Bubù di Montparnasse
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Tra le miserie e gli splendori parigini
Uno Zola "minore". Un "assomoir" in tono più dismesso.
Questo è il romanzo di Philippe.
La tematica è quella romantico-drammatica che hanno spesso acceso le menti dei grandi scrittori russi e francesi tra l'Ottocento e il Novecento.
Una ragazza affamata che vende le sue grazie, dapprima con spensieratezza, poi sprofonda nella miseria morale e fisica. Un gruppo di papponi che senza indugio vendono il corpo delle donne a viscidi disgraziati appostati nei vicoli sudici dell'allora Montparnasse.
E poi la figura del giovane illuso e innamorato che sogna di salvare questa povera anima.
E bravo lo scrittore a descrivere le miserie sociali e umane in cui scorrazzano i protagonisti di questa infima vicenda.
Grandiosa è la descrizione della topaia in cui la ragazza e il suo salvatore debbono sopravvivere.
In poche righe l'artista dipinge la stanza in cui debbono vivere una dura vita queste anime perse.
Dalle finestre luride si intravede una Parigi, lontana chilometri dalla città scintillante che siamo usualmente portati ad immaginare.
La pioggerella del mattino, mischiata a una sottile nebbia sembra penetrare nell'anima dei protagonisti, con una nuova alba carica di sventure e dolore.
La grande città impersonale è indifferente alle sventure dei suoi abitanti, impegnati solamente a sopravvivere.
Sono gli albori della società industrializzata, che manda a braccetto desideri e miserie per soddisfare i propri bisogni spesso fittizi.
La vera protagonista del romanzo è appunto "La ville lumière" che vede all'orizzonte affermarsi quel momento storico irripetibile che fu la "Belle E'poque" crocevia di un rinnovamento culturale, sociale, artistico e urbano che farà storia in tutto il mondo e che sarà un modello di bellezza, innovazione e di ricchezza.
Purtroppo l'avvento della Prima Guerra Mondiale porrà per sempre fine a questa epoca irripetibile che portò a un miglioramento delle condizioni di vita e un velo di ottimismo vero il futuro.
Leggendo questo libro, si ha però la sensazione che per ottenere questo benessere, questa vita di agiatezza, questo rinnovamento culturale, ci siano dei sacrifici immensi da fare, barattando una volta il proprio corpo, un'altra volta la propria morale, un altra volta vendendo i proprio vestiti i mobili di casa.
Insomma Philippe lancia un'accusa contro la corruzione dei costumi e della morale in favore di uno stile di vita che sembra essere ammantato da una sinistra luce che sbrilluccica nella orgiastica notte parigina e che nascondo una zona d'ombra che non da scampo a chi cerca freneticamente di stare appresso a mode e lussi. I debiti, la fame, la rovina incombe, come il primo colpo di cannone che da li a poco squarcerà l'Europa e la soffocherà in un mare di sangue.
„Così Berthe Méténier diventò una prostituta e Maurice uno sfruttatore. Sciocco non era, e poi viveva a Parigi, una città dove il piacere è come un latrato di un cane che ti sta addosso. Molto semplicemente, dapprima era andato a lavorare, poi aveva capito che la fatica e il dolore si addicono agli stupidi. Diventò un magnaccia perché la società in cui viveva, piena di rischi e di potenti, decide da sé le vocazioni. Chi ha i soldi vuole donne, e occorre ovviamente che i magnaccia gliele procurino.“
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Il magnaccia e la sua prostituta
Siamo nella Parigi di inzio '900. Più precisamente ci troviamo nella zona della città più malfamata. Quella povera, ma anche quella che ha ceduto di fronte alle avversità, e quella che ha invece pensato di aprofittarsi delle miserie degli altri. Uno di questi è Bubù.
"Fu così che Berta diventò prostituta e Maurizio diventò uno scioperato. Era intelligente, viveva a Parigi dove i piaceri urlano passando, dapprima aveva lavorato, poi aveva capito che i lavoratori che sfaticano e soffrono sono degli sciocchi. Divenne sfruttatore perchè viveva in una società piena di ricchi molto forti che determinano le vocazioni. Vogliono aver donne coi loro soldi. Perciò bisogna che ci siano magnaccia a procurargliele."
Questo brano sintetizza il modo in cui Bubù e tutti quelli come lui giustificano il loro essere dei delinquenti. Un pò nello stesso modo lo fanno anche le loro donne: sperdute, indifese e a loro modo innocenti. Neppure le botte, gli insulti o la sifilide sono in grado di fare capire loro che questa non è vivere e forse neppure sopravvivere. Comunque nel caso venisse loro qualche dubbio gli viene fatto passare a suon di ceffoni.
Un libro decisamente triste, che ci apre una finestra su una delle miserie del mondo ancora diffuse. Scritto in modo scorrevole, con capitoli brevi e pochi personaggi, quindi senza nessuna difficoltà a seguirne la trama. Anche quella semplice e con un finale piuttosto scontato, anche se realistico.
L'autore di questo libro è stato definito "il piccolo poeta delle fogne" mi sembra che questa defiinizione sia troppo lusinghiera per gli aguzzini di questa storia e per niente comprensiva nei confronti delle vittime. Non condivido, invece appioppare l'epiteto di poeta a chi in definitiva giustifica uno sfruttatore dando la colpa alla società o alla sua natura. Temo inoltre ci sia ben poco di poetico nella miseria, nella rinuncia o nel sentirsi talmente perdenti da non meritare niente di buono.