Narrativa straniera Classici Aspettando Godot
 

Aspettando Godot Aspettando Godot

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"Non c'è da meravigliarsi che, uscendo dal teatro, la gente si chieda cosa diavolo ha visto. In casi come questo si finisce sempre per attribuire all'autore un preciso disegno simbolico, e si rigira il testo pezzo per pezzo, cercando di ricostruire il puzzle. Si ha l'impressione che Beckett, a casa sua, stia ridendo malignamente alle nostre spalle, mentre con una semplice intervista alla televisione potrebbe chiarire ogni cosa. Stabilire se Godot è Dio, la Felicità, o altro, ha poca importanza; vedere se in Vladimiro ed Estragone la piccola borghesia che se ne lava le mani, mentre Pozzo, il capitalista, sfrutta bestialmente Lucky, il proletariato, è perfettamente legittimo, ma altrettanto legittima è la "chiave" cristiana, per cui tutto, dall'albero che si trova sulla scena, e che dovrebbe rappresentare la Croce, alla barba bianca di Godot, si può spiegare Vangelo alla mano". (Carlo Fruttero)



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Aspettando Godot 2024-02-24 00:25:08 Laura V.
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Laura V. Opinione inserita da Laura V.    24 Febbraio, 2024
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En attendant Godot

Titolo celeberrimo del teatro europeo del Novecento, “Aspettando Godot” suscitava in me da tempo molta curiosità. L’autore, Samuel Beckett (1906-1989), era irlandese di Dublino, ma la prima pubblicazione e rappresentazione dell’opera, rispettivamente nel 1952 e nel 1953, si ebbe in lingua francese con il titolo “En attendant Godot”; a Parigi Beckett si era trasferito già sul finire degli anni Trenta, partecipando poi attivamente alla Resistenza francese contro l’occupazione tedesca.
Malgrado le prime reazioni non troppo esaltanti ottenute sia a Parigi che un paio d’anni più tardi a Londra, si tratta del lavoro che ha dato forse maggior fama allo scrittore premio Nobel per la Letteratura nel ’69, al quale si aprì così la carriera teatrale. La trama prende avvio su “una strada di campagna, con albero”, come si legge all’inizio del primo dei soli due atti di cui l’opera si compone. Tale ambientazione interamente sullo sfondo di una strada di campagna alquanto desolata non muta sino al termine della vicenda, rimarcando una staticità (non solo di luogo) che finisce con l’avviluppare i personaggi principali, Estragone e Vladimiro, due vagabondi che aspettano un certo Godot, che non conoscono, al fine di ottenere da lui una qualche sistemazione. Sulla scena compariranno in seguito altri tre personaggi, di cui due in particolar modo bizzarri, ma non il tanto atteso e misterioso Godot che non si presenterà né alla fine del primo giorno né a quella del secondo.
Dramma? Commedia? Molto probabilmente entrambe. Senza dubbio, un’opera di estrema complessità interpretativa, nonché di forte innovazione a livello di struttura. “Sul piano del divertimento” scrive Carlo Fruttero, curatore e traduttore del testo nel 1956 per l’edizione Einaudi “si tratta di un vero gioiello, magistralmente congegnato […]. Ma ci vuol poco ad avvedersi che questa non è una commedia spensierata […]”. Innumerevoli possono essere le interpretazioni: da quella in chiave mistico-religiosa a quella dal sapore di guerra fredda, da quella esistenzialistica a quella sociale. Inutile arrovellarsi il cervello in tal senso, poiché tutto può essere.
Per quanto mi riguarda, la lettura non è stata particolarmente coinvolgente come speravo; nel complesso, ho trovato il testo appunto molto difficile da decifrare e, in verità, in alcuni punti abbastanza noioso da seguire, per non parlare del caos di qualche scena, con il sopraggiungere di Pozzo e Lucky, che più che sorridere induce a triste riflessione. Un libro, per me, su cui ritornare negli anni a venire.

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Aspettando Godot 2023-01-20 18:44:15 Valerio91
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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    20 Gennaio, 2023
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Waiting for God-ot

Samuel Beckett è uno di quegli autori la cui produzione può lasciare spiazzati, e il suo "Aspettando Godot" non è certo da meno, oltre ad essere la sua opera più conosciuta. Riguardo alla rappresentazione scenica non so esprimermi (sebbene voglia al più presto vederne una), ma immagino che l'impressione disorientante generata dal testo aumenti in maniera esponenziale, tanto che risulta difficile capire cosa abbia generato a suo tempo un successo così clamoroso. Certo, parliamo del Teatro dell'Assurdo, ma le battute scambiate tra Vladimiro ed Estragone lasciano per la maggior parte del tempo perplessi e, in fondo, tutto quel che leggiamo ruota intorno a null'altro che alla fantomatica attesa di questo figuro del quale conosciamo solo il nome: Godot.
E' probabilmente la pluralità di interpretazioni che affascina e mette in moto il cervello degli spettatori, e l'impossibilità di centrarne una in particolare lascia lo spettatore-lettore in un vortice di perplessità; una perplessità particolarmente concentrata sulla figura di Godot. Viene da chiedersi: possibile che lo stesso Beckett non sapesse dargli un'identità? o è semplicemente un modo dell'autore di alimentare il suo stesso mistero? Forse "Aspettando Godot" è una di quelle opere per le quali il lettore deve solo accontentarsi della propria interpretazione. C'è tuttavia un aspetto che porta a riflettere: come mai Beckett, parlando di Godot, ha detto di non sapere chi sia ma di sapere per certo che non sia la personificazione di Dio? Ho l'impressione che la sua sia una negazione che sa di affermazione, sempre nel tentativo di allontanare i suoi spettatori da un'interpretazione definitiva. Indipendentemente dai richiami stessi presenti nel nome (God significa Dio in inglese), è impossibile non identificare nell'attesa dei due vagabondi un'attesa della venuta del Signore, della sua salvezza, della rivelazione del senso ultimo di una vita ormai vuota e particolarmente cupa, che emerge come visione beckettiana prevalente della società e del mondo contemporaneo.
Le figure di Pozzo e di Lucky sono una forte accusa alle ingiustizie causate dalla prevalenza del modello di società capitalistica, è tuttavia evidente che la sfiducia di Beckett nella vita vada oltre i sistemi che dominano il mondo, perché allo sparire dei due personaggi l'assurdità della vita e dell'attesa non scompaiono, si fanno anzi più intense non avendo nulla con cui tenersi occupati, diventando soltanto un'attesa vacua di qualcosa che, in fondo al cuore, si sa non arriverà mai. L'uomo (rappresentato da Vladimiro ed Estragone) non è tuttavia capace di smettere di attendere: vorrebbe farlo, vorrebbe finalmente ammettere a sé stesso quanto la sua presenza nel mondo sia priva di senso e priva di speranza, ma non è in grado di farlo. Vorrebbe agire, ma cosa mai dovrebbe fare? Vorrebbe andarsene, ma dove?
Non resta altro da fare che continuare ad attendere, sperando che la compagnia di altri sfortunati nostri simili possa alleviare il percorso di questa vita vuota verso il proprio esaurimento. Questo, ovviamente, nella visione pessimistica del mondo dipinta dall'autore irlandese. Condivisibile o meno che sia, è innegabile che il fascino di questa rappresentazione sia il prodotto di un autore geniale.

POZZO: “Non piange piú. (A Estragone) In un certo senso, l'ha sostituito lei. (Pensieroso) Le lacrime del mondo sono immutabili. Non appena qualcuno si mette a piangere, un altro, chi sa dove, smette. E cosí per il riso. (Ride) Non diciamo troppo male, perciò, della nostra epoca; non è piú disgraziata delle precedenti. Ma non diciamone neanche troppo bene. (Pausa). Non parliamone affatto. È vero, però, che la popolazione è aumentata.”

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Aspettando Godot 2020-04-27 14:38:49 kafka62
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kafka62 Opinione inserita da kafka62    27 Aprile, 2020
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UN RISO CHE SI STROZZA IN GOLA


Si narra che Samuel Beckett, ai tempi in cui curava il primo allestimento di “Aspettando Godot”, era talmente consapevole della natura provocatoria della sua opera che si preoccupava quando vedeva troppo pochi spettatori che si alzavano ed uscivano durante lo spettacolo. Il tempo passa, ed è curioso constatare come “Aspettando Godot” sia nel frattempo diventato un classico del teatro del ‘900, frequentemente rappresentato sui palcoscenici di tutto il mondo. In effetti si tratta di un’opera di grande tensione, concentrazione e drammaticità, che non dimentica però mai il lato comico, la clownerie che doveva essere tanto cara a Beckett (“Non c’è nulla di più comico della tragedia, aveva scritto il grande commediografo: in questo senso Vladimiro ed Estragone sono come la coppia di un buddy movie del secolo scorso e certe sequenze, come quella dello scambio di cappelli, sembrano uscire proprio da un film dei fratelli Marx). Una scena fra tutte è stata soprattutto capace di strapparmi lacrime di puro, allucinato divertimento: è quella in cui Lucky, fino ad allora muto, inizia a sproloquiare come un fiume in piena, senza che nessuno, né il padrone Pozzo né i due protagonisti, che si agitano burattinescamente senza sapere cosa fare, riesca a fermarlo.
Si narra anche che Beckett rifiutasse l’equazione Godot = Dio (che in inglese – guarda caso – è proprio God). Eppure ritengo più che plausibile l’ipotesi che la stolida e inappagata attesa di Vladimiro ed Estragone sia in qualche modo metafisica. Vladimiro ed Estragone non conoscono l’identità della persona che ha detto loro di aspettarlo presso il grande albero, il ragazzo che annuncia per due volte che il “padrone” non verrà per quel giorno ma sicuramente si presenterà l’indomani sembra un angelo, quando si domandano cosa faranno con Godot quando l’avranno incontrato ciò che viene loro in mente è “una supplica, una preghiera”, e infine il motivo che Vladimiro adduce circa il perché non smettono una buona volta di aspettare il fantomatico Godot è che questi “potrebbe punirli”. Quindi Godot potrebbe legittimamente essere Dio, ma è altrettanto vero che il significato dell’opera non cambierebbe di molto se il misterioso personaggio del titolo venisse semplicemente interpretato alla stregua di una delle molteplici illusioni che l’uomo si crea per dare un senso qualsivoglia alla propria vita, quasi un alibi per continuare a vivere (o a sopravvivere) senza assumersi alcuna responsabilità, neppure quella di farla finita e suicidarsi. La mira di Beckett è molto alta: “Aspettando Godot” parla, in maniera astratta e stilizzata ma inequivocabile, della condizione dell’intera umanità. Ed è una umanità degradata, afasica, alienata, incapace di comunicare e in cui lo stare insieme è una questione più di abitudine (Vladimiro ed Estragone) o di brutali rapporti di forza, da schiavo e padrone (Pozzo e Lucky), che di cameratismo, solidarietà e compassione.
In un mondo deprivato di sentimenti, in cui la felicità è forse possibile solo sognarla, e oltretutto i piedi dolgono e l’incontinenza assilla, non c’è neppure il conforto della memoria (i personaggi non ricordano neppure ciò che hanno fatto il giorno prima) o della cultura (come dimostrano i vaniloqui dei due amici o le farneticazioni pseudo-dotte, da computer impazzito, di Lucky). Tutto appare inutile, e questa sensazione di inanità e di forzosa ripetitività non fa che accentuare la escheriana circolarità del testo. Sui personaggi un albero spoglio e spettrale incombe per tutto il tempo come il simbolo di un fato impassibile e imperscrutabile E’ però da questa scenografia, da questo albero praticamente morto, che promana l’unico, vago barlume di ottimismo della commedia: all’inizio del secondo atto spuntano infatti sui rami alcune foglioline verdi che prima non c’erano. Non hanno forse alcun significato preciso, come del resto quasi tutto il resto, eppure è come se con esse l’autore non avesse voluto negare del tutto ai suoi grotteschi eroi uno spiraglio, per quanto improbabile, di speranza.

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Aspettando Godot 2016-03-09 13:13:29 Riccardo76
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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    09 Marzo, 2016
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Attesa dicotomica tra sense e nonsense

Due amici Vladimir e Estragon due persone comuni un po’ sempliciotte e a tratti ai limiti dell’idiozia, Estragon in particolare. Pozzo è l’uomo che sfrutta Lucky come fosse uno schiavo, quasi alla stregua di una bestia, bella trovata chiamare “Fortuna” un personaggio che di fortunato a ben poco, diamogli un bel calcio a questo punto.
Potremmo facilmente calare tutta questa opera teatrale in una realtà alla quale siamo abituati, proletari, padroni, poveracci, la fortuna, Dio, la felicità e i rapporti che intercorrono fra tutte questi attori. Godot è Dio? Oppure un qualsiasi signore, è la felicità, la ricchezza, o cos’altro? E perché tanta attesa, perché tanta aspettativa? non è necessario fare troppi pensieri su queste dinamiche.
Probabilmente la grandezza di questa opera sta proprio in questo nostro rimuginare sugli eventi e sulle aspettative dei personaggi e al contempo essere immersi in un nonsense ininterrotto, solo pochi sprazzi di lucidità apparente, anch'essa nonsense.
Beckett ci lascia con il fiato sospeso fino alla fine e chissà se questa sensazione ci lascia al termine della lettura, rende perfettamente la sensazione di attesa, quell'emozione di ansia e angoscia, mista a gioia e speranza che viviamo quando aspettiamo, qualcosa, qualcuno.
Non ho visto la rappresentazione teatrale dal vivo, ma la scenografia la vedo scarna, pochi elementi essenziali. I personaggi, nella loro “follia” dialettica sono forti e rimangono impressi in mente, tutti, soprattutto Godot nella sua evanescente ma forte assenza o presenza? O inesistenza?

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Aspettando Godot 2013-12-16 15:27:04 mia77
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mia77 Opinione inserita da mia77    16 Dicembre, 2013
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Aspettando Godot di Samuel Beckett

Vladimir ed Estragon aspettano un certo Godot, in una desolata strada di campagna. Loro parlano, discutono, litigano, ma nulla accade attorno a loro. Godot non arriva mai, perchè secondo l'autore la vita dell'essere umano è questo: il niente. I due personaggi aspettano stando fermi, non si spostano, neppure quando dicono di volerlo fare ( come a voler rappresentare l'impossibilità dell'uomo di muoversi e di cambiare la propria posizione). Chi è Godot: Dio? La felicità? Non si saprà mai; Godot vuole solo dare un senso all'attesa, per questo non arriverà mai. Ci si può vedere la vita di molti di noi: passata ad attendere che qualcosa accada, senza fare nulla per farlo accadere. Forse Godot siamo noi, che dobbiamo agire e svegliarci, senza aspettare qualcuno che arrivi ad aiutarci o a salvarci, perchè forse quel qualcuno è destinato a non arrivare.
Ne ho vista anche la rappresentazione teatrale, che stupisce perchè la scena è quasi vuota, non accade nulla: è' un vero trionfo del nonsenso, ma è geniale.
" Partoriscono a cavallo di una tomba, il giorno splende un istante, ed è subito notte...": geniale sintesi della vita!
E' un pò pesante per la sua staticità, ma è da leggere.

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