Al Paradiso delle signore
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Darwinismo commerciale
“Tra quei candori, nel disordine apparente dei tessuti, caduti come per caso fuori dalle scatole, c’era una frase armonica, il bianco seguito e svolto in tutti i suoi toni, che nasceva, cresceva, si allargava, con la strumentazione complicata di una fuga di autore classico, che col continuo svolgimento rapisce le anime in un volo sempre più largo. Sempre il bianco, e mai lo stesso bianco; tutti i bianchi gli uni sugli altri, contrapponendosi, compiendosi, giungendo all’ultimo splendore della luce. Dai bianchi scuri delle ghinee e delle tele, dai bianchi sordi delle flanelle e delle lenzuola, si passava ai velluti, alle sete, ai rasi, sempre salendo; il bianco a poco a poco si accendeva, e finiva quasi in fiammelle dove c’erano le pieghe; poi volava nella trasparenza delle tende, diveniva luce libera nelle mussoline, nei merletti, nelle trine, soprattutto nei veli così leggeri che erano come l’ultima nota che si disperdeva; mentre l’argento delle sete orientali cantava più acuto in fondo all’immensa alcova”.
Dal prolifico ciclo dei Rougon Macquart, il romanzo Al Paradiso delle signore (1883) si presenta come un interessante documento, uno spaccato di vita parigina della Belle Époque che, come una lente di ingrandimento, punta a mostrarci nei dettagli, la nascita dei primi grandi magazzini per la moda delle signora nella capitale francese.
Personaggio femminile principale dell’opera è la giovane Denise Baudu, ventenne, proveniente dalle campagne di Valognes, che, in seguito alla morte dei genitori, si trova a dover badare ai due fratelli minori e così tenta la fortuna a Parigi, presso lo zio paterno, proprietario di un piccolo negozio di articoli per signore, Il vecchio Elbeuf.
Lo zio, però, con moglie e figlia, non naviga in buone acque per mantenere lei e gli altri due nipoti: l’unico aiuto che può darle è indirizzarla al grande negozio di fronte, Il paradiso delle signore, tenuto da un giovane vedovo, Octave Mouret, causa delle sue disgrazie finanziarie. I grandi magazzini infatti hanno sbaragliato la concorrenza delle piccole, tradizionali botteghe di stoffe, cappelli, ombrelli, superstiti di un vecchio e ormai superato modo di fare commercio, non più adatto alla Francia post illuminista, già nel pieno della seconda rivoluzione industriale. Siamo nell’età dell’acciaio, dell’elettricità, delle grandi esposizioni internazionali, delle prime fotografie e il giovane Mouret, sagace, dalla vista lunga, “poeta del suo genere” anno dopo anno, vede quintuplicare i suoi guadagni grazie a trovate coraggiose, ma fortunate.
I suoi grandi magazzini appaiono come una grande, misteriosa macchina agli occhi invidiosi dei bottegai vicini, e a quelli della timida e semplice Denise
“Allora a Denise parve di trovarsi davanti a una macchina ad alta pressione che desse impulsi perfino alle vetrine”
una macchina il cui motore segreto sono i magazzini nei sotterranei, nascosti agli occhi di chi non è addetto ai lavori: è lì che arrivano ogni giorno centinaia e centinaia di pacchi contenenti stoffe delle qualità più svariate, ma anche - novità per i parigini di quegli anni- abiti già pronti. Tutto verrà venduto a prezzi bassissimi, addirittura “a scapito”: la tentazione della moda a basso costo attira al Paradiso delle signore le gran dame, servite e riverite da compiacenti commesse, ma anche esponenti dei ceti meno abbienti che, per la prima volta, provano l’ebbrezza, l’euforia dello“shopping”ante litteram.
“…tutte le massaie, un reggimento intero di borghesi e di popolane si buttavano sulle occasioni, sugli scampoli e sugli scarti esposti quasi lì sulla strada. Mani alzate continuamente tastavano le stoffe appese all’entrata: un bordato a trentacinque centesimi, certa roba grigia in lana e cotone a quarantacinque, ma soprattutto un òrleans a trentotto centesimi che devastava addirittura le borse povere. Era un urtare di spalle e di gomiti intorno alle ceste e agli scaffali…”
E ancora, i sensi inebriati dall’ irresistibile tentazione delle stoffe tanto agognate a prezzi da urlo:
“Le signore si sentivano soffocare, e avevano il viso pallido e gli occhi lucenti. Si sarebbe detto che tutte le seduzioni del magazzino conducessero a quella suprema tentazione, e che quella fosse la stanza intima della colpa, l’angolo dove le più forti cadevano, in mezzo alle trine. Le mani si tuffavano in quel morbido candore, e tremavano dal piacere”.
Nella trappola di Mouret, che prospera non solo per il passaparola, cadono massaie e popolane, che, attirate anche dalla possibilità di intrattenere i propri bambini con dolciumi e palloncini offerti dal venditore, si recano lì e poi tornano a casa con la borsa svuotata.
Il romanzo è degno di essere letto ed apprezzato per le tantissime tematiche che presenta e per la meravigliosa penna di Zola, uno dei padri del Naturalismo francese, che, come i contemporanei Flaubert ed i fratelli Jules e Edmond de Goncourt, mira a far sì che l’opera “risulti scritta da sè”, seguendo lo stile dell’impersonalità. Il lettore scopre i personaggi e il loro carattere soprattutto attraverso le loro azioni e il loro agire: Denise, da impacciata “sciattona” campagnola, derisa dalle commesse veterane del Paradiso, con la sua semplicità ed onestà, dà una lezione di perseveranza e di determinazione a tutti. Lo stesso Mouret, che passa da una donna all’altra, non senza il secondo fine di fare pubblicità alla sua attività commerciale, capitolerà di fronte ai virtuosi rifiuti di lei.
Ma perché Denise lo rifiuta, pur amandolo? Sembra che neppure lei lo sappia, ma all’interno del romanzo c’è già la risposta. Attraverso la storia di questa ragazza così particolare e delle commesse, Zola ci mostra la condizione delle giovani ragazze povere di Parigi: senza la “protezione” di un uomo si rischia di morire di fame, di non rivestire alcun ruolo nella società, di diventare vittima della strada.
E le commesse sono pericolosamente avvinte in questo circolo vizioso:
“Quasi tutte le ragazze per via del loro quotidiano strofinarsi con le clienti ricche diventavano alla fine d’un ceto senza nome, indeterminato, che stava tra l’operaio e il borghese; e sotto la loro arte di vestirsi, sotto i modi e le frasi prese a prestito, non c’era che una istruzione falsa, la lettura dei giornaletti, qualche tirata di dramma, e tutte le sciocchezze che correvano per Parigi”
Diventavano quasi una categoria sociale a parte, non definita, né borghese né villana, che il contatto quotidiano con le grandi dame lasciava su di loro il profumo del vizio del lusso. Ma Denise, forte dei suoi valori, si tiene al di fuori da tutto ciò.
Altra storia interessante, ma anche crudelmente commovente, è quella della famiglia dello zio Boudu e dell’artigiano di ombrelli Bourras, un “bel vecchione” con la fama di artista che intagliava i manici degli ombrelli, che ogni giorno “dichiara guerra” al Paradiso delle signore che, non solo gli ha portato via le migliori clienti, ma vuole anche appropriarsi, dietro lusinghiero compenso, della sua vecchia e malconcia casa. Il vecchio si rifiuta con grande ostinazione, nonostante Denise provi a farlo ragionare e ad aprirsi al nuovo modo di vedere il mondo del commercio. Come Darwin in quegli anni aveva mostrato, la capacità di adattarsi è il segreto per sopravvivere ai grandi cambiamenti e chi rimane piccolo verrà travolto da quelli più grandi.
Per Bourras, per Baudu e tutti i piccoli bottegai di Parigi che non accettano di reinventarsi e di adattarsi a questa “prostituzione del commercio” saranno inevitabilmente soppiantati da Il paradiso delle signore e dalla modernità.
Mi sento di dire ai lettori curiosi che stavolta Zola non lascia un finale dall’amaro in bocca. Tutto ciò mi ha enormemente e piacevolmente sorpresa.
Ho apprezzato l’attualità della storia, la ricchezza delle tematiche e non mi hanno dato alcun modo fastidio le frequenti descrizioni del funzionamento degli ingranaggi del grande magazzino e degli ambienti, tutt’altro!
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Tedio e noia
Precursore dei tempi. Un libro che è riuscito nella non indifferente impresa, di uccidermi ogni fantasia di continuare la lettura del ciclo di romanzi denominati dallo scrittore del "Rougon-Macquart".
Praticamente agli albori del consumismo più sfrenato di massa, riservato naturalmente a chi ha le capacità economiche di stare appresso a mode e sfizi, l'autore inizia una filippica di caratteri epocali volta a metterci in guardia dai danni del consumismo.
Siamo nella Parigi dei lustrini e delle luci, dove interi quartieri, case, palazzi, strade vengono profondamente modificati, se non distrutti, per far posto appunto ai primi prototipi di centri commerciali.
Diciamo che di certo l'autore non ci va giù leggero, con le femmine e il maniacale impulso a comprare, spendere, riempire la propria vita di oggetti.
Difatti il così paventato "paradiso dello signore" del titolo, non è altro che un enorme fecondo ventre di un commercio infinito di oggetti, vestiti, profumi e tutto ciò che riempie le esistenze che non trovano altro che godimento nell'effimero.
Un libro che dall'inizio alla fine non fa altro che ripetere sempre gli stessi concetti. Come vedersi un paio di milioni di puntate di Beautiful e poi capire che dei protagonisti non è cambiato nulla, come se il tempo per loro facesse un baffo.
Ora dopo questa lavata di capo del nostro Zola, me ne guardo bene dall'andarmi a comprare un paio di scarpe nuove da ginnastica e anzi mi vado a prendere un buon libro con cui farmi compagnia nelle lunghe sere di solitudine romana.
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La sperequazione del capitalismo
Zola, si sa, è un grande osservatore della realtà sociale francese della seconda metà dell'Ottocento ed anche in questa opera non tanto conosciuta come l'Assomoir o come l'eroina noire Therese Raquin riesce, con un'acutezza sublime, ad affrescare la nuova realtà economica che il capitalismo ridisegna, caratterizzata dal profondo squilibrio tra chi detiene i mezzi di produzione e chi deve produrre merce, inesorabilmente, senza sosta alcuna, e produrre guadagni per poter vivere ai limiti della sussistenza.
Il Paradiso delle Signore è l'opificio in cui si concretizza questo dualismo economico: da un lato il proprietario, il ricco Mouret, che escogita qualunque mezzo pubblicitario e commerciale pur di massimizzare il profitto derivante dal commercio delle stoffe e di gingilli femminili, dall'altro le commesse, fanciulle proveniente dalle parti più svariate della Francia pur di migliorare la propria condizione economica e che vivono nel soffitto del Paradiso soffrendo fame e freddo e dedicando tutta la propria esistenza alla vendita.
Il Paradiso delle signore è il primo esempio di grande magazzino che nasce al centro di Parigi, prima come piccola realtà, per ampliarsi poi irreversibilmente travolgendo, con una furia distruttiva, le piccole attività artigianali che, con sacrificio, cercavano di contrastare questo tsunami di rinnovamento alla luce del profitto.
Con minuzia certosina l'autore descrive la trasformazione sociale e finanziaria che investe la capitale e ne ridisegna la geografia umana e territoriale penetrando, con il bisturi della scrittura, nelle viscere delle città, tastando gli umori di quel ceto cangiante, qual era il proletariato industriale-commerciale, che subisce il cambiamento, che vede il Paradiso imporsi con prepotenza nelle vite di ognuno e nella stessa morfologia dei luoghi, diventando l'unico ed incontrastato protagonista economico. Intorno a questo mostro pittoresco fatto di pizzi, sete, arazzi, guanti e biancherie di fattezza pregiata tutto è morte e distruzione: il vecchio Bourras, artigiano ombrellaio che è capace di far emergere qualsiasi figura mitologica da un semplice bastone, si aggrappa con le unghie e con i denti alla propria bottega ed inveisce contro il grande magazzino che espande i propri tentacoli strozzando i più indigenti o la famiglia Baudu, venditrice di stoffe, che vede scemare i propri clienti fino a scomparire del tutto.
In questo sfondo si staglia la figura della protagonista, Denise Baudu, giovane ventenne proveniente dalla provincia di Valognes che, per sfamare i due fratelli, entra nel Paradiso delle signore come addetta alla vendita e, dagli stenti iniziali, finisce per diventare punto di riferimento per tutte le commesse ed addirittura del bell'ombroso Mauret, imprenditore e proprietario del negozio, poi suo sposo.
Al di là dell'affascinante favola d'amore di cui Zola, con acume, traccia l'evoluzione cogliendo i sospiri ed i desideri dei due innamorati, la storia di Denise si identifica con la vicenda umana di quelle persone che, con la propria capacità, con lo studio ed anche, mi si consenta, con un pò di fortuna, riescono ad investire sulle proprie attitudini ed operano una scalata sociale formidabile.
Si tratta, dunque, di un vero classico: capace, soprattutto in un periodo come questo, fatto di sperequazione e marginalità, di cogliere i tratti di una società in cui il danaro la fa da padrone.