Barabba Barabba

Barabba

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Bandito e assassino, condannato a morte per sedizione e omicidio, scelto dalla folla al posto di Gesù, graziato e rilasciato da Pilato: è tutto quello che sappiamo di Barabba dai Vangeli. Che ne sia stato, poi, di quel primo uomo oggettivamente salvato dalla morte in croce di Cristo, nessuno lo dice. E su quel silenzio che Lagerkvist costruisce il romanzo. Dieci scene scandiscono le tappe fondamentali della sua vita: l'estraneità all'esistenza passata, l'incontro con Lazzaro, con Pietro, dolorosamente pentito di aver rinnegato il Maestro, con la donna pronta a farsi sua testimone, con il compagno Sahak, sono quasi stazioni della sua personale via crucis che lo porta dal Golgota fino alla prigione a Roma da cui uscirà per subire lo stesso destino.



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Barabba 2020-01-08 18:39:15 DanySanny
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DanySanny Opinione inserita da DanySanny    08 Gennaio, 2020
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La tentazione di credere

È sempre la luce ad annunciare il divino: la stessa luce che scompare quando Gesù, nel suo umanissimo lamento al Padre che lo ha abbandonato, esala l’ultimo respiro; è questo buio che riesce per un attimo a far pregare la terra, a rompere la certezza, a insinuare il dubbio nell’animo di Barabba, il criminale liberato, attratto inesorabilmente da quell’uomo che si proclama figlio di Dio e che pure gli sembra farneticare. La domanda che striscia tenace è talmente semplice e brutale da sembrare un’aporia: com’è possibile che l’uomo abbia condannato Dio che si è fatto carne per salvarlo? Come è stato possibile che il più giusto tra tutti, il più innocente di tutti, sia stato crocifisso? Il Golgota sarà per Barabba il punto di non ritorno, la suprema tentazione di credere a un mondo divino che annuncia la salvezza di tutti gli uomini, un paradiso che non è di là da venire, ma una promessa di felicità sulla terra. Barabba non può credere perché ogni parte della sua logica si oppone: come è possibile resuscitare i morti, guarire i lebbrosi, moltiplicare i pani e i pesci; come è possibile risorgere tre giorni dopo la morte, oltre il masso pesante che chiude il sepolcro; come è possibile che gli ultimi saranno i primi in un mondo che vive di schiavi e padroni. Tutto questo Barabba vive con l’impeto di chi vorrebbe trovare un senso oltre la vita, immaginare che la morte non sia il nulla eterno, l’annullamento di ogni possibilità, ma anche con la disillusione di chi non è toccato dalla fede. Barabba se lo chiede, lui, l’ingiusto che è sopravvissuto, lui per il quale il figlio dell’Uomo si è sacrificato mentre intorno Leporina, la giovane donna di cui si è approfittato, sfida la legge delle pietre per professare la sua fede, mentre il suo compagno di schiavitù, l’uomo cui sarà legato per anni da una catena, affronterà la legge di Roma per essere schiavo di un Dio più alto di Cesare.

Siamo partiti dalla luce, perché le forme di questo romanzo sono tagliate da un bagliore freddo, scandinavo, quello della penna di Pär Lagervist, premio Nobel nel 1951, che si immerge nella sfida inesausta tra fede e incertezza, dubbio e ateismo e lo fa ripartendo dalle domande, quelle essenziali, attaccate alla vita di ogni giorno, senza indulgere a retoriche teologiche, a speculazioni verbose. Barabba è il suo alter-ego che cerca e fallisce la parola biblica, perché Barabba è ogni lettore che scende con lui nelle miniere, che insieme a lui si muove perso nelle catacombe senza luce, in un mondo che è solo morte. Ecco, il mondo di questo libro è quello pesante, opprimente di chi non può fare altro che accertare l’indefesso materialismo della vita e sentire che la morte è solo un salto nel buio. Hanno paragonato la scrittura di Lagervist alla cruda consistenza dei dipinti di Masaccio, eppure mi pare che la similitudine più propria sia con un Caravaggio spettrale: la stessa vivida rappresentazione degli uomini, lo stesso potente fantasma della salvezza, ma qui, la luce tagliente che illumina i suoi dipinti, la parola di Dio che fa breccia nella coltre scura del mondo, fallisce il suo divino splendore e su tutto regna una densa e costante penombra.
Resta l’amarezza per un libro che avrebbe potuto essere indimenticabile e che sconta, purtroppo, uno stile tanto semplice da rischiare la piattezza e soprattuto un’impostazione della storia che non procede per trama, ma per scene, come se ogni capitolo fosse l’atto di uno spettacolo teatrale. Barabba arranca un po’ nel suo ritmo assente e fa perdere smalto alle sue difficili interrogazioni.

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Barabba 2019-08-06 17:21:20 David B
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David B Opinione inserita da David B    06 Agosto, 2019
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Barabba, l’uomo di fronte al Mistero

“Amatevi l’un l’altro”. È questo il messaggio che Pär Lagerkvist mette in bocca a chi ha conosciuto la predicazione di Gesù. È questo il messaggio che continua a ricorrere nel libro e che viene ricondotto alla religione cristiana. E probabilmente è questo l’unico messaggio o visione che l’autore - ateo e non agnostico - coltiva della suddetta religione.

Barabba è un libro che racconta da uno sguardo inedito, insolito e curioso quella che è stata la testimonianza cristiana ai tempi di Gesù. È lo sguardo di Barabba, l’uomo che è scampato dalla crocifissione, per volere della folla, al posto di Colui che i fedeli chiamano “il figlio di Dio”

Sono 142 pagine di insolita meraviglia, tentata comprensione e, per finire, totale scetticismo verso questa religione. 142 pagine in cui si avverte chiaramente come P.Lagerkvist non abbia fede verso il messaggio di Dio. Eppure non si abbandona a facili luoghi comuni, a insensati stereotipi o a speculazioni fantasiose. Ma, al contrario, il nostro autore si interroga e ci interroga. Con dialoghi brevi e incisivi pone in difficoltà chi ha fede e pone -allo stesso tempo- curiosità su chi non la ha.

Il suo ragionamento lo avete tra le mani, il suo romanzo. La vicenda che racconta di Barabba, “l’uomo liberato”, accompagna e segue passo dopo passo, capitolo dopo capitolo, azione dopo azione la sua vicenda interiore. Perchè, ne sono certo, anche l’autore è stato tentato da quel messaggio divino che ha avuto il fiato sufficiente per travalicare ogni tempo, ogni confine, ogni popolo, ogni superstizione e giungere con imperante credibilità ai giorni nostri. Pertanto Lagerkvist non può permettersi di liquidarlo come se fosse una cosa di poco conto. Perché non lo è. È la storia a dircelo. Si può scegliere da che parte stare, ma non si può ignorare. P.Lagerkvist alla fine sceglierà, esattamente come Barabba, di non credere.

Ma si è concesso il cosidetto ‘beneficio del dubbio’, così come se lo è tenuto il suo personaggio. Lui che all’inizio rimuginava, tentava di capire quella frase così densa di significato (amatevi l’un l’altro) ma che non riusciva ad afferrare a pieno, cercava la via per la comprensione. Ma non trovava risposta. E quindi -va da sé- che l’alter ego dello scrittore si chiude in se stesso, si lascia barrare quel Segno (Christòs Jesus) sulla sua tavoletta servile che, speranzoso, aveva voluto incidere. Si è arreso all’incomprensione della Domanda proprio quando era chiamato a scegliere nel momento di maggior avversità. Perché, in fondo, cos’è la Fede se non rimane ben salda quando veniamo messi a dura prova? Lui ha ceduto, non è riuscito a cogliere il senso della ragione dei suoi nuovi sentimenti e di quella vaga presenza divina che scorgeva nelle cose e negli avvenimenti.
L’uomo che prima si interrogava è diventato l’uomo rassegnato. Il piano dell’esistenza è cozzato contro quello dell’essenza della sua anima. E, alla fine, è l’ignoranza a prevalere sulla conoscenza o sul desiderio di conoscenza.

Le tematiche sono alte: si parla, si tratta e si racconta del più grande interrogativo di fondo dell’uomo, quell’interrogativo che precede e segue il fatto religioso a cui si è chiamati a una ferma posizione. Di fronte a tali contenuti ci aspetteremmo uno stile contorto, difficile, quasi teologico. Eppure, sarà per la vicenda romanzata, sarà per lo scetticismo dell’autore, lo stile è nudo, spoglio, privo di aggettivazioni ed enfasi. Uno stile semplice, alla portata di tutti e un po’ teatrale con i capitoli che seguono l’ambientazione e il contesto esattamente come le scene/stazioni di un testo di teatro.
I fatti si diradano con semplicità, i dubbi si rafforzano con velocità e lo scontro tra sacro e profano si avvia a toccare l’apice con forza drammatica.
Anima e corpo.
Barabba (Par Lagerkvist) ha scelto il profano, seguendo ciò che diceva la sua razionalità e non ciò che sentiva nel suo animo. E, se si accoglie questa ipotesi, allora le ultime parole del nostro sventurato amico alla fine del libro acquisiscono una cifra significativa: “affido a Te l’anima mia”

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Consigliato a chi vuole leggere un autore insolito, che pochi sentono nominare... ma che ha vinto il Nobel per la letteratura.
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Barabba 2017-01-22 19:37:13 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    22 Gennaio, 2017
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Era solo

Questo romanzo è bellissimo e la cosa che colpisce è quello che manca: la fede e qualsiasi certezza. Il protagonista è una figura eccezionale. Solo, incapace di comunicare con il mondo, senza legami. L'unico suo legame è stato a base di fil di ferro e con un altro prigioniero. Mai un affetto, solo un vago senso di attaccamento molto poco definito con una donna verso la quale ha un gesto di pietà. Il finale è lancinante. La solitudine di Barabba si fa assoluta e nella comunanza della sorte resta isolato dagli altri cristiani, quelli veri, che condividono un'amicizia, una fede, parole di reciproco conforto. Lui è escluso dalla comprensione del messaggio cristiano, vorrebbe conoscere ma non capisce la parola amore. Continua a osservare e a non capire. La cosa bella è che continua a non capire fino alla fine. Il finale poi è eccezionale. Tutto il finale: dalla visita al regno dei morti, all'incendio, alla solitudine del destino di Barabba evidenziata dalla comunanza con la sorte degli altri, alle ultime parole gridate alla notte senza nessuna certezza di essere ascoltato. Bellissimo.

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