Cane e padrone
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Prima di Marley, meglio di Marley
Come spesso succede i primi di una lunga serie sono sempre i migliori. Quindi direi che questo, tra tutti i libri che parlano del rapporto tra razza canina e razza umana è di gran lunga quello che mi è piaciuto di più. Devo solo fare un appunto a chi ha tradotto il titolo: nell'originale era "herr und hund". Io avrei conservato anche in italiano "uomo", perchè il protagonista del romanzo, come tutti gli appassionati di animali è tuttt'altro che un padrone. E' un amico, un genitore un antagonista e infine un orfano, ma padrone mai.
Come si capisce questo racconto lungo è incentrato sul rapporto uomo-cane. dal primo incontro quando i due si osservano con sospetto, magari scuotendo la testa, ma già sapendo che il loro destino è segnato. Si prosegue poi con le varie dificoltà ad adattarsi l'uno all'altro. La diferenza rispetto alle altre biografie canine è la maestria con cui Mann descrive il suo amico. Lo scrollare delle orecchie, il dimenare frenetico della coda acquista in questo romanzo una nota poetica. La descrizione fisica del cane, con le sue devianze rispetto ai dettami previsti per la sua razza è fatta con severità, ma non quella asettica di un insegnate, quella benevola e sempre pronta a tutto giustificare di un genitore. Ogni marachella è spiegata con la natura intrinseca del quadrupede. Ogni uggiolio è fonte di feroci sensi di colpa e ogni sorriso canino basta a scaldare il cuore. Del resto come potrebbe essere diversamente?
Indicazioni utili
HERR: UN SIGNOR PADRONE
Tra il marzo del 1918 e l’ottobre dello stesso anno Thomas Mann, sul finire della prima guerra mondiale e all’alba della Repubblica di Weimar, mentre con la famiglia risiedeva nei pressi di Monaco sulle sponde del fiume Isar, scrisse questo racconto lungo.
Le impressioni sulla Germania in guerra e sulla svolta democratica socialista, lui ancora ancorato ad un certo conservatorismo monarchico già archiviate in “Considerazioni di un impolitico”, il suo capolavoro “La montagna incantata” in fase di lenta elaborazione, nasce questo racconto lungo connotato ad idillio: la felicità privata contrapposta ai tempi difficili della guerra.
Chi ha un cane o chi lo ha avuto sarà grato a Thomas Mann per come abilmente ha descritto, in un misto di realismo e vivacità, l’universalità ( nei gesti e nei comportamenti) di un cane e del suo padrone intimamente legato ad esso. Il richiamo, il gioco, la gioia, il movimento, il saluto, l’accordo tacito tra i due: ci si ritrova subito.
Il cane è Bauschan, descritto dal padrone nella sua meticcia personalità, nella discendenza incrociata, nell’ascendente contadinesco a voler però sottolineare con la consueta ironia la fatica che gli dovette costare l’ entrare in una famiglia borghese e adattarvisi.
Mi colpisce la ripetuta attribuzione di intelligenza al suo cane, ricercata nella fisionomia, nello sguardo, nel comportamento ma soprattutto nella relazione con il padrone.
Il cane mostra fin da subito di riconoscere nello scrittore il suo capo- branco per cui la relazione che si viene a creare è esclusiva e tutta maschile: gli altri membri della famiglia non godranno di tale privilegio.
Il padrone non è sempre benevolo : in particolare vige il divieto di entrare nelle stanze dell’abitazione e scarse sono le possibilità offerte al cane di correre e di andare a caccia. La sensibilità con la quale descrive le mancanze perpetrate ai danni del cane indicano in realtà una viva attenzione verso i bisogni dell’animale e un’intima afflizione per non essere all’altezza di garantirgli la soddisfazione dei suoi istinti e dei suoi bisogni. Impotente risulta invece il padrone quando le più sensate leggi della natura si esprimono in comportamenti la cui logica agli umani non è dato capire: ci propone l’autore lo sconcerto che accompagna un padrone nell’osservare il suo cane che ne incontra un altro o che si para di fronte ad un suo simile rinchiuso dentro un cortile . Sarà poi Konrad Lorenz, nel ’49 a descrivere il codice linguistico insito nel comportamento canino e nel ’50 ne “L’uomo incontrò il cane”si farà portavoce della teoria che il cane è spesso specchio delle qualità del padrone asserendo anche che spesso, citando Mann e il suo libro, i bastardini hanno intelligenza e sensibilità più sviluppate dei cani di razza pura riuscendo così ad essere più capaci di amicizia verso l’uomo. La parte finale è preceduta dalla quarta sezione tutta rivolta alla descrizione quasi scientifica della tenuta di caccia che per Mann rappresentava l’eremo privato. Notevole la vicinanza espressa dall’uomo alla Natura di cui si sente parte e che viene rappresentata in chiusura anche da una velata polemica all’uomo cacciatore, violento per hobby e per estensione all’uomo soldato capace di sterminare i suoi simili.
Complessivamente un’opera gradevole dallo stile inconfondibile, una storia d’amicizia, un ritratto inedito di un grande autore attraverso il suo cane.