Alice nel paese delle meraviglie
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Classico tra i classici
Che cosa si può dire a proposito di "Alice nel paese delle meraviglie" che non sia già stato detto da oltre un secolo e mezzo? Che cosa aggiungere a quanto già scritto su questo libro? Nulla o ben poco, è chiaro.
Classico tra i classici, l'opera di Lewis Carroll vide la sua prima pubblicazione nel 1865. In Italia la prima traduzione risale già agli anni Settanta dell'Ottocento.
Come nel caso di "Piccole donne" di Louisa May Alcott (giusto per citare uno dei titoli più celebri, ma l'elenco di certo non è breve), anche questo è uno di quei libri senza tempo che non si può non leggere. A volte ci si arriva tardi, magari con qualche decennio di ritardo rispetto all'età in cui ci si dovrebbe preferibilmente immergere in queste pagine, ma è anche vero che tali letture non hanno scadenza e non passano mai di moda; semmai cambiano le prospettive e le emozioni vissute nelle varie stagioni della vita.
Naturalmente, un po' come tutti, ho visto infinite volte la celebre trasposizione cimematografica della Disney, attraverso le cui immagini, credo, le avventure di Alice sono conosciute in tutto il mondo. Se non ricordo male, la versione animata, per quanto molto fedele, tralascia qualche passo che invece è un peccato perdere; nel libro, infatti, mi è parso di trovare qualcosa di nuovo. Sebbene si pensi di conoscere tutto di Alice e delle sue avventure, credo che la lettura non possa essere ritenuta superflua; anzi, essa rivela le sue belle sorprese. Anche la caratterizzazione della stessa protagonista è una di queste, così come suscita meraviglia più di un personaggio scaturito dalla penna di Carroll. Una lettura che ci ricorda quanto la fantasia sia preziosa e in un mondo ipertecnologico come quello attuale, dove chissà se i bambini sognano ancora, ciò si rivela di straordinaria importanza.
Ho avuto il piacere di leggere l'opera in una bella e curata edizione Einaudi, impreziosita dalle famose illustrazioni (a colori) di Sir John Tenniel che, se non erro, accompagnarono, però in bianco e nero, già la prima edizione del libro.
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Un viaggio meraviglioso
La storia ci accompagna dolcemente al “Meriggio d'Oro” di un tiepido 4 Maggio, giorno del compleanno di Alice (quella vera, figlia del grecista H. G. Liddell, amico di Carroll) a cui la vicenda è ispirata. La bimba si trova in un giardino bellissimo quando, spinta dalla curiosità, finisce dentro a una tana di coniglio apparentemente senza fine – lo stesso che vede sfrecciarsi davanti al naso, un istante prima di inseguirlo. Il Bianconiglio è l'elemento scatenante, la “trappola” utilizzata per catturare la ragazzina e strapparla alla realtà, attirandola in una dimensione onirica e misteriosa, quella del Paese delle Meraviglie. E' una terra stravagante, priva di ordine e di regole - come l'inconscio - un "nessundove" raggiungibile da una buca nel terreno o dalla superficie riflettente di uno specchio.
Alice è un personaggio fortemente deciso a restare bambino, a non varcare mai la soglia dell'età adulta – “rovinata” da divieti e imposizioni – ma che, al contempo, rivela una dote straordinaria: quella di reagire coraggiosamente alle prove di una landa bizzarra di cui ci sfugge la logica dato che, in essa, tutte le leggi sono sovvertite. Eppure, il Paese delle Meraviglie ne possiede molta, di logica, ed è ferrea.
Si ha come l'impressione che sia suddiviso in quadranti di un'enorme scacchiera, e che ci si possa spostare solo con le mosse corrette. Di fatto, interpretando un pedone, Alice muove i suoi passi rispettando le regole del suddetto gioco. Ogni quadrante è un “piccolo universo” che non sembra avere alcun tipo di contatto con gli altri vicini, popolati da pedine (Re e Regine, Alfieri e Cavalli, ma anche creature “di contorno” quali Pecore, Rane e Uova antropomorfe) concepite come esseri senzienti in grado di parlare e pensare in autonomia.
Durante l'avventura, Alice cambia forma e dimensione innumerevoli volte, ora mangiando un biscotto, ora bevendo da una bottiglia magica, ora addentando il turgido cappello di un fungo. Muta e matura progressivamente, appellandosi alla sua coscienza “parlante” nei momenti difficili. Non sempre, però, l'ascolta, e questo le causa una serie infinita di guai.
Nella seconda parte del racconto, “Attraverso lo Specchio”, sarà il fantomatico Micino del Cheshire a farle da guida, l'estro incarnato in sembianze a lei familiari e tanto amate (quelle “gattesche”, per l'appunto). L'immaginazione diventa una fedele compagna di viaggio, un viaggio che si concluderà con un brusco risveglio. Del mondo che l'ha voluta e resa protagonista rimarrà solo un confuso ricordo e la consapevolezza che, per scansare la banalità quotidiana, bisognerebbe sempre concedersi una “caduta” nella tana del Bianconiglio; soprattutto, da adulti, non bisognerebbe mai dimenticare come si faccia a entrarci.
Lo stile è scorrevole, fresco e ricco di metafore. Frequenti sono i giochi di parole dal doppio significato, i rompicapi e le poesie (es. l'emblematica “Il Tricheco e il Carpentiere”, proposta anche nella versione animata), scelte narrative che, assieme alla passione per gli scacchi e per le carte da gioco, rimandano alla mente matematica dell'autore. Indimenticabili le figure della Regina di Cuori – e la sua abitudine compulsiva di tagliar teste –, del Cappellaio Matto e del Brucaliffo, permaloso fumatore di Narghilè. Il libro è corredato da graziose immagini a china realizzate da Tenniel, che ha aperto la strada a una raffigurazione della bambina bionda arcinota ai disegnatori della Disney e a molti altri illustratori. Per concludere, credo sia uno dei testi più belli e sognanti che abbia mai letto, in grado di stimolare quella parte fanciulla, sovrastata dall'incombere della maturità, che ognuno di noi ha nascosto, ma che, in fondo, non si è mai sopita del tutto.
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Una poesia
Nel lungo tunnel dove ti puoi ingrandire o rimpicciolire,
c’è un coniglio bianco con la fretta di partire,
Ma fermati a bere il tè con il ghiro, il cappellaio e la lepre marzolina, prima di andare a giocare a Croquet assieme alla regina!
Ed è vero quello che dice il re:
“Comincia dal principio e và avanti finché arrivi alla fine: a quel punto fermati”.
Questo è un libro non-sense dove si rimane allucinati!
Prendi un gran ballo con aragoste e triglie,
È questo di Alice,
Il paese delle meraviglie.
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Alice e la Victorian Age
Nell’immaginario collettivo il personaggio di Alice è secondo solo a Pinocchio e Peter Pan quale simbolo iconico di bambini che si debbono confrontare con il difficile e, spesso, per loro incomprensibile mondo degli adulti.
La storia della bambinetta che, precipitata nella tana del Coniglio Bianco, si trova a doversi dibattere in un Mondo totalmente fantastico, nel quale ogni cosa fa letteralmente a pugni con la logica, è stata oggetto di innumerevoli interpretazioni e versioni ed ha sfrenato la fantasia di epigoni e cineasti. Per tale motivo, però, spesso, si sono perse di vista le origini e le motivazioni.
Nella mia personale opera di ripescaggio dei più noti romanzi di questo genere ho deciso di affrontare “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie” nel testo originale (Alice's Adventures in Wonderland), evitando di farmi traviare da traduzioni in italiano più o meno fedeli o fantasiose.
Purtroppo, pochi romanzi come quelli di Carroll soffrono nel passaggio ad un’altra lingua. L’A., invero, ha infarcito, si può dire ogni paragrafo, di pun, nonsense e altri giochi di parole che tradotti perdono gran parte della loro immediatezza.
La lettura è risultata agevole e scorrevole. L’inglese di Carroll, studiato per essere compreso da un giovane lettore, è sempre immediato e fresco. La storia si dipana in maniera divertente e non annoia, anche se risulta arcinota al lettore moderno che non viene sorpreso dalle stravaganti avventure di Alice.
Purtroppo, però, anche leggendo il testo originale inglese, molti degli intenti di Carroll rimangono celati al lettore di oggi.
Infatti debbo confessare che, personalmente, parecchi pun mi sono sfuggiti, un po’ per disattenzione (seguendo la narrazione non sempre si percepiscono anche i raffinati giochi di parole con cui è intessuta), un po’ perché, come lettore moderno, non ho individuato immediatamente il riferimento che faceva da chiave di lettura allo “scherzo” letterario. Invero il bersaglio degli strali di Carroll spesso è la società britannica della seconda metà del XIX secolo, un mondo ormai a noi piuttosto alieno: quindi, la battuta che fustiga il sistema scolastico vittoriano, piuttosto che certi perbenismi borghesi o le consuetudini dell’epoca, risulta impercepibile nel XXI secolo, soprattutto se queste situazioni vengono mostrate nella visione distorta del Wonderland. Rimane il divertimento per la situazione bislacca, per la storiella bizzarra, ma non si riesce ad individuare l’intento originario, se non solo con l’aiuto di una versione critica.
In particolare le filastrocche e le canzoncine, che i personaggi spesso intonano, giungono solo nella loro attuale valenza di irriverenti e anticonformiste tiritere, ma non essendo immediatamente fruibile l’originale storpiato per l’occasione, si possono solo immaginare gli intenti pedagogici che quest’ultimo avrebbe dovuto avere e che Carroll ha irriso. Così, tuttavia, si perde l’incisività e il mordente del nonsense.
Ciò non di meno non mi sento di consigliare la lettura accompagnandola con la consultazione di note critiche. Per lo meno quelle che accompagnavano la versione di cui io avevo la disponibilità mi sono state d’aiuto in qualche circostanza per individuare al meglio il contesto storico d’origine, ma il più delle volte hanno solo introdotto fumose (e a mio avviso speciose) argomentazioni pseudo-sociologiche che, alla lunga, irritano e tolgono quella freschezza che il testo deve necessariamente conservare.
Concludendo, la lettura è stata indubbiamente piacevole, ma proprio per la poca familiarità con il contesto storico che ne dovrebbe costituire il fondale, spesso la storia degrada a mera favola per bambini, il che, purtroppo è una pecca difficilmente emendabile, perché frutto della patina del tempo che si è depositata sopra l’invenzione di Carroll.
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L'apoteosi del nonsense
Un libro così controverso non poteva fare altro che generare emozioni di eguale natura. Il paese disegnato da Lewis Carroll fa fede al suo nome. E' un luogo in cui tutto è meraviglia, a partire dai paesaggi fino ad arrivare ai suoi variopinti abitanti.
Non stupisce che questa storia abbia tanto affascinato le tre sorelle Liddell (tra cui quella Alice che ha ispirato almeno il nome della protagonista), piccole amiche di Carroll che quest'ultimo soleva intrattenere coi suoi racconti, compreso questo. E' una lettura perfetta da fare ai propri figli e la scrittura di Carroll sembra fatta per essere letta ad alta voce, rendendo evidenti le sue origini di racconto non scritto.
"Alice nel paese delle meraviglie" è piacevole, divertente nel suo nonsense. A mia opinione, però, è sicuramente più apprezzabile dai bambini, che nelle sue lande fantastiche possono sentirsi a proprio agio, perché quando si è bambini non si deve necessariamente dare una spiegazione a tutto e questo libro è rivolto soprattutto a chi di spiegazioni non ne chiede. La stessa Alice, nel suo vagabondare, smetterà di chiedere spiegazioni ai folli personaggi che popolano i suoi sogni, personaggi affascinanti come lo Stregatto, la Regina di cuori, il Cappellaio e la Lepre Marzola, ma tutti completamente fuori di testa. A un certo punto, la piccola Alice abbandonerà i tentativi di capire le loro affermazioni, smetterà di chiedersi perchè nel Paese delle Meraviglie le cose funzionano in un modo così diverso dalla vita reale e semplicemente vi si abbandonerà.
Ed è la stessa cosa che deve fare il lettore, per poter apprezzare l'opera di Carroll.
In fondo, è raro che chiediamo una spiegazione ai nostri sogni e quando lo facciamo, una volta trovatone il senso, ci rendiamo conto che questo è nascosto soltanto in alcuni dei suoi dettagli e che molte altre cose che ci sono in mezzo non hanno spiegazione alcuna.
Alice e il suo Paese delle Meraviglie non sono altro che questo: un sogno, che in pochi dei suoi tratti può nascondere un pizzico di senso, mentre tutto il resto non è altro che un viaggio da godersi senza fare domande.
"In un paese dove la Meraviglia è vanto
Dove sognando passano i giorni ma non l'incanto
Dove sognando muoion le estati e il loro manto.
Eternamente allor sulla corrente scivolate via...
La vampa dorata che su voi indugia è pur la mia...
La vita, se non è sogno, sai che sia?"
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Il Paese delle meraviglie
Che differenza c'è tra un corvo e una scrivania?
Ho fatto un bellissimo viaggio con questo libro...
Non solo mi sono catapultata insieme ad Alice nel Paese delle Meraviglie, e mi sono allungata e ristretta innumerevoli volte, ma anche un viaggio indietro nella memoria al cartone della Disney che non vedo da tantissimo tempo, per non parlare al film di Tim Burton (che invece ho visto recentemente)
Un giorno Alice arrivò ad un bivio sulla strada e vide lo Stregatto sull'albero.
- "Che strada devo prendere?" chiese.
La risposta fu una domanda:
- "Dove vuoi andare?"
- "Non lo so", rispose Alice.
- "Allora, - disse lo Stregatto - non ha importanza".
Bellissime frasi che mi hanno fatto sorridere per i loro non sense.. non a caso ad Alice girava la testa!!
Peccato che non abbia scelto l'edizione in lingua originale, certi giochi di parole non rendono se vengono tradotti!
Nella mia edizione ho apprezzato maggiormente "Alice nel paese delle meraviglie" rispetto ad "Alice attraverso lo specchio" nonostante in quest'ultimo la poesia del tricheco e del carpentiere che mangiavano le piccole ostrichette mi hanno fatto ricordare nitidamente le immagini del cartone ed ho riso tantissimo!!
Alice nel paese delle meraviglie è lineare, nel senso che c'è un percorso, un po' strano e molto tortuoso, ma sicuramente un percorso, mentre nel mondo dello specchio è tutto troppo caotico e, lo ammetto, il fatto che non conosca minimamente il gioco degli scacchi ha forse peggiorato le cose per me.. Alice era in un prato e improvvisamente in un treno e poi di nuovo nel prato..
In realtà però li ho amati entrambi! Meravigliosi nella loro struttura di questi mondi fantastici!
Un bellissimo sogno e una bellissima lettura!
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Una... Meraviglia.
“Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie”, è un racconto fantastico scritto da Lewis Carroll, pseudonimo di un reverendo matematico e scrittore inglese di nome Charles Lutwidge Dodgson.
Egli nacque il 27 Gennaio 1832 da una famiglia di ascendenza irlandese di classe borghese medio-alta dedita alla chiesa ed all’esercito. Bambino estremamente intelligente fin da subito, primeggiò sempre in ambiente scolastico nonostante la sua balbuzie gli provocasse problematiche soprattutto nella vita sociale. Gli fu conferita la cattedra di matematica che tenne per 26 anni e ad Oxford gli fu diagnosticata una forma di epilessia, diagnosi probabilmente sbagliata (pare che soffrisse di emicrania con aura, in realtà). Nella sua vita si interessò anche di fotografia diventando noto nell’ambiente per i suoi ritratti di bambine (ci sono molte ipotesi sul fatto che potesse essere pedofilo) e per foto di personaggi noti del tempo. La sua carriera letteraria iniziò fra il 1854 ed il 1856 con pubblicazioni di poesie e racconti. La sua opera più importante la scrisse dopo una gita in barca fatta in compagnia delle figlie della famiglia del rettore Liddell con la quale aveva stretto un’ottima amicizia. La storia fu inventata sul momento per divertire le bambine ed Alice Liddell, una di loro, lo pregò di metterla per iscritto. Dopo la pubblicazione con l’attuale titolo, “Alice in Wonderland”, Carroll divenne un personaggio pubblico amatissimo e famosissimo e produsse anche altre opere sia sotto il nome di Lewis Carroll che sotto il suo vero nome.
Fu anche inventore e morì di bronchite nel 1898.
In brevissimo, scriverò la trama (straconosciuta) di questo amabile racconto:
la protagonista è Alice, una bambina che, addormentatasi, sogna di inseguire un coniglio bianco visto in giardino, nella sua profonda tana scavata nella terra. Da questo inseguimento inizia la sua avventura: cade nella tana e si ritrova in un lungo corridoio dai grandi lampadari e ricco di porte su entrambe le pareti. Individua una porticina che si affaccia su un giardino verde molto invitante. Per riuscire ad entrare in quella piccola porticina, sarà costretta a cambiare le sue dimensioni più e più volte, ingerendo cibi “magici” trovati in diverse occasioni. Incontrerà personaggi bizzarri che vanno dallo Stregatto alla Regina di Cuori e alla fine della sua avventura, si risveglierà di soprassalto, in tempo per l’ora del tè.
Questa storiella nonsense, è ricca di riferimenti anche alla matematica (vedi il secondo capitolo “Un lago di lacrime”), proverbi, allusioni a personaggi e avvenimenti dell’epoca, mimetizzati nella favolosa avventura tra un avvenimento bizzarro e l’altro.
Sarò breve perché, da ennesima lettrice, non ho molto da aggiungere alle innumerevoli recensioni già scritte… A 23 anni mi sono decisa di leggere questo racconto che ormai conoscevo già per film visti e faccende varie, però mi ha lasciato quasi spiazzata nel suo susseguirsi senza riposo, di eventi veramente senza senso. Devo direi che è qualcosa di geniale per come rende nell’assurdità, la “verità” del sogno: quando si dorme non si sognano quasi mai cose sensate e nel sogno stesso troviamo elementi della quotidianità (i proverbi, le filastrocche che recita Alice, ecc.) e ci interroghiamo su ciò che ci accade intorno. Alice è confusa, non sa più chi è, cambia aspetto continuamente e dimentica ciò che ha appreso nel tempo (che sia il processo di crescita?). Sicuramente è un racconto che dà spazio a numerose interpretazioni ed il bello sta anche nella varietà dei personaggi, delle situazioni, delle conversazioni e delle ambientazioni che sono state concepite da una mente ricca di fantasia come quella di Dodgson.
Un classico che, a mio parere, va letto. In tenera età è un racconto fantastico, in età adulta può esser visto come un insieme confuso di spunti di riflessione ed interpretazione, collegati da un filo logico impercettibile…
Mai dare per scontati i racconti “per bambini”. :)
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Il paese delle meraviglie è davvero meraviglioso?
E' consuetudine definire meraviglioso qualcosa di fantastico, piacevole, fonte di gioia e di pace, o almeno questa è sempre stata la mia opinione sul significato del termine. Così, quando ho deciso di leggere l'opera di Carroll per la prima volta a 19 anni, pensavo di fare un breve viaggio nel mondo dell'infanzia, nella spensieratezza e nella leggerezza di quelli che forse sono gli anni migliori della nostra vita, persuasa dal fatto che un'avventura nel Paese delle Meraviglie, non potesse che avere un effetto benefico. Tuttavia, non appena scivoliamo insieme ad Alice nel misterioso tunnel che conduce in un luogo fantastico, fatto di animali parlanti e e bizzarri personaggi, ci rendiamo subito conto che niente è come sembra. Il Paese delle Meraviglie non è popolate da dolci e socievoli creature, ma da un coniglio elegantemente abbigliato che continua a provare ansia per un ritardo inspiegabile, da un bruco che fuma una pipa, da un gatto con un ghigno inquietante che appare e scompare a suo piacimento e da una spietata Regina di Cuori, che cola sua grottesca abitudine di condannare tutti a morte, sembra avere tutto tranne un cuore. Alice è stordita di fronte alla strampalata dimensione in cui è capitata e nel corso del suo viaggio non prova felicità e stupore come ci si potrebbe aspettare, ma solitudine e sconcerto. Nessuno vuole davvero trascorrere del tempo con lei, nessuno la ascolta né la prende in considerazione: ogni personaggio che popola il Paese delle Meraviglie tratta Alice come una ragazzina ingenua e non intende sopportare le sue continue, ma comunque giuste, obiezioni. Alice è costretta ad adattarsi alle strane caratteristiche e abitudini di quel mondo e così è sottoposta ad una mutazione continua sia fisica che mentale, tanto che inizia anche a perdere consapevolezza della propria identità, per quello che un bambino di sette anni può conoscere al riguardo. La follia, la stravaganza delle creature che incontra hanno uno strano effetto non solo sulla protagonista ma anche e soprattutto sul lettore che vede il Paese delle Meraviglie come un luogo grottesco e assurdo, ma che allo stesso tempo sembra più reale di quanto si possa immaginare. Il microcosmo creato da Carroll in fondo alla "buca del coniglio" è tutt'altro che un mondo adatto ai bambini, al contrario è ricco di insidie e di inspiegabili abitudini e manifesta, tra le righe, innumerevoli significati nascosti che lo rendono incredibilmente vicino all'età vittoriana. I giochi di parole, il nonsense contenuto nelle azioni ripetitive e monotone del cappellaio matto e della lepre che non proveranno mai una nuova esperienza se non quella di scorrere di un posto lungo la tavola imbandita per il tè, accentuano la percezione di una realtà statica e bigotta dominata dall'apparenza e dall'ordine, da cui molti scrittori del vittorianesimo tentano di fuggire attraverso le loro opere. Il Paese delle Meraviglie diviene così, proprio come l'Inghilterra dell'800, un luogo fatto di contraddizioni, di caos e di precisione, di sfrontatezza e di paura, di oscurità e di meraviglie, di fantasia e di realtà. Così, non lasciatevi ingannare dall'immagine della dolce Alice sapientemente disegnata da Tenniel, da un titolo che sa di favola perché Carroll scrive tutt'altro che un libro per bambini: è una storia sottile e ricca di significato che consiglio a qualsiasi genere di adulto.
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La stramba mente di Dodgson
Un libricino piccolo, di quelli che si infilano tra i tomi doppi e pesanti, per riempire lo spazio: ecco come potrebbe apparire questo libro, una favola per bambini ultra eccitati dal pieno di zuccheri, che non riescono a dormire. Ora, voi adulti provate a leggerlo (se non l’avete ancora fatto) e poi ad avere il coraggio di metterlo in mano ad un bambino: prima di tutto non ci capirebbe granché, senza offesa per le menti infantili; in secondo luogo, come per la trilogia di Philip Pullman, dovrebbe essere d’obbligo scomporlo prima in parti più semplici, comprenderlo e solo dopo rimetterlo insieme, per poterlo narrare adeguatamente.
Nessuno esclude il fatto che un bambino possa leggerlo così, senza che glielo si spieghi, ma forse il gusto e la genialità della storia di Alice e anche dell’autore stesso verrebbero perse.
Già, perché credo fermamente che Lewis Carroll (pseudonimo di Charles Lutwidge Dodgson) sia stato un genio, a volte incompreso nella sua epoca: oltre ad essere scrittore, era anche un inventore, un matematico, un fotografo e un esperto di logica; quello che nella sua mente brillava, nel corpo risultava mancante: soffriva di problemi di emicrania (scambiata per epilessia), di udito, di vista, di balbuzie e fu accusato di pedofilia.
E nonostante tutto, e forse a maggior ragione a causa di questi suoi disagi, ebbe sempre un rapporto particolare con i bambini.
E una bambina è la protagonista del suo capolavoro: Alice, forse ispirata alla sua piccola amica Alice Liddell, che cade in una tana del coniglio e da quel momento in poi, in una narrazione tra sogno e realtà, vive delle rocambolesche avventure, a partire da quella fantastica boccetta con sù scritto “bevimi”.
Ovviamente non credo di avere la presunzione di poter analizzare correttamente un testo così ambiguo, contorto e onirico, ma vorrei solo sottolineare l’arguzia e la fantasia illimitata di Caroll: chi potrebbe mai dimenticare il Brucaliffo che fuma appollaiato sul suo fungo? A chi verrebbe mai in mente di mettere un personaggio del genere in un libro per bambini?
E il Bianconiglio? E l’inquietante sorriso dello Stregatto? Per non parlare del Cappellaio Matto e della Regina di cuori. Tutti questi personaggi potrebbero sembrare delle bizzarre parodie delle persone reali, ma il libro è pieno di allusioni, citazioni, proverbi, figure retoriche e giochi di parole, quindi non si dovrebbe dare niente per scontato.
Non so che pagherei per avere la capacità di leggere questo libro in lingua originale e capire tutti i suoi sottintesi e i riferimenti agli avvenimenti accaduti nella sua epoca.
E’ come se ogni pagina nascondesse dei segreti a cui non si riesce ad accedere e, per una persona che ama svelarli, è un tormento. E’ come se lui avesse scritto il libro non per noi lettori, ma solo per dar sfogo alla sua fantasia.
E in effetti, in una sua lettera inviata ad un amico nel 1891, che verrà battuta all’asta a marzo, lui spiega di aver odiato la celebrità e la fama che il libro gli aveva portato; odiava la pubblicità, il fatto che tutti sapessero del suo vero nome e che la gente, riconoscendolo, lo additasse per strada. Odiava a tal punto la notorietà da essersi quasi pentito di aver scritto la storia di Alice.
Ora, ammesso e non concesso che lui fosse asociale, psicopatico e un po’ matto, detto proprio sinceramente, preferirei che più persone fossero così, se la loro mente partorisse opere fantastiche come “Alice nel paese delle meraviglie”.
Leggetelo, leggetelo, leggetelo. E’ un obbligo. E poi raccontatelo ai bambini.
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Alice nel paese delle meraviglie – Lewis Carroll
L’uso di funghetti allucinogeni (e chissà cos’altro!) da parte dello scrittore, non ha di certo giovato. La storia è spesso senza senso, se non sempre. Si tratta di un sogno di Alice, ma questo non giustifica la disconnessione dei dialoghi e degli eventi. Il capitolo peggiore tra tutti, a mio parere, è quello con il grifone e la falsa-testuggine.
Trovo che sia un racconto troppo infantile e insensato per ragazzi e adulti e troppo strano e cupo per i bambini. Manca di un filo logico (come i sogni) e l’antipatia di Alice è stellare.
So che sto parlando di un capolavoro che ha venduto innumerevoli copie, ma a me proprio non è piaciuto. Consiglio di leggerlo solo perché dovrebbe far parte del bagaglio di un lettore e ci vuole poco più di un’ora per leggerlo, ma non per altri motivi.
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