De profundis
Editore
Recensione Utenti
Opinioni inserite: 5
Oscar, uno di noi
Nel 1985 Oscar Wilde viene dichiarato colpevole di sodomia e, per questo, incarcerato e condannato ai lavori forzati per due anni. Questo libro è in realtà un’epistola che Wilde scrive durante gli ultimi due mesi di prigionia al suo amato Lord Alfred Douglas (Bosie).
Oscar Wilde viene portato in tribunale proprio dal padre di Bosie che lo cita in giudizio soprattutto per annientare, ferire, sconfiggere il suo stesso figlio in una guerra che, tra i due, dura da sempre. I due si giocano la vita di Wilde in una partita senza esclusione di colpi che vedrà l’artista piegarsi davanti ad un processo infamante, vergognoso e prezzolato che gli costerà la reputazione e quasi la vita.
Prima di tutto voglio dirvi che c’è una tale esibizione di cultura ed intelligenza in questo libro da ammaliare in modo assoluto. Leggerlo vuol dire farsi venire la voglia di comprare almeno altri 10 volumi. Wilde fa talmente tante citazioni filosofiche, letterarie, religiose che ti viene proprio la curiosità di approfondire, di andare a leggere quei libri, quelle poesie e di scoprire i loro autori. Nonostante la grandezza d’artista e la complessità dell’uomo, Wilde si esprime con una purezza di spirito ed anima da sembrare un bambino.
Per 130 pagine voi leggerete la storia dell’amore verso Bosie e del disamore di questi nei confronti di Wilde, le motivazioni per le quali Wilde si trova in questa situazione, le recriminazioni al suo amato, le riflessioni che lo portano a capire perché sia in carcere. Sono pagine molto intime, di profonde riflessioni che toccano davvero molti aspetti della vita di Wilde e di noi stessi. Io ho diviso questo libro in 3 capitoli immaginari.
I° capitolo: Wilde fa una disamina della situazione in cui si trova in correlazione a ciò che Bosie gli ha combinato…e, credetemi, gliene ha proprio combinate tante. Voglio fare una veloce lista della spesa per farvi rendere conto della personcina che era il nostro Bosie:
- Arresta la creatività di Wilde
- Ne causa il tracollo finanziario
- Distrugge parte della sua rete di amicizie
- Lo usa per rivalsa nei confronti del padre
- Lo usa e basta, per qualsiasi cosa
- Lo fà finire in galera per poi ignorarlo completamente durante i due anni di prigionia
- Gli fa pignorare qualsiasi cosa
- Impedisce, tramite la condanna del tribunale, ogni possibilità di Wilde di ricominciare una vita ed una carriera una volta uscito dal carcere
…se vi pare poco, il resto scopritelo voi !
II ° capitolo: Wilde capisce che per sopravvivere a questa esperienza deve trarne qualcosa di positivo. Comincia a considerare il dolore come leva per diventare una persona miglior. “Debbo far sì che tutto ciò che mi è accaduto sia un bene per me “ (…) “respingere le nostre esperienze è arrestare il nostro sviluppo” e ancora “ ..sento che non vergognarmi del mio castigo è uno dei primi stadi a cui debbo arrivare per il mio perfezionamento interiore appunto perché sono stato tanto imperfetto”.
In questa fase del libro troviamo un uomo consapevole del fatto che, se si trova a vivere un’esperienza come il carcere è anche a causa sua, dei suoi comportamenti così orientati all’edonismo, al narcisismo ( è vero, Dorian Gray è proprio lui) alla sola ricerca del piacere. Wilde deve fare i conti con il suo passato per accettare il presente e provare e ricostruirsi un futuro come uomo e come artista. Deve fare in modo, come scrive lui, di cambiare il passato. E questo cambiamento può passare solo dal pentimento .Va da sé che qui comincia la parte religiosa del libro. Wilde legge tutti i giorni il Vangelo e comincia a sentirsi in comunione con la religione ma soprattutto con la figura del Cristo. Wilde addirittura si identifica, in quanto artista, con Cristo come primo personaggio romantico. A parer mio la parte più noiosa del libro, non manchevole di delirio di onnipotenza e di debolezza umana allo stesso tempo.
III° capitolo: sicuramente la parte migliore di questa epistola sono le ultime 40 pagine. La grandezza culturale ed artistica di Wilde lascia il posto, inchinandosi, all’ uomo Oscar. Sono le pagine più strazianti, più vere, più commoventi nelle quali scopriamo che l’amore che prova per Bosie vince su tutto. Sulla povertà, sulla sofferenza, sull’arte, sull’inadeguatezza del giovane amante. “ il fatto che Dio ami l’uomo ci dimostra che nell’ordine divino delle cose ideali è scritto che amore eterno verrà dato a chi ne è eternamente indegno”. Ci sono di nuovo sprazzi di recriminazione ma Oscar sta già organizzando il suo incontro con Bosie una volta uscito dal carcere. Questa disgraziata passione, questo amore malato è, per l’uomo Oscar, ciò che forse lo tiene in vita più di tante altre cose.
Ho letto questo libro su consiglio di una conoscente che mi ha detto averle suscitato molte emozioni tra cui, la prima e più importante, l’odio verso Bosie. A me questo libro ha dato tanto e trasmesso molte emozioni diverse ma mai, durante tutta l’epistola, ho voluto male a Bosie. Perché, per quante cose spiacevoli Wilde scriva di lui, si capisce con lucidità incredibile che l’amore che Wilde prova nei suoi confronti sia così totale e cieco che, se non gli perdona qualsiasi cosa, di sicuro lo scusa di tutto. Cerca, sì, a più riprese e con toni diversi, di fargli capire i suoi errori ma, in definitiva, lo manleva di ogni responsabilità per i suoi comportamenti errati. “Se si dà ad un bambino un giocattolo troppo ingegnoso per la sua piccola mente e troppo bello per il suo occhio egli, se è capriccioso romperà il giocattolo. Così hai fatto tu. Ti sei impadronito della mia vita , ma non hai saputo cosa farne. Era una cosa troppo meravigliosa nelle tue mani. Sfortunatamente eri capriccioso, e la rompesti”
Ovviamente ho fatto delle ricerche per sapere come fosse finita la loro storia. Una volta scarcerato Wilde, come da suo desiderio, ha incontrato di nuovo Bosie. Sono andati a vivere il “loro” amore lontano dalla vittoriana Albione. Purtroppo Bosie non si è smentito e, dopo avere negato di avere mai ricevuto la lettera di Wilde, ha anche negato il loro amore lasciando Wilde e tornando in patria dietro minaccia della famiglia di vedersi chiudere il rubinetto degli alimenti.
Ho scoperto un Wilde umano ed ho spesso pensato, durante la lettura, “Oscar, uno di noi”.
Indicazioni utili
L'infelicità e Cristo
Sotto un certo rispetto io so certamente che il
giorno che verrò liberato, passerò da un carcere ad un
altro e vi son momenti in cui il mondo intiero non mi
sembra più vasto della mia cella e non mi pare meno
colmo di terrore. Tuttavia in origine Dio creò un mondo
per ogni singolo uomo, ed è in questo mondo intimo a
noi che dobbiamo cercare di vivere.
Oscar Wilde dal carcere, dimenticato dal suo pubblico, deriso da molti e abbandonato dall'amante (a causa del quale è finito in carcere) e da molti amici, scrive alcune pagine molto intime e profonde di riflessione sulla sofferenza e sulla figura di Cristo. Superata la tristezza, la malinconia, la disperazione, la rabbia, l'odio si ritrova in una situazione che vede stranamente fertile di contatto con la vita vera. Si rende conto di avere avuto finora un rapporto superficiale con il mondo, nel senso di essersi fermato e limitato alla superficie delle cose che era quella che un tempo l'attirava come esteta e come artista.
Ora ribalta non solo il suo modo di percepire la vita ma anche la religione, la società e l'arte.La sofferenza gli dà modo di guardare in profondità dentro di sè e dentro la vita e di sentire il contatto con una esistenza più vera. Da qui riflette anche sulla verità nell'arte e sulla figura di Cristo come artista: l'arte richiede infatti immaginazione e l'immaginazione è un atto d'amore. La sofferenza lo lega alla verità. Verità della sua condizione, della vita e verità anche nell'arte.
La verità in arte è l'esteriore come diretta emanazione dell'interiore, dice nella prima parte di riflessioni.
In un certo senso il dolore e la sofferenza sono il terreno più fertile da cui può quindi nascere l'arte.
La sofferenza avvicina Wilde anche al cristianesimo che ne dà un valore positivo. Per il cristianesimo la sofferenza è la vera moneta del mondo nel senso che mentre il piacere e la ricchezza non sono mali in sè ma allontanano l'uomo dalla sua interiorità e da Dio, la sofferenza al contrario ha una funzione importante nell'avvicinarli e nel richiamare ogni uomo alla sua anima. Ma quello di Wilde non è un dolore o una sofferenza generica ma la cosiddetta infelicità. Sull'infelicità c'è un saggio di poche pagine scaricabile in pdf da internet di Simone Weil, che io ho trovato interessantissimo. Simone parla dei tre requisiti per l'infelicità di cui quello imprescindibile è la caduta sociale (la prigione per Oscar).
E paragona la persona infelice alla gallina ferita che è l'equivalente dell'uccello dipinto dell'omonimo libro. La ferita induce le altre galline alla crudeltà e a infierire come spesso sperimentano appunto nella loro vita le persone infelici. Perchè se la sofferenza è passeggera, il dolore idem, l'infelicità spesso diventa una sorta di condizione permanente dell'individuo, una specie di maledizione. Anche Simone osserva questa maledizione da un punto di vista cristiano e dimostra come sia una condizione di estrema vicinanza a Dio pur nella sua massima distanza.
Dalla sua posizione "privilegiata" , Oscar ha una visione della vita più profonda e vede come Cristo non solo abbia avuto una tolleranza estrema, una simpatia speciale per le persone infelici, maledette. Ma abbia avuto un po' in antipatia gli atteggiamenti presuntuosi, perbenisti e arroganti di chi si sente nel giusto e dalla parte dei buoni o dei saggi (filistei, farisei, scribi, sacerdoti).
Colpisce come Oscar si senta ormai predestinato all'infelicità e al martirio sociale. E come veda questa dolorosa condizione come la sua possibilità migliore di riscatto umano di riabilitazione della sua anima che sente sia stata indegna della moglie e di alcuni amici fedeli e che sente di avere in qualche modo sporcato e tradito anche se magari non per le cose per cui è in carcere.
Indicazioni utili
La disperazione dell’uomo e la forza...
... dell'intellettuale in una lettera dall'inferno
'De profundis' è il disperato lamento di un intellettuale incarcerato, che è stato condannato ai lavori forzati, al quale sono stati confiscati e venduti per bancarotta tutti i beni, che non ha più diritti sulle proprie opere e che non si riprenderà più, morendo di fatto in esilio, appena quarantaseienne, tre anni dopo essere uscito dal carcere. Cosa sia accaduto a Wilde lo credo noto a tutti, anche perché costituisce la trama di un bel film uscito circa 20 anni fa per la regia di Brian Gilbert, 'Wilde', con la straordinaria interpretazione di Stephen Fry.
Per comprendere appieno il contenuto di 'De profundis' è tuttavia necessario riassumere per sommi capi i fatti che portarono Wilde in carcere. Nei quattro anni precedenti il fatale 1895 Wilde ha una tormentata relazione con Alfred Douglas, detto Bosie, un giovane rampollo dell’alta nobiltà inglese dedito all’arte (scrisse soprattutto poesie). La relazione andò avanti tra continue rotture, dovute agli eccessi di Bosie, che viveva nel lusso sulle spalle economiche di Wilde e organizzava spesso veri e propri festini con giovani gigolò (cui peraltro anche Wilde partecipava), e sofferte riappacificazioni. Nel febbraio del 1895, subito dopo la prima di 'The importance of being Earnest', il padre di Bosie, Lord Queensberry, personaggio intriso di machismo e di carattere violento, che aveva già messo in atto azioni per sabotare l’opera di Wilde, considerato la causa della corruzione sessuale del figlio, consegna in pubblico a Wilde un biglietto aperto in cui lo accusa di atteggiarsi a "somdomite" (l’errore è rimasto famoso). Bosie, che vede nell’episodio un’occasione per vendicarsi dell’odiato padre, induce Wilde a fargli causa. Grazie a testimoni foraggiati ed anche alla imperizia di Bosie che lascia in giro lettere scrittegli da Wilde, Queensberry riesce a dimostrare che non solo Wilde si atteggia, ma che è sodomita. Wilde si trasforma da accusatore in accusato, visto che all’epoca la "gross indecency" è punita in Gran Bretagna con pene sino a due anni di lavori forzati, ed al termine di due processi viene condannato al massimo della pena, con il giudice che si rammarica perché questa è troppo mite. Mentre è in carcere Queensberry gli intenta anche una causa civile perché Wilde non è in grado di rinfondergli le spese processuali, e così lo scrittore, che ha anche altri debiti, viene dichiarato insolvente e tutti i suoi beni vengono venduti; inoltre la moglie chiede il divorzio e gli sottrae la potestà sui figli. Wilde sconterà per intero la pena e, come detto, appena uscito di prigione il 19 maggio 1897, si imbarcherà per Dieppe e non farà più ritorno in Gran Bretagna, morendo a Parigi il 30 novembre 1900.
E’ durante la sua reclusione nel carcere di Reading, nei primi mesi del 1897, che Wilde scrive 'De profundis'. Il testo non è scritto per essere dato alle stampe: è una lettera a Bosie, probabilmente la più lunga lettera mai scritta (la compongono circa 50.000 parole), e Wilde, che non poteva mandare lettere dal carcere, la affida al momento del rilascio a Robert Ross, uno dei pochi che gli siano rimasti amici, pregandolo di farne una copia e di mandare l’originale a Bosie: sembra che quest’ultimo neppure l’abbia letta. Un lungo estratto della lettera fu pubblicato da Ross nel 1905, ed è in quell’occasione che allo scritto venne dato il nome con cui è oggi noto; solo nel 1962 viene pubblicato il testo definitivo.
Proprio il fatto di non essere uno scritto destinato al pubblico rende il De profundis un documento straordinario per la sua verità, anche se si tratta – ovviamente – di una verità parziale, plasmata dalle terribili condizioni psichiche e fisiche in cui si trovava l’autore e condizionata dal fatto che chi scrive è parte in causa. Il tratto dominante della lettera è il cambio di prospettiva sia umano sia artistico cui Wilde è pervenuto in seguito all’esperienza carceraria, il fatto che questo tremendo periodo della sua vita gli abbia permesso di rivedere criticamente il suo passato, e di basare su questa revisione critica le residue possibilità che gli rimangono di fondare il suo futuro. Nell’ultima pagina infatti dice: "Davanti a me, ora, ho il mio passato. Devo riuscire, ora, a guardarlo con occhi diversi, a far sì che il mondo lo guardi con occhi diversi."
A questo processo di revisione (nel senso letterale di nuova visione) della sua vicenda umana e artistica Wilde dedica tutta la lettera, che può essere scomposta in alcune parti ben definite.
La prima metà è dedicata alla ricostruzione della sua vicenda con Bosie: è sostanzialmente un lunghissimo atto di accusa nei confronti dell’amante, che prende le mosse dal suo comportamento da quando Wilde è in carcere. Bosie infatti non gli ha mai scritto e non è mai venuto a visitarlo. Wilde ha solo saputo, tramite amici, dell’intenzione del giovane di dedicargli alcune poesie e di pubblicare in Francia alcune delle sue lettere private, senza consultarlo e senza pensare che ciò potrebbe rinfocolare le polemiche intorno all’autore. In questi fatti Wilde vede la prova della inadeguatezza dell’amante, della sua incapacità di capire in profondità la natura del loro rapporto. Ricostruisce con puntiglio le varie tappe della loro relazione e suoi vani tentativi di troncarla, accusando più volte Bosie di essersi approfittato di lui, di aver sempre preteso di essere mantenuto nel lusso, di essere innamorato non tanto di lui quanto del fatto di essere l’amante di una celebrità, di non aver compreso, perché intellettualmente non all’altezza, la grandezza intellettuale ed artistica (della quale Wilde, fedele a sé stesso, è pienamente conscio) del suo compagno e ciò che questa grandezza gli poteva davvero offrire. Lo accusa di egoismo, soprattutto per avere convinto Wilde a far causa al padre, cosa che l’autore legge retrospettivamente come volontà di usarlo per vendicarsi dei torti subiti da parte di quest’ultimo. Ma l’accusa definitiva più volte rivolta a Bosie, è quella di superficialità, che Wilde definisce lapidariamente così: "Il vizio supremo è la superficialità. Tutto ciò che è compreso fino in fondo, è giusto." E’ un’accusa che Wilde deve sentire come tremenda, perché con essa vengono negate ad Alfred Douglas sia la qualità di artista sia quella di essere in grado di relazionarsi davvero con gli altri.
Questa prima parte della lettera è per noi lettori quasi un prodromo, un antefatto, che ci aiuta a capire, a contestualizzare la situazione in cui si trova Wilde, a comprenderne le radici storiche. Per Wilde invece questa ricostruzione dei fatti svolge probabilmente un ruolo da un lato liberatorio, dall’altro di razionalizzazione del dolore che ha segnato i suoi ultimi anni. Molto umanamente Wilde oscilla, in questa parte, tra atteggiamenti autoassolutori e piena coscienza degli errori commessi: è una sorta di piccola ricerca del tempo perduto composta da chi soffre nella propria carne le conseguenze di quel tempo: senza azzardare improbabili paragoni, ma considerando anche le sottili analogie tra la reclusione di Wilde e quella volontaria di Proust e tra il loro essere entrambi dandy ravveduti, penso che andrebbero meglio analizzati i punti di contatto tra le due opere.
Improvvisamente, circa a metà del testo, all’uomo Wilde, che prevale con la sua disperazione nel ricordo del rapporto con Bosie, subentra l’intellettuale, con la sua forza, anche se essa pure disperata. Una successiva, ampia parte della lettera, è infatti dedicata al ruolo che il dolore, nella sua esperienza concreta, ha assunto per Wilde uomo ma soprattutto artista. Egli, dice, era sempre vissuto nel e per il piacere, cercando di scansare il dolore. Ma oggi si è reso conto che il mondo cammina nel dolore, che il dolore è la vera forza trainante dell’umanità e la fonte dell’arte, e che dolore e bellezza sono intimamente uniti. I suoi compagni di carcere sono più vicini alla verità di qualsiasi artista, perché sanno vivere nel dolore. ”Il piacere è per il bel corpo, il dolore è per la bella anima” e ”ora capisco che il Dolore, essendo la suprema emozione di cui l’uomo è capace, è insieme il modello e il banco di prova di tutta la grande arte”, dice in due bellissimi passi a questo riguardo.
Partendo da questa sua riflessione sul dolore, Wilde dedica quindi particolare attenzione alla figura di Cristo, che identifica come il supremo individualista, il precursore della corrente romantica nella vita, contrapposto in questo alla rigidità, alla fissità ed alla freddezza del classicismo. L’analisi che lungo molte pagine Wilde conduce della figura storica di Cristo, la pungente critica alla vulgata cristiana, appoggiata anche su apparenti paradossi e ribaltamenti di passi del vangelo, ci fanno ritrovare il Wilde artista, nel senso che questa parte della lettera si astrae dalla contingenza di uno scritto privato per divenire un vero e proprio piccolo saggio di critica filosofica. Cristo è il primo romantico perché ci dice di vivere come i fiori, perché percepisce la vita come un flusso, perché ci dice di non preoccuparci troppo degli affari materiali. Egli è anche il primo e supremo individualista perché, a differenza di quanto ci dice la Chiesa, quando insegna a perdonare ai nemici lo fa non pensando ai nemici, ma all’anima di chi perdona; quando dice di donare ai poveri i propri averi ha in mente l’elevazione morale di chi compie questo gesto, più che il beneficio per i poveri.
Cristo come primo romantico e la vita artistica considerata in rapporto alla condotta, su cui Wilde si addentra in alcune riflessioni nelle ultime pagine del 'De profundis', saranno l’oggetto dei suoi futuri lavori, una volta uscito dal carcere. Riuscirà solo parzialmente a farlo, trasfondendo il secondo argomento nella sua ultima, disperata opera, 'La ballata del carcere di Reading'. Tra le altre cose che non riuscirà a fare una volta uscito dal carcere c’è anche il tener fede alla promessa di non rivedere più Bosie, con il quale riallaccerà per alcuni mesi la relazione, tra Parigi, Napoli e la Sicilia. La passione per questo giovane e in realtà mediocre lord, della quale pure aveva così nettamente individuato i limiti e le conseguenze, prevarrà ancora una volta, l’ultima prima della rottura definitiva.
Il 'De profundis', questa sorta di seduta di autocoscienza preproustiana, ci permette di ricostruire dal di dentro la terribile vicenda umana di Oscar Wilde; oggi possiamo aggiungere a questi elementi la consapevolezza che quella vicenda non fu semplicemente privata. Wilde non fu condannato perché omosessuale: l’omosessualità era naturalmente ampiamente diffusa e tollerata nelle classi dominanti, purché non se ne parlasse. Wilde fu condannato in quanto intellettuale, in quanto argutissimo censore delle stesse basi (a)morali su cui si reggeva la società vittoriana. Più volte nel corso degli anni le sue opere furono soggette a censura o a critiche demolitrici; la società che lo adorava lo faceva con un sogghigno feroce, considerando le sue verità dei paradossi o degli scandali, e sarà quella stessa società che lo abbandonerà immediatamente. Il potere costituito non si lasciò scappare l’occasione di infliggere una condanna esemplare a chi aveva osato basare il proprio successo artistico sulla demolizione – tanto più efficace in quanto sarcastica – delle convenzioni sociali da cui traeva la propria forza. La vicenda di Oscar Wilde, in questo senso, è paradigmatica del rapporto tra intellettuali e potere in ogni tempo.
Indicazioni utili
La "Recherche"
Il fine dell’amore è amare
Si tratta di una lunga lettera indirizzata da Oscar Wilde al suo amante Lord Alfred Douglas, chiamato “Bosie”, il quale probabilmente non la ricevette o decise di non leggerla, distruggendola appena ricevuta. L’autore gli scrive dal carcere di Reading, dove è rinchiuso in seguito a una condanna a due anni di lavori forzati per omosessualità, che infangò la fase finale della sua vita. Anche in una lettera informale e non destinata alla pubblicazione Oscar Wilde non smentisce se stesso, mostrando con palese evidenza la sua erudizione, tramite svariate citazioni che spaziano dal mondo classico alla letteratura contemporanea, e la sua innata eleganza, non contravvenendo mai al principio di raffinatezza che informò ogni aspetto della sua intera esistenza, conferendo alla sua figura quell’aura di genialità indiscussa che la contraddistingue.
Nella lettera Oscar Wilde apre il suo cuore (come indicato già dal significativo titolo), abbandonando il ruolo del dandy anticonformista a favore di un uomo sensibile, come si evince dalle dolci immagini dei figli e dell’affettuoso pensiero per la moglie e gli amici, e lacerato nel profondo dall’esperienza carceraria, in fin dei conti, immeritata. Traspare neanche così velatamente un profondo disprezzo per la bassezza intellettuale di Bosie, pigro e disinteressato all’arte e allo studio; il suo unico scopo di vita era il piacere, piacere che ha dilapidato le finanze del generoso autore, che, spinto dall’amore e dalla sua benevolenza, non riusciva a porre fine ad un rapporto che sapeva bene essere nocivo alla sua carriera artistica. “Gli dèi sono strani. Non si servono solo dei nostri vizi per flagellarci; ci portano alla rovina attraverso quello che c'è in noi di buono, gentile, umano, amorevole.”. L’odio per l’amante intellettualmente vacuo va di pari passo con il rimpianto per aver trascurato, a causa sua, l’arte, vero amore della vita di Wilde e vero scopo di ognuno dei suoi giorni; cosicché la “commedia brillante” in cui sperava ha lasciato il posto all’incubo carcerario, da cui tuttavia l’autore trae importanti insegnamenti che riporta al destinatario, con la speranza di far breccia nel muro della sua vanità. I giorni tutti uguali della prigione insegnano a rapportarsi con la sofferenza: la sofferenza per la lontananza dei propri cari, per la mancanza delle proprie passioni, per la solitudine e per il rimpianto di un passato che si vorrebbe riscrivere. L’esperienza del dolore apre nuove frontiere nella mente e nel cuore di Wilde, che giunge ad esaltarlo (“Dove il Dolore dimora il suolo è sacro”), come parte fondamentale e imprescindibile di una vita degna non superficiale. Da ciò deriva dunque l’inversione di tendenza nelle ultime pagine: dal disprezzo si passa al perdono, col proposito di aiutare l’amante a uscire dal suo mondo amorfo perché “L'amore è nutrito dall'immaginazione, che ci fa diventare più saggi di quanto sappiamo, migliori di come ci sentiamo, più nobili di come siamo... Solo ciò che è delicato, e concepito con delicatezza può dare nutrimento all'Amore. Invece all'Odio tutto dà nutrimento.”. Passando sopra al rancore, Oscar Wilde valorizza la potenza dell’Amore, che dovrebbe fungere da principio guida in ogni situazione (“La maggior parte delle persone vive per l'amore e l'ammirazione. È invece attraverso l'amore e l'ammirazione che noi dovremmo vivere.”) poiché in grado di dar senso alla più misera delle vite, da quella di un nobile a quella di un carcerato.
De profundis
Il "De profundis" è più che un libro, una lettera scritta negli anni del carcere da Oscar Wilde al proprio amante Bosie.
In questo scritto egli narra della loro vicenda sentimentale, dei pochi momenti di gioia vissuti assieme e dei molteplici momenti di sofferenza, del suo amarlo senza freni donandosi completamente fino anche al dilapidare il proprio patrimonio per lui, ricevendo in cambio freddezza.
Come molti scritti di Wilde questo è più che mai attuale, infatti non fosse che in esso viene narrato un amore tra due uomini, in esso oggi potremmo leggere la storia d'amore tra un uomo, ricco, famoso e potente e la propria giovane amante.
Insomma gli anni trascorrono, ma le debolezze e gli errori degli uomini si ripetono come in un film già visto.
Il contenuto del libro è un carosello dei peccati dell'uomo, peccati che lo portano verso una lenta e inevitabile caduta in un abisso senza fine.
Nelle pagine si sente e si legge la sofferenza di un uomo che per amore ha dato tutto...e per amore ha perso tutto, un uomo che ripensa al passato non con una vena di malinconia per l'amore perduto, ma con amarezza e disprezzo per aver perso tutto, disprezzo verso se stesso e la propria stupidità.
Ho amato moltissimo i libri di Wilde ma questo è un po' troppo ripetitivo e denso di lamenti.
Personalmente non mi è entrato dentro anche se molte persone l'hanno trovato un'opera meravigliosa, rispetto il loro giudizio, ma io ho trovato che dopo le prime 20 pagine era un ripetersi di lamenti continui.
Indicazioni utili
- sì
- no