Caligola Caligola

Caligola

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Un'opera teatrale di estrema tensione, in cui il delirio del potere e l'utopia della verità vengono esemplificati dal tragico destino di un imperatore pazzo e crudele.



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Caligola 2015-06-01 17:33:27 FrankMoles
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FrankMoles Opinione inserita da FrankMoles    01 Giugno, 2015
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Troppa anima

“Come si può continuare a vivere con le mani vuote quando prima stringevano l'intera speranza del mondo? Come venirne fuori? Fare un contratto con la propria solitudine, no? Mettersi d'accordo con la vita. Darsi delle ragioni, scegliersi un'esistenza tranquilla, consolarsi. Non è per Caligola. Non è per te. Non è vero?”

Caligola, gettato nel dolore dalla morte della sua sorella e amante Drusilla, ha conosciuto la disperazione, una passione dell’animo in cui si giunge a ripugnare ogni vita intorno nella sua effimera essenza, in cui si smarrisce il profondo senso della realtà e della libertà. “Libero è solo chi è condannato a morte” dice l’imperatore romano, che instaura un regime in bilico tra la follia e il terrore ma ben lungi dall’incoerenza: il filo rosso che fornisce a Caligola il criterio tramite cui agire, tra crudeltà, dissolutezze e immoralità varie ed eventuali, è la libertà di seguire la propria anima. Torna nell’opera di Camus, in maniera a tratti lampante, quel contrasto tra l’uomo e il mondo, con le sue regole etico-sociali, che Nietzsche aveva risolto col principio della trasvalutazione dei valori; e chi meglio di Caligola rappresenta il superuomo? In posizione di potere, egli è in condizione di agire secondo la volontà suggeritagli dai suoi sensi e messa in atto con la scelta razionale della libertà.

Se dunque il Caligola può offrire certamente spunti di riflessione sul rapporto tra potere e sottoposti, costretti ad obbedire ad ogni lucida follia dell’imperatore, d’altro canto non può essere limitato a ciò, in quanto offre una riflessione di più ampio respiro sull’assurdo della vita dell’uomo. Nel costante dualismo tra ragione e sentimento, tra vita e poesia, tra schiavitù e libertà, Caligola compie la scelta più difficile e meno comune, ossia il dispiegamento spregiudicato e illimitato del proprio essere. Egli riconosce tragicamente che questo mondo in sé non basta alla felicità inappagabile che ogni animo persegue: “Questo mondo così com'è fatto non è sopportabile. Ho bisogno della luna, o della felicità o dell'immortalità, di qualcosa che sia demente forse, ma che non sia di questo mondo.”. La fuga dell’uomo dai limiti della realtà si manifesta in una demenza superomistica in cui la volontà di potenza si allarga oltre i confini della propria interiorità e della vita. Si tratta tuttavia di una posizione che, per quanto comprensibile agli animi più profondi, risulta sempre scomoda in quanto rende necessariamente schiavo chi non è in grado di giungere a una disperazione talmente illuminante da liberarlo dagli imposti limiti dell’etica sociale.
Chi è allora il vero pazzo? Caligola il diverso, il crudele? Oppure la massa di servitori che assecondano la follia in virtù del solo rapporto di forze? Lo stesso Caligola, provocatore, sembra spingersi sempre più oltre per verificare fino a che punto costoro siano schiavi del proprio materialismo razionale. La regola della vita umana sembra esser diventata l’eccezione della natura umana stessa. “Come tutti gli esseri senz’anima, non potete sopportare chi ne ha troppa. La gente sana detesta i malati. Chi è felice non può vedere chi soffre. Troppa anima! Che seccatura, no? Allora si preferisce chiamarla malattia: e tutti sono in regola, contenti.”

“Gli uomini muoiono e non sono felici” ripete a più riprese Caligola; in punto di morte (una morte che sul palco significativamente non avviene), quando finalmente la congiura a lungo vaneggiata ha luogo, fiero e disperato esplode il suo grido che apre uno squarcio nell’anima e nella realtà: “Sono ancora vivo!”.

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Caligola 2013-05-12 10:41:36 antares8710
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antares8710 Opinione inserita da antares8710    12 Mag, 2013
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La solitudine del potere

Ho avuto il piacere di leggere quest'opera in francese e devo dire che ne sono rimasto piacevolmente impressionato. Un'opera ripresa e ritoccata più volte dallo scrittore francese, deciso a portare in paloscenico lo spettacolo dell'assurdo. Uno spettacolo che ci porta dentro la solitudine e il delirio di un uomo, posseduto dal demone del potere. Sì perchè per Camus il potere è una possessione maligna che porta l'uomo alla ricerca continua e disperata dell'impossibile, di una realtà distorta e disumana, in cui trovare finalmente la libertà dalla ragione, dalla logica e dalla contingenza. Il viaggio che Camus compie all'interno dei meccanismi umani del potere, è un viaggio nella razionalità dell'uomo occidentale.
Molti critici hanno visto nell'opera di Camus, un costante riferimento a Hitler e alla tragedia del nazismo (la prima stesura dell'opera risale al 1938). In realtà, io credo, sia riduttivo parlare di quest'opera come un manifesto di denuncia contro le follie del nazismo e dei totalitarismi novecenteschi in genere. Il fine di Camus è molto più ampio e i suoi destinatari sono più di uno. Si tratta invece di una lucida e fredda analisi degli ingranaggi del Potere, inteso come esercizio di un dominio su altri essere umani, che prescinde dall'epoca e dall'humus culturale nel quale è stata scritta. Si tratta di un monito che Camus ha voluto indirizzare non tanto nei confronti degli europei appena usciti dal gorgo degli autoritarismi, quanto piuttosto nei nostri confronti, che viviamo in un'epoca dove il Potere è molto più sottile, subdolo e gelatinoso. Il Potere della nostra epoca non si manifesta nell'effigie di una persona o in un simbolo, come può essere una svastica o una falce e martello. No. Il Potere che noi conosciamo e di cui ci circondiamo è molto più pervasivo e non ha nemmeno il bisogno di nascondere la sua volontà di potenza e dominio. Ed è questo il nostro vero nemico. Come ci suggerisce lo stesso Camus, in maniera nemmeno troppo velata, non è l'Uomo il nostro nemico, non è l'imperatore Caligola che va abbattuto, ma il Potere che lo possiede. L'uomo Caligola, in fondo, non è altro se non un involucro, un'immagine vuota dentro la quale si concretizza il desiderio dell'assoluto.

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Caligola 2012-08-07 15:05:45 DanySanny
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DanySanny Opinione inserita da DanySanny    07 Agosto, 2012
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Caligola: perversione della libertà

Caligola è il libro della dicotomia: una separazione in due parti, l’involucro vuoto di un Imperatore svuotato dal dolore e l’immagine delirante e terribile di un uomo alla disperata ricerca della libertà. Con Caligola, Camus riporta in scena il tema dell’assurdo, inteso come la condizione dell’uomo che si rifiuta di accettare il proprio destino, imperterrito nella sua febbrile ricerca di un appiglio alla vita. IN questa breve opera teatrale convivono i fantasmi, i dubbi, il dolore della vita, mentre si intrecciano, filate dal grottesco, tenerezza e amore. E’ il libro del delirio non solo del potere, ma anche della razionalità.

Opera di lunga gestazione, il Caligola ha subito numerose modifiche acquisendo, al pari della crisi intellettuale e morale dell’ autore, connotazioni politiche, filosofiche, psicologiche.
L’edizione proposta da Bompiani è quella risalente al 1941, la più complessa, la meno inquadrabile in un’ideologia, quella la cui interpretazione, avulsa da contesti storici o politici, è nelle mani del Lettore che si trova di fronte ad una delle figure più ambigue, Assurde, affascinanti e complesse che la letteratura abbia mai offerto. Nell’Imperatore Caligola si compie la commistione tra il dolore, che provoca una grottesca quanto intelligente alienazione alla realtà, e l’inestinguibile sete di libertà qui mediata dall’orrore e dalla disperazione per la morte della sorella/amante Drusilla. IL lutto non è però la causa, quanto l’occasione per riflettere sulla morte. Caligola è un uomo, ma ancor prima un Imperatore, colui che deve sostenere il peso di una civiltà, del potere.

Alla morte della sorella, il peso opprimente del vuoto, e la presa di coscienza della sofferenza e del dolore, indotti dalla morte, sommergono Caligola in un lago torbido di passioni, di delirio, di perversione e orrore. Caligola vuole vivere. Ma per lui Vita è il contrario di amare e dunque sinonimo di odiare. Ecco come la negazione del destino ineluttabile dell’uomo si trasforma drammaticamente nell’implacabile logica di un Imperatore che, anelando alla libertà, si abbandona alla perversione, all’omicidio, all’adulterio. Caligola rifugge dal nulla, dal vuoto, dalla solitudine. E i vivi, soggiogati dall’ipocrisia e maschere distorte di una classe intellettuale che ha perso la propria identità, e capace soltanto di una deprecabile assertività.

L’unica consolazione è quella del rimorso, la compagnia del senso di colpa per gli uomini uccisi, le vite distrutte. Ma neanche questo è possibile: perché la mente, indipendente, teme il senso di colpa e crea una logica tale da giustificare le azioni. Per Caligola tutti sono colpevoli di essere suoi sudditi, tutti meritano di essere puniti. E in fin dei conti l’unica libertà è quella del condannato a morte. La libertà di non dover più decidere, di abbandonarsi all’oblio. Ecco la più vistosa delle contraddizioni del Caligola di Camus: voler essere un condannato a morte, per essere liberi, ma il voler restare in vita. L’unica soluzione è l’impossibile. Troppo per un uomo che ha rinnegato la sua stessa natura, rinnegando così se stesso. Non potendo avere l’impossibile, Caligola si trova finalmente solo, annebbiato al delirio d’onnipotenza, senza più vincoli con il presente. La sua drammatica dissociazione prende la forma definitiva, la sua perversione si annichilisce e rimane il guscio grottesco di un uomo che comprende l’unica cosa che non può più avere: l’amore e la tenerezza sono le sole cose che riescono a salvarti, nessuno può riuscirci da solo. O l’aiuto o la libertà raggiungibile soltanto contro gli altri uomini. Caligo sceglie il secondo.

Ecco di nuovo l’assurdo. Ecco il delirio: l’infedeltà all’uomo e l’idolatria per se stessi. Ecco l’involucro senza umanità di quello che era un uomo. Un uomo schiacciato dal suo ruolo, dalle responsabilità. Ecco un capolavoro della letteratura.

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