto più stretto fra i due principali: lo scudiero non segue più il padrone solo per avidità, mostrando via via una miscela di arguzia e ignoranza che gli serve per conquistare il centro della scena; il Don, da parte sua, non pare credere più così fanaticamente alle proprie fantasie, ma, per evitare di disilludersi, s’inventa i malevoli incantamenti di maghi dispettosi. Il che, al netto del sovrannaturale, è abbastanza vero perché tutti quanti sono impegnati a fingere per prenderlo in giro, lo facciano per affetto (Sancio con Dulcinea, i compaesani per riportarlo a casa) o per diletto (le arzigogolate burle dei duchi suddetti): il lento ritorno alla realtà rappresenta una rinuncia ai sogni e, malgrado essi abbiano un’origine di cui ci si può fare beffe, la loro assenza svuota talmente l’esistenza di Alonso Chisciano da non lasciargli altro che la morte. Si tratta dell’ennesima stratificazione dell’opera, rappresentando in filigrana la fine di un’epoca (e di un’epica) ormai soppiantata dalla prosaicità dell’età moderna.
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Io sono don Chisciotte
Nel romanzo di Gary Jennings, "Il sangue dell'azteco", uno dei personaggi principali prova un profondo odio per Miguel de Cervantes in quanto, secondo lui, le vicende di don Chisciotte sono in realtà la caricatura della propria vita. Incuriosito da tutto questo ho provato a leggere il famoso romanzo cavalleresco.
La lettura non è stata delle più semplici. Il linguaggio aulico aggiunto al fatto che Don Chisciotte di per se fa discorsi contorti, non mi hanno consentito una lettura scorrevole, almeno all'inizio.
D'altronde lo stesso Miguel de Cervantes nell'introduzione dice
"?Fate anche in modo che leggendo la vostra storia, il malinconico s’inclini al riso, il gaio lo sia ancor di più, l’ignorante non s’arrabbi, ..." quindi non mi arrabbio.
Superato il problema della lettura che è migliorata man mano, posso ritenermi abbastanza soddisfatto di un romanzo che unisce il divertimento alla drammaticità degli eventi del cavaliere errante che di "cavaliere" conserva l'ardore e il coraggio ma dell' "errante" purtroppo solo i pensieri.
Ma chi è Don Chisciotte se non un uomo che sogna ad occhi aperti. Certo la sua sciagura sta proprio nell'impossibilità di distinguere la realtà dalla fantasia, ma a veder bene anche Sancho Panza accetta di fare da scudiero credendo nella ricompensa di governatore di un'isola.
Un po' invidio Don Chisciotte che riesce a vivere i suoi sogni diventano protagonista della sua vita invece che spettatore, come spesso accade, di chi, come me, sogna ad occhi aperti vedendo un bel film o magari leggendo un buon romanzo cavalleresco.
Tante altre storie centrali, sinceramente le ho trovate un po' noiose. Una tra tutte quella di Camilla e Anselmo che poco aggiunge alle vicende di Don Chisciotte.
Che narra del favoloso cavalier mancego
Penso che ogni commento che si soffermi sullo stile di quest'opera leggendaria sia sprecato. Cervantes, uno dei padri dello spagnolo moderno, ci ha regalato un'opera letteraria che assolutamente è tra le più alte della storia. Questi sono i libri che davvero accendono l'amore per la letteratura, che ti fanno entrare nel mondo e nelle storie che descrivono e che ti fanno piangere il cuore quando arriva l'ultima fatidica pagina. Ma è proprio nel momento in cui il cuore piange che esso spalanca le porte e fa' spazio a tante cose che vogliono entrarvi per non uscirne più. Così è stato per Don Chisciotte, e non potevo scegliere libro migliore per fare la mia centesima recensione su questo sito.
Proseguono nel loro cammino il valoroso Don Chisciotte, a cavallo del suo fidato Ronzinante, e l'altrettanto famoso suo scudiero Sancio Panza, su quell'asino tanto amato quanto malconcio.
Per il Cavaliere mancego non c'è avventura che sia abbastanza spaventosa o ardua, né pericolo che sia insuperabile, né donna più bella e virtuosa dell'amata Dulcinea del Toboso. Ogni angolo nasconde una nuova avventura; basta un semplice mulino a vento per dar vita a una storia che non sfiguri dall'essere raccontata nei salotti dei Re. In tanti vanno dicendo che egli sia pazzo, ma esiste forse un confine tangibile tra follia e sanità mentale? E non è folle anche la realtà in cui ci è dato vivere ogni giorno? Io dico, ben venga la follia benevola e divertente del buon hidalgo che si è fatto cavaliere, che prodiga sé stesso nell'intenzione di far del bene agli altri, che non la presunta sanità di chi si prodiga nel male.
E non è forse bello vedere Don Chisciotte e Sancio Panza, camminare fianco a fianco e prendere il meglio l'uno dell'altro, che avventura è anche migliorarsi prendendo il buono di chi l'affronta al nostro fianco? "Non con chi nasci, ma con chi pasci", queste sono le parole perfette per descrivere l'evoluzione di questi due erranti, partiti uno folle ma saggio, e l'altro sciocco ma "reale"; e tornati come fossero un'unica entità che racchiude tutte queste qualità prima divise in due individui differenti. Chi avrebbe immaginato, all'inizio della storia, un Sancio che diventi saggio, e un Don Chisciotte quasi consapevole della realtà? Gran parte della bellezza di quest'opera sta in questi due fantastici protagonisti, che l'Orlando e l'Amadigi hanno sol da essere invidiosi, tanto quanto Pegaso e Bucefalo debbono esserlo del buon Ronzinante.
Ho amato questa storia, davvero, ho riso tanto, ho riflettuto, sono stato triste quando tutto è finito. Evviva Cervantes, che ci ha regalato una leggenda, ed evviva i folli, se fossero tutti come Don Chisciotte della Mancia.
"Benedetti quei fortunati secoli cui mancó la spaventosa furia di questi indemoniati strumenti di artiglieria, al cui inventore io per me son convinto che il premio per la sua diabolica invenzione glielo stanno dando nell'inferno, perché con essa diede modo che un braccio infame e codardo tolga la vita un prode cavaliere, e che senza sapere né come né da dove, nel pieno vigore e dell'impeto che anima e accende i forti petti, arrivi una palla sbandata (sparata da chi forse fuggì, al bagliore di fuoco prodotto dalla maledetta macchina) e recida e dia fine in un istante ai sentimenti e alla vita d'uno che avrebbe meritato di averla per lunghi secoli."
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Cavalieri, dame e mulini a vento.
Fin da piccolo sono sempre stato incuriosito e divertito dalla figura di Don Chosciotte, un uomo bislacco e sprovveduto che però, complice anche la pazzia, compie mirabolanti azioni contro personaggi che sono frutto della sua fantasia. Anche il fido scudiero, Sancho Panza, é un personaggio originale. È cosciente che il suo padrone non sia tanto sano di mente ma lo segue fedelmente in ogni sua avventura e molte volte ne paga anche le conseguenze, tutto questo per inseguire il sogno di diventare un giorno governatore di un'isola (cosa che poi avverrà, anche se in circostanze particolare...). Un alto e magro cavaliere bardato di cartone e latta seguito da uno scudiero basso e pancione in sella ad un asino, chi vedendo queste due figure non è mai rimasto colpito o perlomeno incuriosito? D'altra parte molte avventure o frasi di quest'opera sono diventate ormai proverbiali ("combattere contro i mulini a vento") ed in una delle più famose piazze di Madrid sorge una statua che vede Don Chisciotte e Sancho Panza in sella ai loro animali con dietro la statua di Cervantes. Sappiamo tutti infatti l'importanza che ha avuto lo scrittore per tutto il "Siglo de oro" e l'importanza che ha avuto per la lingua spagnola stessa, Cervantes viene spesso definito infatti "padre della letteratura spagnola". Il romanzo risale all'inizio del 1600, più precisamente la prima parte venne pubblicata nel 1914 e la seconda l'anno dopo. Come saprete tutti l'opera parla appunto di un hidalgo (borghese) spagnolo della provincia della Mancha che influenzato dalle migliaia di libri sulla cavalleria che aveva letto decide di trovarsi un'armatura ed un cavallo, ed in seguito uno scudiero, e di intraprendere la vita del cavaliere errante, andando a caccia di avventure per aiutare i più deboli e per difendere il nome della sua amata Dulcinea del Toboso. Logicamente le avventure saranno tutte frutto della sua fantasia, e con il fido scudiero Sancho ad assecondarlo nelle sue "imprede". Il libro ha diversi significati e ogni avventura può essere letta sotto vari punto di vista, in generale l'opera di Cervantes tende prima sminuire i romanzi cavallereschi che fino a quel momento dominavano la scenastteraria ed in seconda battuta l'autore vuole sottolineare l'inadeguatezza della nobiltà dell'epoca, epoca ormai contraddistinta dal materialismo e dal tramonto degli ideali. Il linguaggio è abbastanza semplice e scorrevole per essere un romanzo del 1600 anche se non mancano mille note e appendici, sono infatti frequenti i riferimenti dello scrittore spagnolo a personaggi e scrittori dell'epoca classica. L'unica cosa che mi ha reso un pò più lenta lettura è stata la seconda parte, che a mio avviso poteva essere evitata perché in realtà tende un pò a ripetere la storia della prima parte ed a lungo andare risulta pesante. Resta comunque un romanzo molto divertente nonché un caposaldo della letteratura mondiale.
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La stravolgente saggezza del folle
Ho iniziato a leggere questo libro per gioco, richiamando in un certo senso il carattere dell'opera , una sfida contro me stessa e contro coloro che mi dicevano che non sarei mai stata in grado di terminarlo. E' stata una lettura impegnativa, questo non si può negare, ma d'altra parte, leggere uno dei più grandi classici della letteratura europea non poteva certamente essere semplice... Ad ogni modo ho assolutamente adorato questo romanzo apprezzando non solo l'originalità dimostrata dall'autore nell'ideare delle avventure così stravaganti e divertenti, ma soprattutto la caratterizzazione di ciascun personaggio e in particolare ovviamente del protagonista, il grande Don Chisciotte. La sua follia, la convinzione di essere un cavaliere e la volontà di comportarsi come tale lo rende unico in tutta la letteratura di ogni epoca, anche se l'elemento più sconvolgente secondo il mio punto di vista, è la sua inaspettata saggezza. Verrebbe da chiedersi: come può un folle essere anche saggio? Io ritengo che il confine tra avvedutezza e pazzia sia più sottile di quanto ci aspettiamo e Don Chisciotte ne è la prova. Per quanto la sua ostinazione a salvare la fanciulla amata, a combattere contro dei banali mulini o delle botti di vino possa sembrare assurda, questo è il termine esatto, accade spesso che faccia delle riflessioni profonde, inconfutabili, assolutamente vere. Trovarsi d'accordo con un pazzo significa a propria volta essere folli? Non necessariamente, ecco uno dei concetti fondamentali che ho potuto apprendere dalla lettura del libro. Ognuno di noi ha così tante sfaccettature che non è possibile alcuna generalizzazione, così come un uomo che si crede cavaliere non deve essere esclusivamente definito folle, un preconcetto che spesso possediamo quando ci troviamo di fronte a quest'opera. In fin dei conti non capita a tutti a volte di vedersi, o almeno volersi vedere, in modo diverso rispetto a come si è realmente?
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Don Chisciotte e l'uomo buono
Se c'è una cosa veramente eccezionale del libro è la caratterizzazione dei personaggi. Don Chisciotte è uno dei pochissimi personaggi che adombrino il nome dell'autore; attualmente solo un altro nome, a mio parere, ha questa forza: Sherlock Holmes (e, detto per inciso, la dualità Sherlock/Watson è assai simile a Chisciotte/Sancho).
La caratterizzazione di Don Chisciotte e Sancho Panza è talmente ben costruita che davvero i personaggi sono tridimensionali. Si pensi solo che è forse l'unico personaggio letterario di cui vi sia una ricorrenza festeggiata in Spagna. Un uomo che ha passati i cinquanta anni, mai sposato e, forse, come dice Vladimir Nabokov nelle sue lezioni, vergine, parte per il mondo del seicento, irriso da tutti. E' l'uomo buono fatto persona(ggio), il genitore di quel principe Myskin che Dostoevskij narrerà ne 'L'Idiota'. L'esperimento è mettere un uomo buono e un uomo ignorante nel mondo del primo seicento barocco, epoca di grandi invenzioni e scoperte (la vittoria della razionalità sul mito).
Il libro è percorso da i più svariati eventi (non c'è solo l'episodio dei mulini) ma alla lunga fiaccano parecchio la lettura. I nostri eroi si trasformano sotto i nostri occhi, Don Chisciotte è sempre più ab-battuto, sempre più saggio e rassegnato (seppure sia pur sempre un cavaliere errante!), Sancho sempre più intelligente e furbacchione ma sempre più innamorato del suo 'padrone'.
A una lettura attenta il libro diventa un vero caos, sembra che l'autore non l'abbia mai riletto se non quando si accinge a scrivere la seconda parte (nella quale tenta di giustificare le grossolane omissioni): cavalli che scompaiono per poi riapparire senza spiegazioni sotto il sedere di Sancho; soldi (tanti soldi) trovati ma di cui non si farà più menzione; Dulcinea il cui nome è spesso mutevole nella prima parte e che Sancho riconosce come una contadina del suo paese (Aldonza Lorenzo) per poi, nel momento di cercarla, non sapere dove cercarla perché, dice, non l'ha mai veduta ecc... Come romanzo, quindi, seppure il primo romanzo moderno, è assai confuso e a tratti ripetitivo, eppure ci sono, dentro, idee geniali, come il finto Don Chisciotte scritto da un plagiatore (mai veramente scoperto: forse Alonso Fernández de Avellaneda) che, viene il dubbio, abbia dato origine alla seconda parte del romanzo solo perché Cervantes potesse riappropriarsi dell'opera, e che appare indirettamente nella narrazione della seconda parte (purtroppo mai in carne e ossa, che occasione mancata!) e con Don Chisciotte che dice chiaramente che sa di essere scritto (!!!).
Insomma, un libro che è un viaggio in quella che ancora adesso si chiama letteratura, che ha l'aspetto di una favoletta ma racchiude tutte le narrazioni dei tempi a venire. Un libro da studiare e un personaggio che tutti, in fondo, teniamo chiuso da qualche parte dentro di noi.
Ma è anche un libro su un periodo storico, il 1600 (El Siglo De Oro) in cui la Spagna vive il suo Rinascimento, la sua modernità, e in cui la visione si fa materialistica, disincantata, e ogni 'magia' si risolve in imbroglio. Non esistono maghi, né eroi, ma solo furfanti pronti a divertirsi alle spalle degli sprovveduti, dei sempliciotti, dei creduloni. E' l'epoca degli adulti contro l'epoca (passata) dei bambini e questo, Don Chisciotte, lo sa benissimo. In fondo la sua ricerca tende verso la morte, verso un'Arcadia impossibile.
E' molto curioso che all'inizio del libro il suo nome sia incerto; è descritto come personaggio patetico, grigio, anziano, "forse si chiamava Quesada". E' solo alla fine, dopo un febbrone da cavallo e, soprattutto, dopo aver percorso chilometri e chilometri si polvere amara, che sappiamo il suo vero nome:
"- Signori - disse Don Chisciotte -, andiamo piano, perché ormai nei nidi di ieri oggi non c'é più passeri. Io fui pazzo e or son savio: fui Don Chisciotte della Mancia, e ormai, come ho detto, son Alonso Quijano il Buono."
La cosa, per me, molto buffa è che nella fine NON si dice che Don Chisciotte sia guarito. Lo deducono il curato e le persone attorno per i ragionamenti che fa. Ragionamenti che ora sì sono di persona 'sana' (che ironia!). Sembra quasi che il personaggio in realtà DEBBA morire, in qualche modo Cervantes non riesce a sbarazzarsi di lui se non facendolo ammalare di punto in bianco, senza nessuna avvisaglia, senza nessun preavviso. Come Arthur Conan Doyle, che non riesce a liberarsi del suo personaggio che infatti farà 'morire' presso le cascate del Reichenbach per poi, tre anni dopo, resuscitarlo, così Don Chisciotte sopravvive nonostante il volere del suo autore. Ma era 'necessario' che Don Chisciotte morisse, altrimenti altri plagiatori si sarebbero impadroniti del personaggio (si ricorda qui che la data di morte di Cervantes e di Shakespeare è stata designata dall'UNESCO come il giorno del libro e, non a caso, del diritto d'autore).
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Don Quijote de la Mancha
Pietra miliare della letteratura,opera tradotta in centinania di lingue, Il Don Quijote è il romanzo moderno per eccellenza. Protagonista dell'opera è un certo Alonso Quijano, personaggio un pò naive, hidalgo impazzito per aver letto troppi libri di cavalleria che si mette in testa di diventare lui stesso un cavaliere andante, come i personaggi dei suoi libri preferiti.Al limite quasi del grottesco parte alla ricerca di uomini da salvare e nemici da affrontare.Come da tradizione sceglie uno scudiero: Sancho Panza, promettendogli in cambio dei territori, e una dama Dulcinea Del Toboso, la più grande e nobile delle creature, in realtà una donna rozza dalle ben poche virtù..Un'opera meta letteraria, si hanno continue riflessioni sulla letteratura stessa; importante la scena dove il prete e il barbiere bruciano i libri del protagonista e si hanno delle continue riflessioni sul romance pastoril, sul romance bizantino ecc...Finale tragico per il Quijote che alla fine riacquista la ragione e muore.Opera sul contrasto tra realtà e apparenza, tra sogno e realtà.L'opera ha ispirato veri e propri filoni letterari come il Female- Quixote novel, romanzi dove si hanno dei Don Quijote femminili
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Tutto per Dulcinea
Volevo leggere un classico non troppo serioso e ho deciso di intraprendere la lettura di Don Chisciotte.
Si tratta di un libro divertente, allegro, ma talvolta triste e che ci fa riflettere.
Di sicuro non si tratta di una passeggiata perché sono ben 1200 pagine, ma me le sono proprio gustate tutte dalla prima all’ultima.
È un capolavoro intramontabile, bisogna ricordare anche che è stato scritto ben quattro secoli fa.
Le vicende narrate si inseriscono in un periodo di tempo post – conquista del nuovo mondo e si svolgono in un paio di mesi.
Il narratore è esterno alla storia e fa da spettatore.
Il linguaggio è di tipo colloquiale.
Ora è giunto il momento di passare alla trama.
Si narra di un proprietario terriero di mezza età di nome Alonso Quijano, il quale vive nella Mancha.
Quest’uomo è appassionato, o per meglio dire, è proprio ossessionato dalle letture cavalleresche tanto da trascurare tutti i bisogni primari come il cibo ed il sonno.
Questa strana condotta lo porterà alla pazzia.
Crederà di essere un eroico cavaliere e di battezzerà con il nome di Don Chisciotte inoltre deciderà di partire con Ronzinante, il suo vecchio e magro cavallo.
Conoscerà Sancho Panza il quale diventerà suo fidato scudiero e lo accompagnerà in tutte le avventure e peripezie.
Naturalmente, come ogni cavaliere che si rispetti anche lui ha una bella dama alla quale dedicare le sue avventure, si tratta di una contadina che lui ribattezzerà con il nome di Dulcinea di Toboso.
Se volete sapere come si evolve e termina questa storia non dovete che leggere questo magnifico libro.
È un classico sulle illusioni che vive quest’uomo, ma ci fa capire che talvolta anche noi viviamo di illusioni, di sogni e di rimpianti.
Cosa voglio aggiungere? Merita di essere letto.